Pina Kalz, violino dell’”Academiuta”, di Gianfranco Ellero

Pina Kalz, anima musicale dell’”Academiuta di lenga furlana”

 di Gianfranco Ellero

 

 

Gianfranco Ellero, storico e studioso della cultura friulana,  traccia un delicato ricordo della violinista slovena Pina Kalz, che fu amica di Pasolini durante il periodo friulano della sua vita, gli fu accanto come anima muiscale dell’”Academiuta di lenga furlana”, gli ispirò la figura di Dina nelle pagine autobiografiche di Atti impuri.  

Per gentile concessione dell’autore, questo  scritto è ora ripubblicato dopo la prima uscita su “Il Gazzettino” del 18 aprile 2003 in  l’occasione della morte di Pina, avvenuta il 3 marzo di quell’anno.

La violinista Pina Kalz 

La conobbi di persona nel 1995, quando stavo curando il volume Ciasarsa, San Zuan, Vilasil, Versuta, numero unico della Società Filologica Friulana per il Congresso di Casarsa della Delizia, organizzato nel cinquantesimo di fondazione dell’ “Academiuta di lenga furlana”, lo straordinario gruppo letterario fondato e diretto da Pier Paolo Pasolini negli anni Quaranta.

Dopo il nostro primo incontro a Villa Opicina, nella casa della sorella, mi scrisse anche un paio di cartoline da Fiume o Rijeka, dove abitava, che gelosamente conservo e talvolta ritrovo fra le mie carte. Se rigurado la sua calligrafia aggraziata ma non leziosa, riemerge nella memoria una figura leggera, angelica, lucida e musicale.

Mi disse allora che la sua era un’antica famiglia carsolina; che il suo vero cognome era Kalc, trasformato in Kalz per renderlo adatto alla fonetica italiana; che quando vide per la prima volta un violino, a cinque anni, capì che quello era l’oggetto della sua vita, e così via sul filo dei ricordi sempre con tanta dolcezza nella voce, anche quando dalla memoria emergevano fatti tristi o tragici, come le persecuzioni fasciste che costrinsero il fratello farmacista ad “emigrare” a Casarsa, dove poté sopravvivere a bottega presso un collega di Università.

Quanto a lei, nata nel 1915 a Villa Opicina, dopo il diploma in violino a Trieste nel 1936, aveva iniziato a insegnare musica a Maribor, dove suonava nell’orchestra dell’Opera. Ma quando, nel 1941, i tedeschi hitleriani occuparono la Stiria, si era salvata dalla loro ferocia soltanto perché cittadina italiana. Poté quindi rientrare in Italia e rifugiarsi presso il fratello a Casarsa dove, due anni più tardi, conobbe Pier Paolo Pasolini.

Ecco come il poeta la descrive nel 1946  nei Quaderni rossi:

“Aveva trent’anni ma pareva una giovinetta. Magra, incolore, coi capelli selvaggi benché radi… Era sana, agile; parlava come una fanciulla. La conobbi nel febbraio del ’43. Subito dopo mi divenne necessaria per il suo violino; mi suonò dapprima il moto perpetuo di Novacek (recte: Janaçek) che divenne quasi un motivo del nostro incontro, e si ripeté in molte occasioni. La ricordo perfettamente nell’atto di suonarlo, con la gonna blu e la camicetta chiara. Ma presto cominciò a farmi udire Bach: erano le sei sonate per violino solo, su cui emergevano, ad altezze disperate, la “Ciaccona” e il “Preludio” della III; il “Siciliano” (recte: “La Siciliana”) della I. Le centinaia di sere che abbiamo trascorso insieme, dal ’43 al ’45 quando, finita la guerra ripartì per la Jugoslavia, mi danno la solita disperazione dell’inesprimibile, del troppo unico; tuttavia restava la musica come qualcosa di solido, di avvenuto senza equivoco e che riassume tutta la nostra tempestosa amicizia”.

Sulla base di questa testimonianza autentica, le chiesi se davvero la loro amicizia fosse stata “tempestosa”, un aggettivo inadatto al carattere della persona che mi trovavo di fronte.

Mi rispose che nel gruppo dell’”Academiuta” tutti si volevano bene e cercavano di aiutarsi. Lei stessa, ad esempio, aveva accompagnato  Susanna Colussi a un incontro con Guido sui monti della Resistenza nell’autunno del ’44. È probabile, quindi, che Pasolini dicesse il vero, ma soltanto per se stesso.

“Lui viveva in sé una contraddizione – aveva dichiarato Pina in una precedente intervista – e ne soffriva tremendamente. Poco prima che ci lasciassimo, avevo fatto discretissimamente una domanda, dicendogli che si dicevano delle cose su di lui. Mi rispose semplicemente: “E se fosse vero?”. Queste furono le sue ultime parole quando io partii”.

La violinista lasciò il Friuli, Pasolini, l’”Academiuta” nell’estate del 1945, e si trattò di un distacco definitivo. Si aggregò, infatti, a un’orchestra sinfonica triestina per una lunga tournée, e nel ’47 sposò a Fiume Dusan Peic, che era stato Presidente della Corte di Cassazione in Jugoslavia fra le due guerre.

La sua figura, tuttavia, rimane ben presente nella straordinaria storia dell’”Academiuta” e in due romanzi.

Pasolini, in Atti impuri, la chiama Dina e la colloca nel suo vero ruolo di maestra di musica: “…Si era in Giugno, la guerra era cioè terminata, e il Teatrino dell’Asilo, a Castiglione [Casarsa], era incolume. Poiché oltre che l’attore, il regista, il produttore io dovetti fare anche il tecnico e l’operaio, non fu davvero un facile compito il mio, tanto più che lo spettacolo era completato da un coro di giovanotti di Castiglione [Casarsa], che, perfettamente istruiti da Dina, avrebbero dovuto cantare villotte friulane”.

Pina non si riconosceva, invece, nel personaggio creato da Dominique Fernandez, l’autrice di Nella mano dell’angelo: però “ha inventato bene. – aveva dichiarato a Francesca Cadel nel numero unico citato – Potrei anche essere contenta, mi solleva su un piedistallo un poco più alto per la cultura musicale. Perché mi dà il compito di istruire Pier Paolo anche più profondamente, non soltanto teoricamente. Secondo lei io gli spiegavo il contenuto delle musiche in un modo in cui non sarei stata capace.”

Equilibrata e modesta, sapeva essere anche umorista, come quando mi disse che non bisogna sempre credere al poliglottismo degli attori e dei cantanti, persone dotate di grande memoria. E ricordava sorridendo l’imbarazzo di un cantante sloveno (o forse croato)  protagonista di Gianni Schicchi, che, di fronte al mazzo di fiori portato nel suo camerino da un’esuberante ammiratrice italiana, era stato capace di dire soltanto e stentatamente: “Non parlo italiano”!

Ma l’anima della giovane Pina rivive in altre pagine pasoliniane, come, ad esempio nella Memoria di un spetaculut, una prosetta in friulano nello “Stroligut di ca da l’aga” dell’agosto 1944:

“A disi il veir, chel Spetaculut al veva di essi semplicemente un Concerto: “Concerto di musica classica” da la violinista Pina Kalz. Ma – i ài pensàt – i nustris paisans, c’a son duciu studiàs e a mondi intelligèns, a si saressin stufàs un puc di che stolfa (…) e magari a ti varessin encia scuminsiat a bruntulà fuart cuntra chel violinut di oru, c’al ti suna Bach cu na vous di Cherubin. E alora i pensavi, a sarès miej varià cun qualchi biela ciantada …”.

 Si trattava, però, di istruire un coro. E allora, radunati alcuni giovanotti intorno a un pianoforte, entrò in azione Pina:

“Ulì i fantàs a si ingrumin intor dal piano; e la maestruta, la Kalz, in miès di lour a pareva enciamò pì picinina e zovinuta. A mi pareva un pitinut in miès di tanciu dindiàs; e se difisil scuminsià! I prins c’a no savevin di essi prins, i secòns c’a no savevin di essi secòns, e i bas, sot sot, c’a rugnavin coma un stantùf”.

Lo spettacolo, ripetuto due volte a Casarsa, fu poi replicato a Zoppola. La comitiva rientrò dalla trasferta su un carro, cantando il Ciant dai miej fantàs, una villotta composta da Pasolini e musicata da Pina Kalz: “Fantassutis di Ciasarsa/ zèit pai pras a cioj su flòurs:/ un massùt par vustra mari, / un florut par i ciantours.”

Accompagnata dalla pianista Delia Gabrielli, come leggiamo nel manifesto dello “spetaculut” riprodotto nel volume Pasolini e la musica di Roberto Calabretto (Cinemazero, Pordenone, 1999), il 2 luglio 1944 Pina aveva eseguito musiche di Gluck, Pagnani-Kreisler, Chopin, Smètana, Paganini, Listz e Monti, ma non si creda che vivesse nella torre d’avorio della musica classica. Dirigeva, come sappiamo, il coro dei “miej fantàs”; musicava le villotte (quartine di ottonari e settenari alternati) create da Pasolini  e collaborava alle sue ricerche sul campo, trascrivendo sui pentagrammi ninna-nanne e villotte che allora si cantavano nei nostri paesi. Alcuni degli spartiti da lei scritti furono poi pubblicati sugli “Stroligùs” dell’”Academiuta” e su “Ce fastu?”, la rivista della Società Filologica Friulana.

Pina appartiene quindi a pieno titolo alla storia della cultura friulana nel XX secolo e noi ci inchiniamo commossi alla sua memoria.

Nel 1995 a Opicina mi disse che da dieci anni non suonava più il suo strumento, ma le piaceva ancora guardarlo e toccarlo. Dal 3 di marzo di quest’anno la luce dei suoi occhi non prende più la forma armonica di quel legno musicale.

Oggi  “chel violinut di oru, c’al suna Bach cu na vous di Cherubin”, riposa a Zara, accanto al marito.