La recente presentazione al Centro Studi Pasolini di Casarsa del libro Pasolini e la poesia dialettale (a cura di Giampaolo Borghello e Angela Felice, Marsilio 2014) ha stimolato Paolo Medeossi, giornalista ma soprattutto appassionato studioso della cultura friulana, ad alcune interessanti osservazioni sui rapporti tra Pasolini e alcuni rari amici friulani, tra i quali in particolare il medico ed editore-mecenate Luigi Ciceri; sul vivido clima del dopoguerra udinese; sui passaggi di testimone tra diverse generazioni di poeti locali. Osservazioni che riprendiamo volentieri dal sito del “Messaggero Veneto” in cui sono state pubblicate venerdì 3 marzo 2015.
Il carteggio Pasolini-Ciceri
di Paolo Medeossi
www.messaggeroveneto.gelocal.it/il-carteggio-ciceri-caro-pasolini-con-te-i-friulani-intelligenti – 3 marzo 2015
«Qui in Friuli siamo ricaduti in pieno romanticismo. Trionfa il barocco e il folclore piú vieto. Ho dato le dimissioni dalla Filologica perché non voglio essere un conformista». Queste parole vennero scritte il 19 dicembre 1952 mentre risalgono al 20 gennaio 1965 queste altre, altrettanto significative: «Si fa vivo il tuo vecchio amico che continua a curare le bacche di una scialba umanità di provincia. Mi fanno molto piacere i tuoi successi: i friulani… intelligenti sono orgogliosi di te. Da due anni sono di nuovo vicepresidente incompreso della Filologica. L’altro giorno in consiglio ho chiesto l’autorizzazione a pubblicare le tue poesie dimenticate. Mi aspettavo un no, invece con mia sorpresa hanno detto un sì entusiasta. Ne faremo un libretto bellissimo …». Attraverso confidenze, sfoghi e richiesta di informazioni, si sviluppò così fra il 1951 e il 1975 un rapporto importante e utile per ricostruire i momenti di un’amicizia sincera e il quadro d’insieme della cultura friulana dopo la traumatica partenza di Pier Paolo Pasolini, che in una mattina del gennaio 1950 con la mamma Susanna salì su un treno a Casarsa per lasciarsi alle spalle lo scandalo e un mondo che qualche tempo dopo definì «una jungletta di cobra e jene».
Rifugiatosi a Roma entrò in una nuova dimensione, umana e letteraria, conservando rari contatti con i sette incredibili anni vissuti tra Versuta, Valvasone, Udine e dintorni. Ci furono così gli scambi con Gianfranco D’Aronco, definito «amico e avversario», e ci furono soprattutto quelli con un protagonista notevole a quei tempi, il dottor Luigi Ciceri, un organizzatore culturale al quale il Friuli deve moltissimo, in tanti settori. Assieme alla moglie Andreina Nicoloso, dalla villetta di Tricesimo si dedicò, con passione assoluta e disinteressata, a una intensa attività di ricerca e divulgazione, lasciata poi in dono alla comunità. A tanti anni di distanza, l’abitazione con il parco resta però chiusa aspettando che qualche amministratore si dia da fare mentre il patrimonio archivistico e le opere raccolte dai coniugi Ciceri (partivano in Lambretta o sulla Topolino per esplorare il mondo sommerso prima che arrivassero i “padovans” a portar via il meglio) sono stati distribuiti tra musei e istituzioni. Così le lettere del carteggio con Pasolini, in tutto 51, sono ora conservate a Casarsa nel Centro Studi presieduto da Teresa Tassan Viol e diretto da Angela Felice, un luogo che diventa sempre più centrale ed essenziale per capire l’intreccio friulano, in quanto parlando di Pier Paolo nascono rivoli e diramazioni in grado di condurre a tutti i personaggi più significativi del secondo Novecento.
Esaminate e ordinate da una giovane ricercatrice, Maura Locantore, le lettere sono state pubblicate per la prima volta nel libro Pasolini e la poesia dialettale, a cura di Giampaolo Borghello e Angela Felice, edito da Marsilio in una collana arrivata al quarto numero per fornire materiale di riflessione a studiosi e lettori. In questo caso, il testo riunisce in maniera organica i contenuti e i saggi di un convegno tenuto nel 2012 per rileggere l’apprendistato poetico di Pier Paolo nel periodo trascorso in Friuli, secondo aggiornati punti di vista linguistico-letterari. Diventa in tale ambito fondamentale l’amicizia tra il giovane autore e il medico di Tricesimo (nato nel 1911, si laureò a Padova, specializzandosi poi in Stomatologia, per la quale creò il reparto nell’ospedale di Udine). Ciceri divenne infatti l’editore mecenate di Pasolini conquistando meriti straordinari, ma adesso poco riconosciuti. Nel 1953 fece stampare a Tricesimo, fra sofferenze inaudite a causa di refusi e disattenzioni varie del tipografo, il libretto Tal còur d’un frut, un preludio di quanto avvenne l’anno dopo con la summa poetica La meglio gioventù proposta da Sansoni. Ma a Luigi Ciceri si deve un altro miracolo grazie alla casuale scoperta del manoscritto con il testo teatrale dei Turcs tal Friùl, un gioiello che ebbe tre versioni, nato nel 1944 quando il poeta aveva appena 22 anni. «Forse la miglior cosa che io abbia scritto in friulano», confidò Pasolini a D’Aronco. Il carteggio ora recuperato si sofferma su questi ritrovamenti mentre, come si accennava all’inizio, Ciceri non manca di raccontare amarezze e problemi vissuti nel piccolo ambiente friulano dopo le ebbrezze di fine guerra, nel fervore d’un periodo difficile e irripetibile. In un messaggio del 1958 il medico (scomparso nel 1981) parla pure di uno dei rari ritorni a Udine di Pasolini, per la presentazione del romanzo L’isola di Arturo di Elsa Morante. Delusione anche lí: i giornali nemmeno lo citarono, quasi fosse un’ombra rimossa del passato. Ciceri lo convinse poi a partecipare a un concorso di poesie della Filologica. Alla fine mandò i suoi versi con il motto “Cheste malinconie”. Arrivò secondo, dietro a Lelo Cjanton.
Questo e molto altro c’è nel libro Pasolini e la poesia dialettale, presentato sabato ⌊si tratta di sabato 28 febbraio 2015, ndr⌋ a Casarsa, con interventi di Angela Felice, Giampaolo Borghello e del professor Angelo Vianello, che ha proposto un suo ricordo di Amedeo Giacomini, il poeta di Varmo che, come spiegano in un dialogo Gian Mario Villalta e Pierluigi Cappello, raccolse l’eredità pasoliniana trasmettendola agli straordinari autori dei nostri anni Novanta. Di Giacomini, Umberto Alberini narra nel libro un aneddoto appreso dalla moglie Sandra: in una serata estiva, dopo il controfestival cinematografico che Zigaina e Pasolini organizzavano a Grado (che tempi!), Amedeo e Pier Paolo si mettono a parlare, da soli, in una strada deserta. Un’immagine bellissima, nel caldo silenzio notturno delle strette calli dell’isola. Potrebbe essere l’inizio di un film. Basta farlo, la storia c’è e aspetta da troppo tempo.