di Mauro Petruzziello
www.freequency.it – 2 dicembre 2014
Pasoliniano è un aggettivo pericoloso. Prima o poi è toccato, con troppa semplicità e leggerezza, a molti registi e musicisti. Bastava un muro scrostato di periferia o un’allusione al fascino decadente delle borgate ed era fatta: c’era qualcosa di pasoliniano. Il fascino delle periferie si è impantanato in una stereotipata estetica delle periferie: luoghi borderline che ancora conservano intatta una sorta di purezza primitiva. Ultimo ma sicuramente non ultimo, Mario Venuti che con la canzone e il video di Ventre della città è andato a parare proprio lì, nel pasoliniano.
Il percorso è questo: dalla musica a Pasolini. E cosa succede, invece, se la rotta è invertita? Voglio dire, se da Pasolini si passa alla musica? Che rapporti ebbe il poeta di Casarsa con quella che allora era chiamata la “canzonetta”? Verso la musica leggera l’intellettuale friulano nutrì un rapporto di amore/odio: avrebbe voluto odiarla con la nervosa spontaneità del cuore aperto, ma ne comprendeva il potere di seduzione. Se da una parte egli riteneva la canzone – la “canzonetta” – uno strumento piccolo-borghese, non realmente popolare ma anzi capace di corrompere con lo stesso perverso potere della televisione, dall’altra amava quello che definiva il “timbro orgiastico” dei juke-box e finiva per cedere al fascino della pop music. Anzi, sosteneva che le canzoni avessero il potere di rievocare, come poche cose, il “tempo perduto”. Pasolini non seppe resistere al loro fascino. E si trovò a scrivere, dal 1960 in poi, una manciata di brani che aderiscono solo in parte al pop, visto che l’impalcatura intellettuale che li sorregge non garantisce quella vera leggerezza che, come gas elio, gonfia le canzoni. Ciò non toglie che possano suonare in una playlist.
Laura Betti: Macrì Teresa detta Pazzia
Laura Betti, “La Giaguara”, come la chiamavano per quella famelica sensualità, fu amica di Pasolini dal 1958. Certo, oggi è conosciuta più per il suo volto al cinema, ma allora cantava nei cabaret e il jazz era il suo pane quotidiano. E in questa canzone swinga spalmando sulle note la crudele storia di una prostituta che non vuole fare il nome del suo protettore, perché lo ama. Sullo sfondo la Roma delle borgate. La musica è di Pietro Umiliani.
Gabriella Ferri: Il valzer della toppa
Come Macrì Teresa detta Pazzia fu scritta, insieme a Umiliani, per Giro a vuoto, lo spettacolo di Laura Betti che debuttò al Teatro Gerolamo di Milano nel 1960. Un’altra storia di un’altra prostituta che si ubriaca e salta il turno di lavoro per godersi un frammento di libertà. In questa versione, Gabriella Ferri indossa sulla sua pelle i panni del personaggio, maltrattando le parole con una voce alticcia da cui proviene un alito che sa di quel quartino ubriacatore e di una maledetta poesia.
Valentina Lupi: Cristo al Mandrione
Ancora musiche di Umiliani, ancora il progetto di scrittura per Giro a vuoto di Laura Betti. Ma di questo bozzetto di disagio e implorazione, di fango e ricerca di redenzione, di bassissimo e altissimo, si è fatta straordinaria interprete anche Gabriella Ferri. E più recentemente Valentina Lupi che la aggiorna seguendo le coordinate di un indie-rock molto atmosferico e ricucendo perfettamente lo strappo fra oggi e quando il pezzo è stato scritto.
Domenico Modugno: Uccellacci e uccellini
Nel 1966 Pier Paolo Pasolini girò il suo Uccellacci e uccellini. Un film controverso in cui riuscì a fare a pezzi la maschera di Totò mostrando il nudo volto di chi la indossava: l’attore Antonio De Curtis. Il colpo da maestro arriva subito, con i titoli di testa non solo scritti sullo schermo, ma versificati dal regista, affidati alla musica di Ennio Morricone e alla voce di Domenico Modugno. Che, nello stesso anno, vinceva il Festival di Sanremo con Gigliola Cinquetti e Dio, come ti amo.
Domenico Modugno: Cosa sono le nuvole?
Non è un classico, eppure l’hanno interpretata gli Avion Travel, Nevruz e addirittura il trio Fabi, Silvestri e Gazzè. Ma è la voce di Modugno, che è anche autore delle musiche, a legarsi inscindibilmente a questa canzone che apriva l’episodio Cosa sono le nuvole?, girato da Pasolini per il film collettivo Capriccio all’italiana (1967). Amore folle, amore disperato, amore che non lascia il respiro. In altre parole, la tragedia della gelosia di Otello, che nel film cambia di segno lasciando le due marionette Totò e Ninetto Davoli liberi di guardare il cielo e di interrogarsi sulla bellezza delle nuvole.