Firenze rende omaggio a Piero Tosi, mirabile artifex del costume d’autore
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Dopo questa estate a Spoleto, anche Firenze onora uno dei più grandi maestri della creatività italiana messa al servizio del cinema: il costumista Piero Tosi, incoronato nel 2013 dal premio Oscar onorario alla carriera con questa prestigiosa motivazione “Piero Tosi, un visionario i cui incomparabili costumi superano il tempo facendo vivere l’arte nei film”.
Il 1^ ottobre, dunque, alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti diretta da Caterina Chiarelli (chiusura l’11 gennaio 2015), sarà inaugurata la seducente mostra “Omaggio al Maestro Piero Tosi. L’arte dei costumi di scena dalla Donazione Tirelli”, con l’esposizione di una quindicina di meravigliosi abiti di scena creati dal maestro. Questi sono esposti nella sala da ballo del museo, nell’allestimento coordinato dall’architetto Mauro Linari, e costituiscono un nucleo di grande importanza storica e di innegabile fascino della ricca donazione fatta da Umberto Tirelli alla Galleria del Costume nel 1986, comprendente abiti storici e costumi teatrali e cinematografici.
E’ un viaggio nell’immaginario fiabesco del cinema italiano d’autore, attraverso gli abiti che hanno impreziosito pellicole come Ludwig e L’innocente di Luchino Visconti, La vera storia della Signora delle Camelie di Mauro Bolognini, Al di là del bene e del male di Liliana Cavani, Traviata di Franco Zeffirelli, Medea di Pier Paolo Pasolini, Il malato immaginario di Tonino Cervi e La locandiera di Giorgio De Lullo.
Quindici abiti, indossati da grandi attrici e attori in pellicole che sono tutt’oggi considerate capolavori della cinematografia. Così l’eleganza appena militaresca del milieu austroungarico si mostra nelle creazioni di Tosi per lo splendido Ludwig – indossati dall’altrettanto splendida Romy Schneider -, mirabile affresco sulla vita di un sovrano riformatore e sognatore, al di fuori delle etichette di corte. Per ottenere l’effetto di “antico”, insistentemente cercato da Visconti, i tessuti da utilizzare per i costumi furono sottoposti a lunghi e numerosi trattamenti in modo da renderli lucidi e in grado di riflettere una luce “alla Morandi”. Ugualmente evocativi, gli abiti indossati da Laura Antonelli ne L’innocente, tratto dall’omonimo romanzo di D’Annunzio, e legato a un decadentismo esasperato.
Su corde opposte al formalismo di Visconti, gli abiti di scena della Medea pasoliniana, che esprimono tutto il sapore della civiltà arcaica e tribale, una civiltà che, per Pasolini “a toccarla sembra andare in polvere”, ed è proprio questa sensazione che ritrovò negli abiti ideati da Tosi e che furono indossati dall’indimenticabile Maria Callas.
E ancora, il Settecento appena sguaiato del Malato immaginario e della goldoniana Locandiera, accanto all’Ottocento libertino della Signora delle Camelie, riletta da Mauro Bolognini in uno dei suoi film più emblematici. Interessante la scelta di inserire un abito di scena di Al di là del bene e del male, suggestiva pellicola di Liliana Cavani ispirata a Friedrich Nietzsche.
Un omaggio emblematico, dunque, ad un grande artefice dalla bellezza, di cui sono noti l’ascetismo e la totale dedizione alla sua arte. E infatti “Piero Tosi – scrive Alberto Arbasino in uno dei suoi Ritratti italiani (Adelphi) – continua a ritirarsi nell’ombra, a non uscire di casa, a non frequentare nessuno, a chiudersi nella sua ritrosia e nel lavoro, a sfuggire le prime, i parties”, tanto che se ne è rimasto a casa anche in occasione della consegna dell’Oscar, un po’ come avveniva negli anni d’oro della Hollywood sul Tevere, in cui si favoleggiava che non avesse mai messo piede in Via Veneto. Qui di seguito una scheda sulla carriera impareggiabile di questo esemplare artista, che ama stare dietro le quinte.
Piero Tosi
costumista teatrale e cinematografico, è nato a Sesto Fiorentino (Firenze) il 10 aprile 1927. Avvalendosi di una solida preparazione culturale e di un gusto raffinato, ha offerto un importante contributo al rinnovamento del costume, ripensandolo non più come un’aggiunta al personaggio ma come una componente fondamentale della sua definizione, ovvero ‒ in base al principio che un abito deve essere letteralmente habitus ‒ come un elemento che deve porsi in stretta relazione con i suoi connotati specifici. L’attività di Tosi si è legata in modo privilegiato alle regie di Luchino Visconti, con cui ha collaborato per 28 anni. Ha ricevuto nove Nastri d’argento, due David di Donatello, due BAFTA Awards, cinque nominations all’Oscar e il President’s Award della Costume Designers Guild, l’associazione dei costumisti americani, oltre all’Oscar onorario alla carriera nel 2013.
Studiò a Firenze, prima all’Istituto d’arte e poi all’Accademia di Belle Arti, dove ebbe tra gli insegnanti Ottone Rosai. Iniziò l’attività di costumista nel 1947 in teatro. Nel cinema, per i primi venticinque anni si dedicò in prevalenza ai film di Visconti, nei quali fornì d’altronde i risultati migliori. Esordì come responsabile dei costumi di Bellissima (1951), intraprendendo quella ricerca di abiti presi dalla realtà che sarebbe diventata una sua caratteristica per i film di ambientazione contemporanea: così avvenne per il tailleur di Maddalena Cecconi (Anna Magnani), ‘sottratto’ a una signora che lo indossava e sottoposto a un bagno nel tè per adattarlo alle esigenze fotografiche del film. Fu poi collaboratore di Marcel Escoffier per i costumi ottocenteschi di Senso (1954), e responsabile per quelli contemporanei di Le notti bianche (1957) e di Rocco e i suoi fratelli (1960). Il candore di Natalia (Maria Schell) venne sottolineato in Le notti bianche da abiti con colletti bianchi, mentre l’aria da sognatore di Mario (Marcello Mastroianni) da un intervento sul trucco (al quale, come alle acconciature, Tosi dedicò sempre molta attenzione), che sottrasse l’attore all’immagine da ‘povero ma bello’ dei suoi primi film. In Rocco e i suoi fratelli scelse l’abbigliamento tipico dei mercati per Rocco e Simone Parondi (Alain Delon e Renato Salvatori), connotando invece il manager Morini (Roger Hanin) e la prostituta Nadia (Annie Girardot) con un misto di decoro e cattivo gusto piccolo-borghese. Il Gattopardo (1963) rappresenta uno dei vertici del magistero di Tosi, per l’accuratezza nella ricostruzione degli abiti storici (fra i quali celeberrimo quello del ballo finale indossato da Angelica-Claudia Cardinale), che, tuttavia, sono sempre pensati in relazione sia con il personaggio sia con l’attore, come il frac indossato ‒ con effetto ironico sulla figura tarchiata ‒ da Calogero Sedara (Paolo Stoppa). Dopo gli abiti contemporanei in Il lavoro (1962), episodio del film collettivo Boccaccio ’70, in cui utilizzò per Pupe (Romy Schneider) una mise di Chanel, e in Vaghe stelle dell’Orsa (1965), tornò a quelli d’epoca in La caduta degli dei (1969), per il quale avviò un’altra accurata documentazione, questa volta sulla moda degli anni Trenta. In Morte a Venezia (1971) il cappello di Tadzio (Björn Andresen) sottolinea il referente su cui egli è modellato, tra donatelliano e leonardesco, mentre l’aura eterea di sua madre (Silvana Mangano) viene resa dagli abiti leggeri e fluttuanti; molta cura fu dedicata al trucco di Gustav von Aschenbach (Dirk Bogarde), che aveva una precisa funzione narrativa. Nuovi grandi impegni attesero Tosi con Ludwig (1973) ‒ si pensi al mantello che il re di Baviera (Helmut Berger) indossa durante l’incoronazione ‒ e con L’innocente (1976), dove i colori (il nero, il rosso, il fucsia) connotano la posizione sociale dei personaggi femminili.
Nel lungo periodo in cui lavorò per Visconti Tosi indirizzò talora la sua attività verso film di modesta levatura e tuttavia interessanti come riflesso dello spirito del tempo (tra cui Vacanze a Ischia, 1957, di Mario Camerini). Raggiunse notevoli esiti in opere più importanti come I compagni (1963) di Mario Monicelli, di ambientazione ottocentesca ma popolare, o Medea (1969) di Pier Paolo Pasolini, dove realizzò costumi, monili e copricapo improntati a un gusto etnico e arcaico, ma anche fastoso.
Dopo la morte di Visconti Tosi ha inventato bizzarri abiti per La cage aux folles (1978; Il vizietto) di Edouard Molinaro, o si è dedicato nuovamente a quelli storici, come nel caso di Il malato immaginario (1979) di Tonino Cervi, La dame aux camélias (1981; La storia vera della signora delle camelie) di Mauro Bolognini (con cui ha lavorato più volte) oppure La traviata (1983) e Storia di una capinera (1993, ultimo film cui ha offerto il suo importante contributo), entrambi di Franco Zeffirelli, altro regista con cui ha spesso collaborato. Nel corso della sua carriera ha lavorato anche con Vittorio De Sica, Federico Fellini, Liliana Cavani. Da alcuni anni insegna storia del costume alla Scuola nazionale di cinema di Roma.
Bibliografia
S. Masi, Costumisti e scenografi del cinema italiano, 1° vol., L’Aquila 1989, pp. 169-80
C. d’Amico de Carvalho, G. Vergani, Piero Tosi: costumi e scenografie, Milano 1997.