Salvatore Marfella, di cui abbiamo già diffuso due recensioni, ha pubblicato il 16 ottobre 2014 sul sito online www.rivistamilena.com una scheda sull’ultimo film di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma. Un capolinea definitivo, un’opera pensata come inguardabile e senza catarsi, una sfida anticommerciale all’epoca del consumismo incontrollato e della tolleranza totale, che in realtà, nel manipolare anche il corpo, l’ultima frontiera di resistenza all’omologazione, mette un atto i dispositivi di un nuovo totalitarismo, per Pasolini irreversibile.
Abbiniamo a questa scheda due recenti riflessioni (di Alberto Bodresco e di Marco Belpoliti) sulle derive degli attuali supermercati culturali in cui tutto è permesso e a portata di occhio, dalla pornografia allo stesso perverso Sade, consumati e addomesticati a merce del grande tritacarne. Con l’esito della paralisi di sentimenti, desideri e, naturalmente, vie di fuga alternative.
L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero, perché questo è l’ordine che egli ha inconsciamente ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di sentirsi “diverso”. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza.
Pier Paolo Pasolini, Scritti Corsari
“Salò” di Pasolini: le rovine della vita e “l’anarchia del Potere”
di Salvatore Marfella
www.rivistamilena.com – 16 ottobre 2014
Il 15 giugno 1975 Pasolini scrive la sua Abiura dalla Trilogia della Vita, che verrà pubblicata postuma sul “Corriere della Sera” il 9 novembre dello stesso anno, esattamente una settimana dopo l’assassinio dello scrittore, e successivamente raccolta nelle Lettere luterane. Al momento della redazione del testo, Pasolini ha da poco ultimato le riprese di quello che sarà il suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma. Proprio nel momento in cui il suo cinema, con il sublime Il fiore delle Mille e una notte (1974), meravigliosa sintesi di ideologia ed estetica, tocca uno dei suoi vertici (ad avviso di chi scrive, il suo punto massimo), Pasolini decide di voltare pagina e di abbandonare l’universo incantato e incontaminato dell’Africa e del Medio Oriente (dove il film era ambientato) per sprofondare dentro l’inferno e immergersi nel mondo degradato, devastato e oscuro descritto nel romanzo del marchese de Sade.
Nell’Abiura Pasolini afferma il crollo del presente, la fine della Storia (che anzi appare come mai inesistente perché mai esistita), descrive la vita come “un mucchio di insignificanti e ironiche rovine” ed esprime tutto il suo odio per i corpi e gli organi sessuali, un odio che non è però assoluto ma rivolto verso questi corpi e questi organi sessuali. L’attacco di Pasolini si dirige cioè verso quella finta libertà dei comportamenti, delle azioni e dei costumi che aveva a suo avviso il grave ed imperdonabile limite di non essere stata conquistata dal basso, ma elargita dall’alto. Secondo lui, il nuovo omologante potere consumistico appariva dotato di una capacità di diffusione talmente capillare e massiccia da investire ogni sfera dell’agire umano, compresa quella più intima, ed aveva provocato in Italia una vera e propria mutazione antropologica.
Pasolini decide allora di gettare in faccia alla nuova ideologia imperante tutto il suo disprezzo attraverso un oggetto artistico che sia quanto più scioccante e destabilizzante possibile, esercitando così quel “diritto e quel piacere dello scandalo” del quale avrebbe poi parlato in una delle ultime interviste alla televisione francese. Con Salò Pasolini realizza il suo estremo atto di accusa contro quella che egli definisce l’”Anarchia del Potere”, di un Potere cioè che fa ciò che vuole, agendo in nome di esigenze economiche non condivise e neppure annunciate, ma messe in pratica ed imposte in maniera violenta e arbitraria. In questo senso, allora, l’ultimo film del regista bolognese diventa non solo una metafora perfetta di quanto appena descritto ma anche la sua opera più perfettamente e lucidamente marxista.
Infatti, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo descritti da Marx nelle sue opere è sempre ed inevitabilmente un rapporto sadico, così come il sesso ed il corpo non sono altro che il massimo esempio della mercificazione che la società dei consumi va mettendo in atto. Se la società illuministica di cui il marchese de Sade era figlio aveva avuto come esito i fiumi di sangue del Terrore e aperto la strada a nuovi totalitarismi e poi alla Restaurazione, il cosiddetto boom economico italiano degli anni ’60 ha avuto come approdo l’aborrita (da Pasolini) e massificata società dei consumi che altro non è se non un fascismo democratico e, per così dire, in “camicia bianca”.
C’è da dire, inoltre, che in un film così ricco di sequenze visivamente raccapriccianti, insostenibili allo sguardo, tali da mettere alla prova anche lo spettatore più corazzato, una delle cose forse più agghiaccianti è la mancanza di una vera pietà umana nei confronti delle vittime, guardate dall’autore quasi con il medesimo disprezzo di cui sono oggetto i carnefici, in virtù della loro supina sottomissione, della loro incapacità (salvo qualche caso) di qualsivoglia gesto di rivolta.
Film disperato e definitivo, privo di vie d’uscita catartiche, Salò è allora l’estremo epitaffio di un mondo in cui è morta ogni speranza (cosa orrenda – secondo Pasolini – inventata dai partiti per tenere buoni gli iscritti) e di un mondo che, come scriveva Thomas Bernhard in Ungenach, “è già oltre la sua fine”.
PS
Il film, vietato ai minori di 18 anni e sconsigliato ai più impressionabili, è disponibile in streaming gratuito, previa autenticazione, al link https://www.youtube.com/watch?v=aqPPLRkmsFw.
Celebrare Sade
di Alberto Brodesco
www.nazioneindiana.com – 12 dicembre 2014
In queste settimane, trascorso da pochi giorni il bicentenario della morte (3 dicembre 1814), sono in corso in diversi punti d’Europa degli eventi in celebrazione di Sade. Una prima importante iniziativa è la mostra Sade. Attaquer le soleil al Musée d’Orsay di Parigi, curata dalla grande studiosa sadiana Annie Le Brun. Una seconda mostra, Sade, un athée en amour, è organizzata alla Fondation Martin Bodmer di Ginevra per la cura di Jacques Berchtold e Michel Delon, la massima autorità in materia. La prima esposizione va in cerca di Sade trovandolo dappertutto (nei dipinti di Goya, Géricault, Ingres, Rodin, Picasso…); la seconda, più filologica, esibisce manoscritti originali, illustrazioni d’epoca e altri reperti storici quali il calco in gesso del cranio di Sade. Alla dimensione espositiva si sommano poi le iniziative accademiche: un convegno a Parigi (Sade en jeu, 25-27 settembre) e uno a Aix-en-Provence (Les lieux de la fiction sadienne, 23 ottobre). I risultati scientifici della recente ondata di studi sadiani sono talvolta sorprendenti, come quando, nel corso di una sessione dal titolo “Sade auteur comique?” del convegno parigino, la sala si è trovata a ridere alla lettura di alcuni passaggi particolarmente barocchi delle 120 giornate di Sodoma. Un terzo convegno ad Amsterdam (Sade Today, 2 dicembre) ha individuato in Sade un “teorico queer” ante litteram. Gli approcci francesi e quello olandese mostrano delle sostanziali differenze di impostazione: i primi, pur lasciando spazio a ipotesi non convenzionali, partono dall’analisi dei testi; l’altro apre le porte all’attualizzazione e alla libertà interpretativa.
Indicando due direzioni diverse, questi orientamenti scientifici sollecitano considerazioni più generali sulla questione del rapporto della contemporaneità con Sade. Dietro alla possibilità stessa di mostre e convegni, dietro all’odierna divulgazione sadiana o al Sade divulgato stanno infatti due fattori distinti e complementari. Il primo è il secolo e più di lavoro critico su Sade – diciamo da Maurice Heine in poi. Il secondo è una società profondamente cambiata rispetto ai tempi in cui stampare Sade portava a processo gli editori (va ricordato il coraggioso Jean-Jacques Pauvert, morto quest’anno). La convergenza di queste due spinte permette agli organizzatori del convegno di Amsterdam di tenere la loro sessione pomeridiana sul palco del teatro erotico “Casa Rossa” dell’omocromatico quartiere. La disinvoltura con cui si può oggi parlare di Sade si inserisce nel complessivo sdoganamento non solo della pornografia ma anche dell’immaginario BDSM come legittimo oggetto culturale, persino alla moda. Se Sade è stato per molto tempo un corpo estraneo, inammissibile, ora lo si può considerare finalmente uno scrittore, di cui gli specialisti sono autorizzati (e finanziati) a parlare.
Ma quale Sade esce da queste celebrazioni? Se nemmeno Sade, che segna un non plus ultra nella storia della cultura occidentale, si sottrae all’integrazione nella società dello spettacolo, che cosa ha la possibilità di rimanerne fuori? Era la stessa Annie Le Brun curatrice della mostra al Musée d’Orsay a parlare in passato di una “straordinaria resistenza di Sade allo spettacolare”. E invece oggi intorno a Sade si organizzano esposizioni, rassegne di film, un quiz online su “The Guardian”… Sade diventa addirittura il personaggio di un popolare videogame, Assassin’s Creed Unity. È banale dirlo, ma i quarant’anni che son trascorsi da Salò o le 120 giornate di Sodoma, dove Pier Paolo Pasolini utilizzava l’inassimilabile Sade proprio a fini anti-spettacolari, hanno prodotto delle conseguenze che caricano di ulteriore forza le argomentazioni pasoliniane. In una società in cui la provocazione è il nuovo conformismo, la sparizione dell’osceno, trasformatosi nell’on-scene di cui parla Linda Williams, porta con sé la scomparsa di uno spazio etico, quello che induce a lasciare dei contenuti al di fuori della scena.
Nel periodo eroico del surrealismo Sade è stato essenzialmente un ispiratore di cattivi pensieri. Schierarsi dalla parte di Sade voleva dire non solo épater le bourgeois ma anche difendere l’indifendibile, sedersi dalla parte del torto. In un testo del 1929-30 dalla strana, paradossale attualità – una lettera mai arrivata ai destinatari intitolata Il valore d’uso di D.-A.-F. de Sade –, Georges Bataille tenta in modo complesso e disordinato di liberare Sade dalla trappola dei suoi ammiratori letterari per restituirlo al campo dell’azione rivoluzionaria. Sade è ancora oggi un “prossimo nostro” non per il piacere dello scandalo che sa provocare ma per quanto in esso rimane repellente, per ciò che costringe ad abbandonare la lettura o la visione. Il recupero della forza politica dell’osceno passa per l’apparizione dell’insopportabile e dell’inguardabile.
Pop Porn. Tanta fatica per non fare l’amore
di Marco Belpoliti
www.doppiozero.com – 29 luglio 2013
Tutto sarebbe cominciato con Linda Lovelace che pratica la fellatio nella scena madre di Deep Throat, Gola profonda. Era il 1972. Negli Stati Uniti il film fu subito processato, e contemporaneamente dilagò la polemica sul porno tra chi si schierava contro ogni censura in nome della libertà d’espressione e chi invece condannava il film per il legame che suggeriva tra pornografia e violenza sessuale.
Come ricorda Bruno Di Marino all’inizio di Hard media. La pornografia nelle arti visive, nel cinema e nel web (Johan & Levi), lo stesso fronte femminista si divise tra chi chiedeva la fine della censura e chi accusava il film d’istigare i maschi all’aggressività verso le donne. A quarant’anni di distanza il porno è dilagato diventando, grazie al web, uno dei prodotti visivi più consumati anche dal pubblico femminile, senza che sia più soggetto a persecuzioni giudiziarie, rifiuti morali o sensi di colpa personali. Un terzo di coloro che vedono abitualmente siti porno, scrive Di Marino, sono infatti donne. Il libro descrive il dilagante fenomeno del Pop Porn, e si domanda se questo tipo di filmati appartengano o no a un vero e proprio genere, di cui cerca di descrivere forme e confini.
Dal canto suo, Zygmunt Bauman in un saggio, Sugli usi postmoderni del sesso, pubblicato nel 1999 in inglese, ora in un volumetto con prefazione di Maurizio Ferraris (il Mulino), spiega come la versione attuale della attività sessuale si concentri esclusivamente sul suo effetto orgasmico: il sesso postmoderno è l’orgasmo. La questione è trattata anche da Byung-Chul Han, docente di filosofia e teoria dei Media in Germania, nel recente Eros in agonia (Nottetempo). “L’amore, scrive, si è positivizzato nella sessualità”, che è sottomessa al diktat della prestazione; così l’erotismo non sarebbe altro che “un capitale che si deve accrescere”.
Un esempio eclatante di questa trasformazione la si trova nei volumi di E. L. James, a partire da Cinquanta sfumature di grigio; il partner della protagonista le presenta la relazione alla stregua di una “proposta di lavoro”, con tanto di orari, prestazioni previste e punizioni severe; e per ottenere il massimo bisognerà che nel fare sesso ci si attenga a un preciso programma salutista. Bauman ha tracciato nel suo saggio una vera e propria mappa del sesso contemporaneo.
Il punto di partenza è una distinzione delineata da Octavio Paz, poeta e premio Nobel, in un libro, La duplice fiamma. Amore ed erotismo (Garzanti 1994, ES 2006). Nella fiamma primordiale del sesso, acceso dalla natura ben prima della apparizione dell’uomo, s’innalza la fiamma rossa dell’erotismo, e al di sopra do questa guizza quella azzurrina dell’amore. Sesso, erotismo e amore sono collegati, eppure separati, dice Paz; il sesso, poi, è il meno umano dei tre, non essendo un prodotto culturale come gli altri due. Con una battuta fulminante, presa da Theodore Zeldin, autore di Storia intima dell’umanità (Donzelli), Bauman ricorda che nella cucina ci sono stati più progressi che nel sesso. Tutta la storia del sessualità umana è infatti la storia della sua manipolazione culturale, che ha inizio nel momento in cui si distingue tra esperienza sessuale, ovvero piacere, e riproduzione della specie.
La tesi di Bauman è che nella età postmoderna l’erotismo si è svincolato sia dalla funzione della riproduzione, come dall’amore, sin qui cardine dell’esperienza umana. La ricerca del piacere sessuale è assurta a norma culturale come un tempo accadeva per l’amore, dai provenzali ai romantici. L’effetto è che oggi l’erotismo ha acquistato uno spessore che non aveva in precedenza, ma al tempo stesso possiede un’inedita leggerezza e volatilità propria dei nostri tempi. La lettura del sociologo di origine polacca non è inficiata da alcun moralismo; guarda piuttosto con lucidità cosa è divenuta la sessualità nel nostro mondo contemporaneo, pornografia compresa. Come aveva incominciato a dirci Michel Foucault nel primo volume della sua Storia della sessualità. La volontà di sapere, uscito a metà degli anni Settanta, la rivoluzione erotica di quel decennio “è stata depositata davanti all’uscio delle forze di mercato” (Bauman).
La premessa fondamentale per cui l’erotismo si possa trasformare in un fattore economico, di cui la pornografia è il prodotto più a buon mercato, sta nella sua elaborazione culturale: prima deve assumere una forma adatta a qualcosa che somiglia a una “merce”. L’erotismo, inoltre, si è liberato dai legami che lo univano alla produzione dell’immortalità, sia sul piano fisico (la riproduzione della specie) che su quello spirituale (l’amore stesso come vertice); l’equivalente sul piano sociale è il passaggio dalla fama durevole, l’immortalità, alla notorietà: il quarto d’ora di celebrità pronosticato da Warhol per ciascuno. Bauman e Byung-Chul Han individuano nella forma fisica la chiave di volta della nuova sessualità, che ha eliminato tutto ciò che c’era di trasgressivo, torbido, ambivalente, e dunque anche di doloroso, nella pratica sessuale volta al piacere. Sade non è più di moda; e non si parla più neppure di amore e morte, fratelli gemelli, poiché la morte è stata espulsa dal sesso, sebbene poi rientri dalla finestra dell’efficienza salutista.
L’ansia di cui soffre una gran parte della popolazione occidentale, con punte di depressione endemica, è uno degli effetti di questo efficientismo, che ha proprio nell’universo Pop Porn il suo culmine, come mostra Di Marino rileggendo arte contemporanea e cinema. Il vero problema che l’erotismo postmoderno induce è quello della totale mancanza di una “norma”, non nel senso moralistico del termine, quanto piuttosto dei comportamenti adatti, individualmente e socialmente accettati. Il porno sdoganato del web spinge a consumare l’erotismo in modo sfrenato (il piacere è ovunque anche nel consumo degli oggetti sempre più erotizzati dalla pubblicità), e nel contempo le regole del politicamente corretto vietano di trattare l’altro – uomo, donna o trans – come un puro oggetto del piacere. Il mondo contemporaneo sembra diviso tra queste due istanze contrapposte, quando, come ci ricorda Bauman, in ogni incontro erotico, come ogni persona che ama sa bene, si è al tempo stesso oggetti e soggetti del desiderio dell’altro. Anzi, non è neppure concepibile senza che “i partner assumano entrambi i ruoli o meglio si fondano in uno solo”. Il destino, cui ci affida il sesso postmoderno, è quello della nevrosi psichica, con vantaggi inevitabili per tutti gli addetti alla nostra psiche, che oramai sono tanti.
(Il pezzo è già apparso su “La Stampa”)
*Foto in copertina: © Deborah Beer