Segnaliamo un altro intervento apparso sulla stampa quotidiana del Friuli Venezia Giulia per l’occasione della nascita, settanta anni fa, dell’Academiuta di lenga furlana, cenacolo poetico fondato da Pasolini a Versuta il 18 febbraio 1945. Per “Il Gazzettino” del 17 febbraio 2015 , ne coglie gli aspetti di rottura -letteraria, linguistica e politica- il giornalista e studioso Walter Tomada, che nel 2013, per i tipi di Biblioteca dell’Immagine, ha curato il volume Udine. Antologia dei grandi scrittori, organizzato come un bilancio critico degli ultimi 150 anni di letteratura a Nordest.
di Walter Tomada
www.ilgazzettino.it – 17 febbraio 2015
Certo, tutti aspettano il 2 novembre e i 40 anni dalla sua oscura fine all’Idroscalo di Ostia. Ma in questi giorni ricorre un altro importante anniversario: sono passati 70 anni da quel 18 febbraio 1945 quando Pier Paolo Pasolini fondò a Versuta l’Academiuta di lenga furlana, ispirato anche dall’ebreo goriziano Graziadio Isaia Ascoli, linguista e glottologo morto nel 1907, studioso dei dialetti italiani e che per primo aveva descritto scientificamente la lingua friulana.
In quegli anni e in quel contesto –l’Italia era ancora in guerra e il Friuli sotto l’occupazione nazista e delle milizie fasciste- fu un gesto di portata rivoluzionaria, ben oltre l’effettiva durata e i risultati raggiunti da questo istituto di lingua e poesia che pure produsse cinque numeri dello “Stroligut”, utili a consolidare lo spirito di quelle Poesie a Casarsa che restano l’esito forse più alto di ogni tempo della lirica in marilenghe.
L’Academiuta fu sovversiva sia politicamente sia artisticamente, giacché investire sul friulano, allora, era una coraggiosa utopia. In campo politico va sottolineato come la pratica scritta di questa lingua fosse stata esplicitamente e drasticamente vietata durante il ventennio fascista. Riscoprirne, promuoverne e sostenerne la valenza era gesto ribelle in sé, in un momento in cui la dittatura –pur al tramonto- non era ancora morta: e scoprire la propria lingua come mezzo di espressione letteraria era in ogni caso adesione al popolo, alla parte più intima e vera del suo inconscio collettivo.
Ma il secondo aspetto rivoluzionario sta nel fattore culturale: l’ingegno di Pasolini colse la profondità di una lingua romanza ancora vergine, priva di una tradizione consolidata e anzi mortificata dallo zoruttismo vernacolare, e la trasformò nel veicolo più felice del sogno di un Friuli che trova la sua emancipazione culturale nel solco delle tradizioni letterarie romanze delle altre “Piccole Patrie” d’Europa. Prima tra tutte il félibrismo provenzale, con il modello di Frédéric Mistral assurto addirittura alla gloria del Nobel: ma anche i Grigioni, la Catalogna.
Il « cristian furlanut » di “veça salut” è la “parola pura” che rigenera e costruisce una identità, radicata nel passato ma completamente nuova. Due anni dopo, questa idea troverà un contraltare politico nell’adesione al Movimento Popolare Friulano per l’Autonomia, che però Pasolini lascerà presto per la sua deriva democristiana.
Nel 1947 si spegnerà anche l’esperienza di quest’accolita letteraria nata all’insegna di «friulanità assoluta, tradizione romanza, influenza delle letterature contemporanee, libertà, fantasia»: una realtà che si apriva programmaticamente alle altre arti. Tra gli altri membri (Cesare Bortotto, Riccardo Castellani, Nico Naldini) c’erano anche i pittori sanvitesi Federico De Rocco e Virgilio Tramontin e la violinista slovena Pina Kalc.
Pasolini aveva oscillato a lungo tra scrittura e pittura, ma scelse la prima e diventò la coscienza eretica più alta del secondo Novecento italiano, capace ancora oggi di parlare al mondo con accenti profetici che lo rendono uno degli intellettuali più fertili e studiati della cultura italiana di sempre.