Modugno incontra Pasolini: Che cosa sono le nuvole?

Proponiamo un interessante approfondimento pubblicato sul sito Re-movies, a firma di Bruno Ciccaglione, dedicato al proficuo sodalizio artistico tra Pier Paolo Pasolini e Domenico Modugno. Pasolini, infatti, volle Modugno tra gli interpreti nel film a episodi del 1967 Capriccio all’italiana. Il titolo dell’episodio diretto da Pasolini è “Che cosa sono le nuvole?”. Il cantante ne musicò anche la canzone omonima su testo di Pasolini e venne successivamente chiamato a cantare il brano scritto da Ennio Morricone per i titoli di testa di Uccellacci e uccellini (1966).

Modugno incontra Pasolini: Che cosa sono le nuvole?

di Bruno Ciccaglione

Il cinema di Pasolini e la voce di Modugno si erano già incrociati grazie a Morricone, in occasione di Uccellacci e uccellini (1966). Per i titoli di testa cantati di quel film – un’idea unica, originale e bellissima di Pasolini – Morricone aveva scelto il più popolare dei cantanti italiani, già all’apice della sua carriera discografica (Nel blu dipinto di blu era del 1958). Per Che cosa sono le nuvole, invece, l’incontro sarà diretto e la collaborazione particolarmente fruttuosa. Molto suggestiva, poi, è la circostanza che a cantare il primo incontro di Totò con Pasolini (“L’assurdo Totò, l’umano Totò, il matto Totò, il dolce Totò”, cantava Modugno in quei titoli di testa) e l’ultimo, in quella che poi sarà l’ultima struggente apparizione di Totò sul grande schermo, sia stato il cantautore di Polignano a mare.

La celebre esibizione di Modugno a Sanremo, nel 1958, dove vincerà con Nel blu dipinto di blu

Domenico Modugno è considerato non a torto il primo cantautore moderno e uno dei più importanti innovatori della canzone italiana e questo sia per la scelta dei temi (ad esempio l’idea di Nel blu dipinto di blu nasce dall’ammirazione di Migliacci, autore del testo, per i dipinti di Chagall) che per un modo di scrivere canzoni completamente nuovo per l’Italia dell’epoca (per restare a Nel blu dipinto di blu, Modugno non esita a usare una serie di accordi diminuiti, chiaramente prendendo a modello l’impressionismo musicale di Debussy e Ravel). La grande esuberanza fisica e la passionalità mediterranea rischiano infatti di soverchiare un tratto non sempre adeguatamente sottolineato del Modugno cantautore e cioè la sua assoluta padronanza di tutto quel che riguarda il mondo della canzone. In una celebre intervista in Rai del 1962, se di fronte a fior di intellettuali che lo interrogavano sulla sua cultura letteraria si intimidiva (ma poi citava Steinbeck come uno dei suoi autori preferiti!), quando doveva spiegare come si scrive una canzone cambiava atteggiamento: pur non sapendo leggere o scrivere la musica, bollava come superato lo scrivere una canzone limitandosi solo a fischiettare un tema. “La canzone va scritta, al pianoforte, con l’armonia” e aggiungeva senza timore: “ormai su come si scrive una canzone io so tutto!”.

L’idea che poesia e canzone (cultura alta e cultura popolare, potremmo dire) potessero trovare una sintesi nuova anche in Italia, aveva già dato luogo ad alcune esperienze, la più nota e significativa è forse quella dei Cantacronache che coinvolse tra gli altri Calvino, Rodari, Fortini, Eco da una parte e Jona, Amodei, De Maria, Margot dall’altra. Ma non sempre i risultati furono all’altezza delle aspettative. La canzone, checché se ne dica, non è una poesia (come si ostinava inascoltato a ripetere De André). Canzoni bellissime hanno dei testi che non reggono ad una analisi del testo in chiave strettamente letteraria e d’altra parte la poesia ha già la propria musicalità senza bisogno di altro. Soprattutto, il modo in cui gli autori della parte musicale e di quella letteraria lavorano insieme è decisivo.

La copertina del primo volume di Cantacronache

In genere gli autori di canzoni scrivono una musica, il che nel caso delle canzoni moderne – e da Modugno in poi anche in Italia – significa scrivere una melodia e una armonia, una forma complessiva fatta di strofe, eventualmente con dei ritornelli, eventualmente con degli incisi, delle parti esclusivamente strumentali collocate in diversi punti della forma complessiva della canzone. A questo punto, a volte anche con l’ausilio di una melodia cantata pronunciando suoni privi di significato ma ricchi di suggestioni sonore (a volte usando i numeri, altre volte un gramlot di una lingua che è spesso un finto inglese), il “paroliere” scrive un testo che rispetti la sillabazione del cantato e che colga lo spirito del brano.

Con Pasolini, Modugno deve necessariamente adattarsi a lavorare in un modo opposto. L’idea non è sua, ma di Pasolini, il testo precede la musica e non è un testo costruito secondo le forme standardizzate della canzone pop (strofa e ritornello e così via). Ricordiamo che il film è una trasposizione, in un teatro di marionette, dell’Otello di Shakespeare (Totò è Jago e Ninetto Davoli è Otello). Come racconterà Modugno, Pasolini prende alcuni brani della tragedia di Shakespeare e li include nel testo. Nel terzo atto Otello, cedendo alle insinuazioni di Jago sulla infedeltà di Desdemona, crede di capire la realtà: “Ora mi rendo conto della realtà. Ecco, Jago, in un soffio io disperdo nell’aria il mio folle amore”. Nel testo della canzoni Pasolini scriverà: “Tutto il mio folle amore lo soffia il cielo”. Nel quarto atto Otello ormai in preda a una gelosia incontrollabile, pazzo e disperato, così si rivolge a Desdemona: “Oh, fiore selvatico, così amabilmente bello, così soavemente profumato che tormenti i sensi! Che tu non fossi mai nato!“. Pasolini traspone: ”Ah, malerba soavemente delicata / di un profumo che dà gli spasimi / ah, tu non fossi mai nata!”.

Ninetto Davoli (Otello) e Laura Betti (Desdemona) in Che cosa sono le nuvole

È da queste suggestioni poetiche che Modugno deve partire, costruendo una musica sul testo di Pasolini e volendo enfatizzarlo nel modo migliore. Apre il brano con un tema eseguito dal mandolino, in tonalità minore, che viene eseguito tre volte, ogni volta un tono più basso della precedente e che ci porta immediatamente nella atmosfera che il film vuole evocare (la “straziante bellezza del creato”, come dice Totò guardando le nuvole nell’ultima scena, un tipico ossimoro pasoliniano). La prima frase è subito intensa: “Ch’io possa esser dannato se non ti amo!”, e Modugno ha l’intelligenza di enfatizzare analogamente sia il “non”, che il “ti amo”.

L’orchestrazione è semplice e combina tradizione e innovazione: il mandolino, un arpeggio di chitarra, il contrabasso, ma anche i suoni elettrici di tastiere tipiche degli anni sessanta. La semplicità dell’arrangiamento è essenziale a dare la centralità alle parole, tanto più che Modugno, anziché piegarle su una forma di strofa regolare sceglie di valorizzare proprio l’unicità di ogni frase (si pensi all’inciso “Perciò io vi dico/finché sorriderò/tu non sarai perduta”, musicalmente un momento unico del brano).

Il finale di Che cosa sono le nuvole, con la canzone interpretata da Modugno

Non a caso, d’altra parte, un Modugno perfettamente consapevole delle regole dell’armonia, sceglie (sia pure con diverse soluzioni di arrangiamento nei diversi momenti del brano), un accordo di settima di dominante per i momenti di maggiore tensione drammatica del testo: “Ah malerba soavemente delicata di un profumo che dà gli spasimi”; “Tutto il mio folle amore…”; “Ah Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro!”. Una canzone in cui si alternano elementi ricorrenti, che aiutano l’ascoltatore a non perdere il filo, e rotture della convenzionale forma della canzone di musica leggera. Il tutto con la intensità di una interpretazione vocale di Modugno tra le più potenti di tutta la sua carriera.

Modugno canta la canzone nella sequenza finale del film

Modugno interpreterà poi la canzone, cantandola nella scena finale del film, nei panni del “mondezzaro” che tra i rifiuti raccoglie le marionette di Jago e Otello e le porta in discarica, dove i due scopriranno per la prima volta il cielo e le nuvole, a chiudere quello che per molti è il più bel film realizzato da Pasolini. La canzone però, anche separata dal film, resta come un raro e prezioso esempio di una collaborazione tra poeti e musicisti capaci di stare dentro la musica popolare in un modo non elitario eppure non commerciale. Magia del cinema, nella sua capacità di far convergere tanti artisti di diversi campi in un unico progetto, magia di due artisti unici nel loro campo e capaci di dialogare senza timore di contaminarsi o di confrontarsi con qualcosa di diverso.