Pubblichiamo un affilato contributo critico sui rapporti tra Pasolini e l’amico Paolo Volponi, di cui l’autore Ermes Dorigo è un autorevole esegeta e studioso. Lo scritto offre l’occasione per l’esame delle profonde consonanze e insieme delle divergenze che intercorsero tra i due intellettuali-scrittori, maestri irripetibili di un’epoca d’oro della cultura italiana del secondo Novecento.
Grazie all’autore per la segnalazione del suo saggio, che editiamo con la sua autorizzazione.
Il Pasolini di Volponi
di Ermes Dorigo
Pasolini: un viaggio lungo un anno tra remake, rifritture, riproposizioni acritiche, estemporaneità con qualche rara novità realizzata – come, ad esempio, il Centro Studi Pasolini di Casarsa-, o prospettata, che si muove in un sostanziale clima di ambiguità, tra riduzione-riappropriazione provinciale del poeta friulano e astrazione-divagazione accademica con il rischio, già in altra occasione paventato da Roberto Roversi, denunciando «l’uso e abuso dell’autore», di «celebrazione, giubilazione, imbalsamazione», con conseguente archiviazione-rimozione. Mancano oggi i maestri, ma non è detto che non servano più. Sembrava nel ventesimo anniversario che l’eredità spirituale di Pasolini si circoscrivesse nel triangolo i cui vertici erano formati da Naldini, Zigaina, il gruppo romano Betti-Siciliano. Accanto a queste interpretazioni più ‘rumorose’ ce ne sono, però, altre più discrete, più sommesse, ma certamente più intense, sentite e, soprattutto, ideologicamente più chiare. Personalmente, ritengo si debba almeno evidenziare e dare il giusto rilievo al giudizio che della sua vita e della sua opera dà Paolo Volponi, che di Pasolini fu amico dal 1952 («Abitava in via Fonteiana, dove io ebbi la fortuna di incontrarlo e di conoscerlo, frequentando anche la sua casa e legandomi d’affetto anche con i suoi genitori. Anche con il padre, appartato e accigliato, che però era sempre molto orgoglioso nel mostrarmi le poesie di Pier Paolo, pubblicate o tradotte»).
Entrambi maturano in quel punto di snodo della cultura italiana degli anni dal 1945 al 1955 circa, caratterizzato da antiermetismo e antineorealismo, su una linea neosperimentale, che si scontrerà, Pasolini soprattutto, anche con la neoavanguardia, e li terrà uniti, soprattutto per il comune legame con la nostra tradizione storica, culturale e letteraria e con la lezione di poesia etica e civile che veniva da Dante e dal suo plurilinguismo.
L’atteggiamento di Volponi nei confronti di Pasolini, per lui «maestro sapiente e amico fraterno», è di avvicinamento, consonanza, consentaneità e, nello stesso tempo, di distanziamento, dissonanza, distanza. Infatti, se comune era solo la matrice culturale, ma anche un grumo di dolore interiore, diversa era la soluzione, che i due diedero alla ‘gabbia dell’io’ come lucidamente dirà Volponi: «Scrivevo delle poesie per “venire fuori”, per non essere schiacciato dalla regressione, dall’ansia, dalla paura. Lui capiva benissimo queste cose, anche se io lottavo all’interno di quel conflitto mentre lui lo subiva radicalmente».
Qui divergono le strade; e mentre l’uno rimarrà legato al mito della “madre-società”, una madre primigenia e rurale («il cortile inazzurrato delle Alpi»), perché Pasolini del popolo «non ha accettato interamente la storia, ma soltanto l’umanità», l’altro perseguirà il progetto-sogno, utopia, mito? – della madre-industriale.
Però Pasolini non rimase del tutto prigioniero del narcisismo, come ci fa capire Volponi nella sua ultima opera poetica, Nel silenzio campale; «Pasolini si sentiva ferito; colpa e delusione/opprimevano il suo cuore e anche la sua intenzione /di opporsi, di avvertire; la sua stessa disperazione gli dava la coscienza della vita e la concrezione / della propria vitalità: quindi la destinazione /civile e letteraria sopra l’espressione di sé».
Pasolini uomo («maestro misurato, dolce, paziente, ironico, didattico; socratico innocente quanto disperato; portatore di serenità, di aiuto, di consigli; affascinante conservatore dal sorriso mite e triste, un dolce sorriso comprensivo e rassegnato» divenuto alla fine «ansioso e un po’ incerto, sempre più triste, emaciato e solitario») che diventa il Pasolini-allegoria di una «stagione /di dubbi e di ricerca, ansia di comprensione,/ viva e proponente ideologia» contrapposta alla presente, nella quale «non si possono più intra-/prendere viaggi, né sono pra-/ticabili percorsi di conoscenza; /non ci sono più luoghi di contra-/sti e di formazione, non la veemenza / dei maestri»: rimpianto, ma senza il “rimorso per la religione/del mio tempo” per 1’urbinate.
Volponi in Pasolini vedeva il limite della sua «posizione regressiva, astorica, nemmeno utopistica, ma soltanto di rimpianto per il bel mondo rurale», talora «senza un sicuro sostegno ideologico», per cui se era stato bravo a prevedere «il disastro ecologico, l’omologazione delle culture, la rovina delle città, lo sviluppo sfrenato del consumismo, la graduale dispersione della coscienza critica e democratica, l’imbonimento e la mercificazione della lingua, dell’arte, della letteratura», non lo era stato altrettanto nell’individuarne i rimedi, in quanto «alla fine, ne ha fatto un mistero mistico-letterario».
Ma allora qual è l’essenza dell’insegnamento del ‘maestro’ Pasolini, a vent’anni dalla sua morte?
Pasolini secondo Volponi è stato «un grande poeta civile, forse il più grande poeta della nostra letteratura dopo Leopardi, superiore a tanti del secolo scorso e del nostro, anche se celebratissimi, amatissimi, premiatissimi».
Volponi ritiene che la stagione più fulgida dell’amico sia stata quella tra il ‘55 e il ‘63; poi deviò, vuoi per la grande ostilità della neoavanguardia, che lo ferì profondamente: («cominciava a chiudersi in se stesso, ad avere degli allarmi sentiva che l’umanità degli affetti, che la sua psicologia in qualche modo esigeva, gli era negata»), vuoi perché si lasciò sedurre dal cinema e dal successo («era ambizioso in un modo un poco infantile»), che, sostanzialmente, lo distrasse dalla letteratura, facendolo «regredire un tantino: non era più il grande poeta, critico e uomo di lettere che veramente poteva improntare di sé la nostra epoca».
Per Volponi ciò che veramente dura di Pasolini e che costituisce saldo e sicuro punto di riferimento per la cultura democratica dell’Italia è la sua poesia civile e il suo modello di uomo di cultura-pedagogo – Pasolini e la pedagogia, Centro Studi Pasolini (il riferimento va al volume omonimo curato da Roberto Carnero e Angela Felice, Marsilio 2015, ndr.)-, che aveva capito come «il nostro popolo fosse estraneo ad ogni possibilità reale di partecipare e di scegliere; come fosse costretto – nei suoi dialetti, nelle sue piazze, nei suoi gruppi – a vivere una vita per certi versi ricca di rapporti, ma alla fine deprivata dalla cittadinanza, della possibilità di decidere».
La mancanza nella cultura italiana «è stata soprattutto quella di non assumersi la propria responsabilità di impegno civile e sociale, come sostegno e guida dei suoi valori specifici» e di lasciare spazio o di indulgere alle sottoculture, che fanno dell’assassinio di Pasolini un «delitto politico» perpetuato e voluto, in fondo, «dall’inconscio collettivo di strati piccolo-borghesi, bigotti e presuntuosi», da quel ventre molle della nostra società, regressivo e autoritario, impastato di controcultura, immaturità psicologica, ignoranza storica: «La morte appartiene alla vita di Pasolini, ma non certo come scandalo o esasperazione letteraria e tanto meno come oscura vocazione al suicidio: le appartiene intimamente per la sua essenza esemplare, didattica; perché diventa l’atto conclusivo dell’insegnamento e lo svela per intero, dando alla vicenda personale una ampiezza storica».
Pasolini aveva «un amore e un senso del nostro paese che dà speranza anche in questi momenti, in cui sembra che tutto sia rotto o stia per sprofondare, ancora nello stesso buio della regressione storica», per cui bisogna guardare alla sua vita e alle sue opere «come luce e materiale per la nostra cultura e anche per la costruzione della nostra democrazia».
[info_box title=”Ermes Dorigo” image=”” animate=””]già docente di italiano nelle scuole superiori, nonché e supervisore e docente nei laboratori di didattica della Lingua e della Letteratura italiana alla SSIS dell’Università di Udine, ha diretto fino al 1999 la Biblioteca Civica di Tolmezzo dove vive, curando anche le attività espositive organizzate a Palazzo Frisacco nella città carnica. Ha svolto un’intensa attività di critica letteraria e artistica, oltre che di giornalismo culturale su quotidiani e settimanali. Ha al suo attivo una vasta attività letteraria: in prosa Neuterio della lontra, con prefazione di Claudio Magris (premio Casentino 1987; Premio Campello [Perugia] di Poesia, 1974; Premio Cultura Sarda, Premio Gianfrancesco da Tolmezzo; Premio speciale della Giuria per la poesia, Casentino); Nello specchio incrinato. Paolo Volponi e Pier Paolo Pasolini (piéce teatrale), 1996; il romanzo Il finimento del paese, Kappa Vu 2006, con postfazione di Mario Rigoni Stern, la più approfondita analisi del Friuli e della Carnia in dimensione internazionale. In poesia vanno ricordati un Premio Campello con medaglia d’oro per Esistere! dal compromesso, Urbino 1978; Quadropoesie, 100 copie serigrafate, Urbino 1980; Le ceneri di Pasolini, 1993; Lo sguardo anacronico, 2000. Ha curato criticamente le pubblicazioni Anonimo da Tulmegio, Canzoniere petrarchesco del XVI secolo, 1988; Siro Angeli, Anthologica. Il teatro. La poesia. La critica, 1997 (finalista al premio Marino Moretti); Siro Angeli, Solevento (Poesie 1928-1931), 2008. E’ autore della biografia Michele Gortani, Studio Tesi, 1993 (salvo indicazioni contrarie tutti i libri sono editi da Campanotto, Udine) e del saggio Umanisti a Tolmezzo nel 1500, Andrea Moro ed., Tolmezzo, Udine: 2014.
Ha pubblicato inoltre su prestigiose riviste in Italia, USA e Canada: su “Problemi”di Giuseppe Petronio, Carlo Sgorlon, la ragnatela del solipsismo; su “Alfabeta”, direttori Eco, Volponi, Corti, Leonetti, Spinella, Porta, Calabrese, Per Maria Zef, I due poliziotti: Colombo e Derrick; su «Allegoria» direttore Romano Luperini, Dal sarcasmo all’antifrasi ironica: Il risorgimento di Leopardi; su “ZETA” ed. Campanotto, Udine: Un viaggio tra inferno e purgatorio; Con gli occhi di Medea…; su “La Panarie”, Udine, Siro Angeli: un poeta vero; “Tam Tam” di Adriano Spatola & Giulia Niccolai: Poesie visive; su “Poliscritture” di Ennio Abate, Scrittura da solitarietà; su “Dalla parte del torto” di Parma, Etimologia dell’Esistenza ovvero del Tempo e della Morte; su “Forum Italicum”, University Stony Brook, New York, L’amicizia tra Pietro Metastasio e il conte udinese Daniele Florio attraverso l’epistolario del “poeta cesareo”; sulla canadese «Rivista di Studi Italiani», diretta da Anthony Verna dell’Università di Toronto, Giovanni Artico di Porcia e il Progetto ai Letterati d’Italia d’iscrivere le loro Vite; La polimorfia della luna nei Canti di Giacomo Leopardi, La novella di Madonna Dianora, Decameron (X,5) di Boccaccio; un ampio saggio su I codici della Divina Commedia in Friuli lo ha pubblicato su «Dante Studies», rivista ufficiale della The Dante Society of America.
In ambito pedagogico da citare Profilo professionale del docente, in AA.VV., Formazione iniziale degli insegnanti di scuola secondaria a Udine, Primi contributi, Forum,Udine, 2004; La poesia dal manierismo al barocco. Un percorso didattico tra letteratura nazionale e letteratura regionale, in AA.VV., Formazione iniziale degli insegnanti…, cit.; Sulla Commedia di Dante. La tradizione del testo, i commenti e le illustrazioni con particolare riferimento ai codici del Poema in Friuli e al ‘Dante’ del pittore Anzil, in AA.VV, Incontri di discipline per la didattica, a cura di C. Griggio, Franco Angeli, Milano 2006.
Ha creato e dirige la rivista culturale on line GLOCK (GlobaLocale): www.globalocale.net/index.php.
Sito personale: xoomer.virgilio.it/ermesdor/clubnet/ermesdor/.[/info_box]