Riprendiamo dal sito www.palermomania.it un articolo di inalterata attualità, anche a distanza dalla sua uscita il 6 giugno 2011. Riguarda la città di Sana’a, la bellissima “Venezia di sabbia” dello Yemen del Nord, che, pur dichiarata Patrimonio dell’Umanità nel 1986 anche grazie all’impegno di Pasolini, è tuttora in grave stato di rischio a causa delle guerre interne, fino alla possibilità non remota della distruzione.
www.palermomania.it – 6 giugno 2011
Mentre lo Yemen è sull’orlo della guerra civile e il suo premier, Ali Mohammad Moujawar, è stato dichiarato “clinicamente morto”, risuonano nel mondo della cultura e dell’arte le parole dell’appello che Pier Paolo Pasolini rivolse all’Unesco all’inizio degli anni ’70 per chiedere all’organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura di dichiarare Sana’a patrimonio dell’umanità. ”Ci rivolgiamo all’Unesco -spiegava l’intellettuale italiano- perché aiuti lo Yemen a salvarsi dalla sua distruzione, cominciata con la distruzione delle mura di Sana’a. Ci rivolgiamo all’Unesco perché aiuti lo Yemen ad avere coscienza della sua identità e del paese prezioso che esso è. Ci rivolgiamo all’Unesco perché contribuisca a fermare una miseranda speculazione in un paese dove nessuno la denuncia. Ci rivolgiamo all’Unesco perché trovi la possibilità di dare a questa nuova nazione la coscienza di essere un bene comune dell’umanità, e di dover proteggersi per restarlo”.
All’epoca il problema era la speculazione, ora i rischi maggiori vengono da scontri armati che “feriscono” anche l’arte e la cultura oltre che le persone. L’accorato appello di Pasolini, all’epoca, ebbe un seguito positivo. Dopo essere stata oggetto di un’attiva campagna di promozione promossa proprio dall’Unesco, la città vecchia di Sana’a, per le sue preziose testimonianze artistiche, fu dichiarata Patrimonio dell’Umanità nel 1986. Due anni dopo, una delegazione italiana composta, tra gli altri, da Romano Prodi, presidente dell’Iri, Umberto Sisinni, direttore generale del Ministero dei beni culturali, e dal Fondo Pier Paolo Pasolini, rappresentato da Laura Betti, Francesca Sanvitale ed Enzo Siciliano, si recò a Sana’a e iniziò un progetto di restauro delle mura della città antica.
Quel prezioso intervento però rischia ora di “crollare” sotto i colpi della guerra civile. Come non ricordare, allora, che nell’ottobre del 1970 Pier Paolo Pasolini girò proprio a Sana’a, capitale dello Yemen del Nord, alcune scene del Decameron, poi non utilizzate in quel film? Ma non è tutto.
Terminate le riprese, infatti, il regista italiano utilizzò la pellicola avanzata per girare poco più di 13 minuti di documentario, che intitolò Le mura di Sana’a. Il filmato, mai uscito nei circuiti commerciali, fu trasmesso dalla Rai il 16 febbraio 1971 e replicato nel 1997. Fu proprio con quel documentario che Pasolini si appellò all’Unesco.Compagni di viaggio e “complici” in questo progetto, il direttore della fotografia, Tonino Delli Colli, la montatrice Tatiana Casini Morigi e il produttore Franco Rossellini. Ma è dallo stesso Pasolini che vengono le parole più sentite su questa iniziativa documentaristica.
”Era l’ultima domenica che passavamo a Sana’a, capitale dello Yemen del Nord -racconta Pasolini-. Avevo un po’ di pellicola avanzata dalle riprese del film. Teoricamente non avrei dovuto possedere l’energia per mettermi a fare anche questo documentario; e neanche la forza fisica, che è il requisito minimo. Invece energia e forza fisica mi son bastate, o perlomeno le ho fatte bastare”. ”Ci tenevo troppo -continua il regista italiano- a girare questo documento. Si tratterà forse di una deformazione professionale, ma i problemi di Sana’a li sentivo come problemi miei. La deturpazione che come una lebbra la sta invadendo, mi feriva come un dolore, una rabbia, un senso di impotenza e nel tempo stesso un febbrile desiderio di far qualcosa, da cui sono stato perentoriamente costretto a filmare”.
Una volta terminato, il documentario Le mura di Sana’a fu sottotitolato in arabo e donato al direttore del progetto di salvaguardia della città, Abdulrahman Al-Haddad, il quale, durante la cerimonia, dichiarò: ”Dobbiamo tutto a Pasolini, che ha messo in moto la solidarietà internazionale sul problema della salvaguardia della nostra città”.
Infine, durante la Mostra del Cinema di Venezia del 1988, le giurie per i “Premi Pier Paolo Pasolini” (tesi di laurea e poesia) consegnarono a Abdulrahman Al-Haddad dieci milioni di lire come contributo alla ristrutturazione della Samsarah Yanhya Bin Quasim, un piccolo albergo dove Pasolini pensava di inventarsi una “vita futura”.
Nel frattempo però la sua vita si era già arenata su un’altra distesa di sabbia.