Per incontrare l’altro dobbiamo errare, cioè vagare ma anche sbagliare, di Samir Galal Mohamed

Un poeta italiano, di origine egiziana, trova un terreno d’incontro con Pasolini e il filosofo Giorgio Agamben intorno al fertile tema dell’errare/sbagliare e del rischio del dialogo con l’”altro”, come fonte di ricerca e conoscenza della verità probabile.

di Samir Galal Mohamed 

 www.corriere.it – Milano,  19 agosto 2014
http://lacittanuova.milano.corriere.it/2014/08/19/per-incontrare-laltro-dobbiamo-errarecioe-vagare-ma-anche-sbagliare

La poesia è un errare; lo è perché il poeta accetta il rischio incluso, per definizione, in qualsiasi scoperta o avventura. Che cos’è la ricerca se non questo perpetuo districarsi tra pericoli? Il mondo dell’ignoto si dischiude al ricercatore coraggioso, offrendogli «foreste di simboli», di corrispondenze (come scriveva Charles Baudelaire). A questo proposito, tornano attuali le parole di Pier Paolo Pasolini, che nel 1964 rispondeva a un lettore di “Vie Nuove: «[…] a un artista va lasciato il diritto all’errore almeno in quanto contraddizione o ipotesi precoce e ritardata.» L’errore viene così avvicinato alla ricerca: un compendio tra lo sforzo razionale del linguaggio e le nostre istanze irrazionali; viene a convergere con il dialogare, un fraintendersi continuamente risolvibile e una conclusione soddisfacente ma non definitiva.

Come evitare l’errore quando quotidianamente abbiamo a che fare con culture e tradizioni diverse? Sappiamo come la nostra contemporaneità liquida coincida con il momento di atomizzazione estrema, di vero e proprio isolamento, nel quale l’auto-interrogarsi si fa culmine dell’esperienza conoscitiva; dove ogni individuo, dissociandosi o, meglio, non associandosi in gruppi coesi, si priva della possibilità di essere contraddetto. È l’affermazione del monologo: l’interesse per la comprensione reciproca viene a mancare in virtù dell’assenza di ricercatori pronti al dialogo. Proprio come questo articolo, chi discute, chi partecipa è passibile di errori. E nessuno oggi vuole errare (e a ragion veduta).

Ciò che è altro, quindi, è necessariamente dialogo. Sempre. Ed è precisamente con l’altro che inneschiamo quel processo che determina un’esperienza inedita e una trasformazione interiore. Lì, si forma la conoscenza. Questo è il principio da riattivare: l’errare inteso non come manovra di ricerca casuale, ma come disposizione al confronto; confronto che, se irrimediabilmente comporta degli attriti, garantisce un accrescimento e una mutazione. L’errare non si fa semplice contraddizione – sistemica, logica ecc. – ma diviene apertura, disponibilità all’incontro con il nuovo, mescolanza con l’altro, lo sconosciuto. L’ignoto contiene infatti le due nozioni di errare riflesse e risolte: l’ignoto conquistato, cioè conosciuto attraverso la ricerca, e l’ignoto come fonte di possibile ma proficuo fraintendimento tra due lingue diverse, tanto per fare un esempio.

In questo senso, la poesia e la letteratura in generale riescono a darsi come luogo ideale dell’errare. L’orizzonte linguistico assicura una dimensione sterminata ma conoscibile o, meglio, percorribile perché già acquisita e in continua acquisizione. Allo stesso tempo possiamo esplorare, cadere in errore, seguire una pista sbagliata, in breve, proseguire la ricerca. Un mondo infinito in un mondo finito, proprio come il quotidiano. La finitezza del nostro passaggio si apre, in realtà, sempre a indeterminate combinazioni: incontri, esperienze, scoperte ed errori.

Giorgio Agamben nel ruolo dell'Apostolo Filippo nel "Vangelo" di Pasolini (1964)
Giorgio Agamben nel ruolo di San Filippo Apostolo nel “Vangelo” di Pasolini (1964)

Da qui, possiamo muovere verso la contemporaneità, instaurare un rapporto consapevole con il nostro tempo e la sua complessità. Secondo Giorgio Agamben, contemporaneo è «colui che percepisce il buio del suo tempo come qualcosa che lo riguarda e non cessa di interpellarlo, […] è colui che riceve in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo». Quel fascio di tenebra è proprio la porzione nascosta di mondo, di ciò che è altro: altro da interrogare e al quale rispondere. L’altro da cercare, da portare alla luce. Rifuggendo l’equivoco che sorge da nuove letture e scritture, perdiamo il carattere più vitale della ricerca, la sua incertezza, la sua volontà. E se perdiamo quel dato, quella scrittura presente che deve ancora venire, rinneghiamo la nostra componente nascosta – quindi da illuminare – di verità.

[info_box title=”Samir Galal Mohamed” image=”” animate=””]nato nelle Marche nel 1989 da madre italiana e padre egiziano, è autore di poesie che sono apparse su La Resistenza della Poesia (Urbino, aprile 2013), Poeti e Poesia (Roma, aprile 2014), C|E|L|E|S|T|E Autoproduzioni (Pesaro, giugno 2014) e Parcopoesia.it (agosto 2014). È stato inserito tra i sette autori che andranno a costituire il XII Quaderno di Poesia Italiana Contemporanea, edito da Marcos y Marcos (Milano). Il volume, curato da Franco Buffoni, verrà pubblicato nel marzo del 2015, con prefazione ai suoi testi di Gian Ruggero Manzoni.[/info_box]