«[…] qualche considerazione sull’opera di Pasolini, così spesso fraintesa»: con queste parole di cautela, sul “Sole24ore” del 27 settembre 2015, il critico Filippo La Porta introduce una sua agile riflessione su Pasolini, che di lì a pochi giorni sarebbe stato oggetto di una miriade di omaggi per i quarant’anni dalla morte. Con qualche taglio, riproponiamo ora quel ritratto, che si segnala per l’indipendenza di giudizio e per la capacità di cogliere in Pasolini le geniali contraddizioni non meno che l’amore inesausto per la vitalità sincera.
L’intellettuale disorganico
di Filippo La Porta
www.archiviodomenica.ilsole24ore.com – 27 settembre 2015
[…] Nelle varie celebrazioni dello scrittore colpisce sempre il goffo tentativo di appropriarsene, di ridurlo a santino, di trasformarlo in una improbabile bandiera per battaglie civili o di poetica. Pasolini è invece meravigliosamente inutilizzabile: un intellettuale disorganico a tutto, e che ancora oggi potrebbe scandalizzarci con qualche “lettera luterana”. La sua multiforme produzione fa pensare a una incontenibile, abbagliante improvvisazione: prove, assaggi, esercitazioni sempre un po’ provvisorie, simulazioni, opere incompiute fatte da un geniale e onnivoro dilettante incline a “falsificare lingue e competenze”(falsifica il provenzale, si improvvisa dantista, inizia a girare film ignorando tutto della tecnica…). E predilige l’abbozzo, il frammento, la scaletta di appunti, etc. perché tutto questo somiglia alla realtà: instabile, mai completamente rifinita.
Non c’è un punto del suo pensiero in cui non si contraddica. La sua figura retorica è quella dell’ossimoro, che forse solo la poesia riesce a contenere. Ammirava i “mistici della democrazia” della New Left americana, ma nello Yemen prova simpatia per un regime di tipo medioevale. Fino all’ultimo si dichiara comunista eppure smascherò il marxismo come retorica del nuovo ceto progressista. Fisiologicamente estraneo alla società letteraria ma instancabile promotore di se stesso (smaniò per vincere lo Strega). Maestro per vocazione però scettico verso la pedagogia. Conduceva una vita spericolata ma nel fondo aspirava a una esistenza sana e normale. Voleva essere poeta di versi, fin dall’età di 14 anni, ma è stato soprattutto un grande saggista, dotato di una lingua poetica. Spesso arruolato tra i grandi reazionari, tuttavia non si stanca di ripetere che la sua è una critica non della modernità ma di questa (sfigurata) modernità italiana. Oscillante tra promiscuità sessuale e segreta tentazione della castità. Perseguitato ad oltranza, e in modo vergognoso: eppure aveva bisogno anche del martirio per poter essere “produttivo”(del torbido noir della sua fine non ci importa nulla: però evoca l’assassinio sull’Orient-Express, poiché tutti avevano una qualche ragione per volerlo morto). […]
Dov’è allora la sua assoluta grandezza? In cosa attrae magneticamente un ventenne di oggi? Direi essenzialmente: nel suo “metodo” intellettuale. Non tanto e non solo le idee, i contenuti, ma il “come” pensava e si rappresentava le cose. Non c’è riga o immagine o verso di Pasolini che non riveli per intero il vissuto, la palpitante emotività da cui nasce. Dunque: una disarmata trasparenza emotiva ed esistenziale, qualità rara nel nostro panorama culturale. Leggendolo sembra che si rivolga direttamente proprio a te che lo leggi. […]
La fonte delle sue contraddizioni è un originario ( e quasi gnostico) rifiuto della vita, il desiderio di non nascere, di restare nella “perfetta solitudine” del ventre materno, ma poi – una volta “caduto” in questo mondo di tenebre – si innamora “ferocemente” della vita (il suo vitalismo, sia detto per inciso, non ha alcuna analogia con quello dannunziano: per lui la bellezza contiene sempre un elemento morale). Se volessi indicare una sola opera – anche come primo approccio a Pasolini – capace di riassumere poeticamente questa “ispirazione”, indicherei il cortometraggio Che cosa sono le nuvole ?, del 1968. […]
Alla Storia Pasolini non credeva più, ma d’altra parte la Storia non è l’ultima parola sull’esistenza: «Quanto più è vano\ – in questo vuoto della storia, in questa \ ronzante pausa in cui la vita tace\ – ogni ideale, meglio è manifesta \ la stupenda adusta sensualità». Esiste un luogo ad essa inaccessibile, che ha a che fare con il sacro e con il mito, con un tempo arcaico-circolare, con la verità (non interamente razionalizzabile), con la purezza della lingua quando rivela il mondo per la prima volta.
E anzi la sua inesausta critica del Potere, della Storia, dello Sviluppo si alimenta di un amore “allucinato” per la vita (la borghesia invece non ama la vita “perché la possiede”), per la felicità reale (che non lascia tracce), per la “religione di ogni giorno”, per l’umanità più umile e ignara di avere diritti, per il passato (non idillio ma unica forza davvero antagonista) e per la cultura (che custodisce il passato).
Pasolini non è edificante né consolatorio, e vano sarebbe cercare nella sua opera una qualche coerenza. Ma se ci accostiamo ad essa in modo disinteressato, senza volerne estrarre slogan o tweet mondanamente spendibili, possiamo imparare tantissimo.
*Foto in copertina: © Marisa Rastellini, 1962