Rizzoli ripubblica nel volume Pasolini, un uomo scomodo gli scritti che Oriana Fallaci ha dedicato a Pasolini, cui lo legò in vita una profonda, intensa amicizia e per il quale, dopo la morte, si batté per ristabilire la verità sulla tragica notte del 2 novembre 1975. Per lei, quella notte, una “luce” era stata spenta brutalmente in un feroce agguato premeditato, dai lividi contorni.
Quell’incontro mai avvenuto il 2 novembre 1975
di Pietro Salvadori
www.huffingtonpost.it – 22 ottobre 2015
“Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato”. Sono passati dodici giorni dalla mattanza dell’Idroscalo. Dodici giorni da quando il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini venne ritrovato ai margini di una banlieu del litorale romano. Dodici giorni dopo, Oriana Fallaci scrive il suo epitaffio, il suo omaggio feroce ad un uomo che l’aveva conquistata e affascinata. Si chiama semplicemente Lettera a Pier Paolo, ed è il cuore di Pasolini, un uomo scomodo, un volume in cui Rizzoli pubblica tutto quel che la giornalista scrisse sul poeta, tra ricordi personali e ricerca della verità sulle ultime ore di vita dell’amico.
“Sembravi un mucchio di immondizia e solo dopo che t’ebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo”. Piangono le parole della Fallaci. Piangono un destino che li portò a sfiorarsi nelle ultime ore di vita del poeta. Due rette parallele che non si intersecarono per un soffio, lasciando la traiettoria di PPP sul folle binario che lo portò a compiere il suo destino ad Ostia. Racconta la Fallaci: “Ventiquattr’ore prima che ti sbranassero, venni a Roma con Panagulis (il suo compagno dell’epoca n.d.r.). Ci venni decisa a vederti, risponderti a voce su ciò che mi avevi scritto”. Gli doveva una risposta a ciò che Pasolini le scrisse dopo aver letto Lettera a un bambino mai nato: “Ti odio per averlo scritto […] Non voglio leggerlo, mai. Non voglio sapere cosa v’è dentro la pancia di una donna. Mi disgusta la maternità. Perdonami ma quel disgusto io me lo porto dietro fin da bambino, quando avevo tre anni mi sembra, o forse eran sei, e udii mia madre sussurrare che…”.
A questo voleva rispondere la Fallaci. Una risposta che non arriverà mai:
Era un venerdì. E Panagulis ti telefonò a casa ma, alla terza cifra, si inseriva una voce che scandiva: «Attenzione. A causa del sabotaggio avvenuto nei giorni scorsi alla centrale dell’EUR, il servizio dei numeri che incominciano col 59 è temporaneamente sospeso». L’indomani accadde lo stesso. Ci dispiacque perché credevamo di venire a cena con te, sabato sera, ma ci consolammo pensando che saremmo riusciti a vederti domenica mattina. Per domenica avevamo dato appuntamento a Giancarlo Pajetta e Miriam Mafai in piazza Navona: prendiamo un aperitivo e poi andiamo a mangiare. Così verso le dieci ti telefonammo di nuovo. Ma, di nuovo, si inserì quella voce che scandiva: attenzione, a causa del sabotaggio il numero non funziona. E a piazza Navona andammo senza di te.
Alle dieci di domenica il corpo di Pasolini era già freddo. Fu uno strillone a comunicare brutalmente la notizia al terzetto. Una notizia mise in moto la sete di verità della giornalista, che sull’”Europeo”, per prima, condusse un’inchiesta per affermare che all’Idroscalo c’era stato un agguato, che Pino Pelosi non aveva massacrato da solo PPP per un rapporto omosessuale finito in tragedia. Articoli che le costarono impopolarità e denunce, ma che non rimpianse o rinnegò mai. “Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta?”.
Il telefono muto
da Pasolini, un uomo scomodo, di Oriana Fallaci, Rizzoli, Milano 2015
“Ventiquattr’ore prima che ti sbranassero, venni a Roma con Panagulis. Ci venni decisa a vederti, risponderti a voce su ciò che mi avevi scritto. Era un venerdì. E Panagulis ti telefonò a casa ma, alla terza cifra, si inseriva una voce che scandiva: «Attenzione. A causa del sabotaggio avvenuto nei giorni scorsi alla centrale dell’EUR, il servizio dei numeri che incominciano col 59 è temporaneamente sospeso». L’indomani accadde lo stesso. Ci dispiacque perché credevamo di venire a cena con te, sabato sera, ma ci consolammo pensando che saremmo riusciti a vederti domenica mattina.
Per domenica avevamo dato appuntamento a Giancarlo Pajetta e Miriam Mafai in piazza Navona: prendiamo un aperitivo e poi andiamo a mangiare. Così verso le dieci ti telefonammo di nuovo. Ma, di nuovo, si inserì quella voce che scandiva: attenzione, a causa del sabotaggio il numero non funziona. E a piazza Navona andammo senza di te. Era una bella giornata, una giornata piena di sole. Seduti al bar Tre Scalini ci mettemmo a parlare di Franco che non muore mai, ed io pensavo: mi sarebbe piaciuto sentir Pier Paolo parlare di Franco che non muore mai.
Poi si avvicinò un ragazzo che vendeva «l’Unità» e disse a Pajetta: «Hanno ammazzato Pasolini». Lo disse sorridendo, quasi annunciasse la sconfitta di una squadra di calcio. Pajetta non capì. O non volle capire? Alzò una fronte aggrottata, brontolò: «Chi? Hanno ammazzato chi?». E il ragazzo: «Pasolini». E io, assurdamente: «Pasolini chi?». E il ragazzo: «Come chi? Come Pasolini chi? Pasolini Pier Paolo». E Panagulis disse: «Non è vero». E Miriam Mafai disse: «È uno scherzo». Però allo stesso tempo si alzò e corse a telefonare per chiedere se fosse uno scherzo. Tornò quasi subito col viso pallido. «È vero. L’hanno ammazzato davvero». In mezzo alla piazza un giullare coi pantaloni verdi suonava un piffero lungo. Suonando ballava alzando in modo grottesco le gambe fasciate dai pantaloni verdi, e la gente rideva. «L’hanno ammazzato a Ostia, stanotte» aggiunse Miriam. Qualcuno rise più forte perché il giullare ora agitava il piffero e cantava una canzone assurda. Cantava: «L’amore è morto, virgola, l’amore è morto, punto! Così io ti piango, virgola, così io ti piango, punto!».
Non andammo a mangiare. Pajetta e la Mafai si allontanarono con la testa china, io e Panagulis ci mettemmo a camminare senza sapere dove. In una strada deserta c’era un bar deserto, con la televisione accesa. Si entrò seguiti da un giovanotto che chiedeva stravolto: «Ma è vero? È vero?». E la padrona del bar chiese: «Vero cosa?». E il giovanotto rispose: «Di Pasolini. Pasolini ammazzato». E la padrona del bar gridò: «Pasolini Pier Paolo? Gesù! Gesummaria! Ammazzato! Gesù! Sarà una cosa politica!». Poi sullo schermo della televisione apparve Giuseppe Vannucchi e dette la notizia ufficiale. Apparvero anche i due popolani che avevano scoperto il tuo corpo. Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato. Sembravi un mucchio di immondizia e solo dopo che t’ebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo. Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta?”.