Riprendiamo dal sito della Regione Basilicata un testo di Francesca Russillo sul Vangelo secondo Matteo, il memorabile film che Pasolini girò in terra lucana, e in particolare nei Sassi di Matera, nel 1964. E’ un’occasione per ricordare non solo la visibilità che, con più forza di altri artisti, il poeta-cineasta friulano diede a quell’ambiente, ma anche la storia arcaica che aveva contrassegnato il mondo contadino del Sud in una vicenda secolare di miseria.
Pasolini e il Cristo in terra lucana
di Francesca Russillo
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Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, con il suo persistente soffermarsi sul paesaggio dei Sassi di Matera, è il film che più di ogni altro ha fatto “vedere” la Basilicata quando era sconosciuta al mondo.
Siamo nei primi anni Sessanta e il poeta, scrittore, filosofo, intellettuale e regista friulano sceglie il Sud (il Lazio, la Puglia, la Basilicata e la Calabria) come location per quello che ancora oggi è considerato – anche dalla critica cattolica – il miglior film sulla vita di Gesù (1).
La trasposizione filmica è molto fedele al racconto di Matteo: prima l’annunciazione a Maria della nascita del figlio di Dio, il matrimonio con Giuseppe e la fuga in Egitto per sfuggire a Erode e alla strage degli innocenti; poi la vita di Gesù adulto, le prove nel deserto, i quaranta giorni, la Palestina e i miracoli; infine, il processo davanti a Ponzio Pilato, la crocifissione e la resurrezione.
Quello di Pasolini è un Cristo umano, terreno, per il quale egli scelse come interprete un sindacalista rivoluzionario spagnolo, Enrique Irazoqui, che nel 1964 si trovava in Italia per cercare un sostegno politico contro il regime franchista.
L’idea iniziale di Pasolini era quella di ambientare la storia in Palestina, negli stessi luoghi, cioè, in cui Gesù aveva vissuto e predicato, ma dopo aver visitato la Terra santa il regista cambiò idea: quei posti erano «troppo contaminati dalla modernità»(2), incapaci di esprimere quello che lui aveva trovato nel Vangelo. Optò allora per l’Italia meridionale, e proprio in Basilicata girò il cuore del film: a Barile, Lagopesole e soprattutto a Matera. Proprio nella città dei Sassi l’autore riuscì a trovare – oltre al paesaggio brullo – anche quei volti intensi, che parevano «scavati nel diamante e nel carbone» (3), che andava cercando tra i contadini.
Le riprese si svolsero da aprile a luglio del 1964 (4), sotto un sole «ferocemente antico» (5) , dopo due anni di gestazione e vari sopralluoghi. Ricostruendo la sua permanenza sul suolo lucano, il regista visitò non solo Matera, ma anche il Vulture: nel film, infatti, Barile è Betlemme, Matera è Gerusalemme. Qui, il regista ambientò anche il percorso della passione, la crocifissione e la resurrezione di Gesù.
In quei quattro mesi di riprese la città conobbe una troupe “insolita”, formata anche da amici di Pasolini del calibro di Natalia Ginzburg, Alfonso Gatto, Enzo Siciliano e il fedelissimo Ninetto Davoli, che affiancarono il regista non solo nella realizzazione del film, ma interpretarono anche dei personaggi. Si verificò, dunque, di fatto, una stimolante commistione tra intellettuali e abitanti del posto.
Pasolini rimase affascinato dal patrimonio storico, artistico, urbanistico, architettonico e antropologico della città dei Sassi e la scelta di renderla protagonista di una storia universale è dovuta al fatto che qui trovò non soltanto mura e pietre idonee a raccontare la vita del Cristo, ma anche donne, uomini, bambini che lì, in quelle grotte, ancora vivevano. Colpito dalle condizioni in cui versavano i Sassi mentre erano oggetto dello svuotamento, il regista scelse di rappresentare una comunità sofferente.
La questione sociale
Matera era un luogo importante all’inizio degli anni Sessanta perché simbolo della miseria da riscattare. Carlo Levi alla fine della seconda guerra mondiale descrisse la tremenda situazione della vita nei Sassi (le scarse condizioni igienico-sanitarie e il sovraffollamento) nel suo Cristo si è fermato a Eboli, pubblicato nel 1945. La denuncia di Levi scosse la politica nazionale. Giunsero allora a Matera Palmiro Togliatti (Pci) nel 1948, che definì i Sassi «una vergogna nazionale» assolutamente da cancellare, e Alcide De Gasperi (Dc) nel 1950. Nel 1952 venne approvata dal Parlamento la legge “Risanamento dei Sassi” e dal 1954 iniziò lo spopolamento degli antichi rioni verso nuovi quartieri. Matera divenne, dunque, prima il luogo e poi il laboratorio per un nuovo meridionalismo, per una nuova urbanistica e architettura. Pasolini non scelse la città solo per la sua gravina mozzafiato e per il suo paesaggio senza tempo, adatto alla storia da raccontare; Pasolini scelse Matera anche perché era quel nodo fondamentale nel dibattito culturale, politico e sociale del Sud. Facendo “recitare” i Sassi, Pasolini parlò al mondo intero.
Fino ad allora, soltanto il popolo dei lettori aveva potuto immaginare la Basilicata nelle pagine del Cristo di Levi. Guardando Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti qualcuno della élite italiana aveva potuto assaporare un po’ di cultura lucana nelle origini dei protagonisti e nel ricordo che il regista milanese aveva interiorizzato di quelle terre e disseminato nel film. Ma il popolo degli spettatori incontrò “fisicamente” per la prima volta la Basilicata e Matera nelle sequenze pasoliniane. Non la sua cultura (come con Visconti), ma il suo paesaggio e la sua gente. Anzi, più che incontrarla, «ci batté contro lo sguardo», poiché la città di Matera nel film è ripresa quasi sempre da una prospettiva frontale (6). I Sassi si riscattarono finalmente sul grande schermo grazie a un intellettuale tra i più influenti del tempo, diventando la Palestina dei tempi di Cristo.
Non solo Matera: Barile, Lagopesole
Pasolini girò nelle grotte scavate nel tufo della collina denominata “Sheshe”, a Barile, quattro scene: la natività (Gesù era interpretato da una bambina barilese), l’adorazione dei magi (Baldassarre era un cittadino del posto), la strage degli innocenti (che coinvolse oltre 30 mamme) e la fuga in Egitto. Il regista friulano utilizzò oltre 100 comparse del borgo del Vulture, scelte come era suo costume per strada, nelle cantine, nei bar (7).
A Lagopesole, invece, nel cortile interno del castello federiciano, girò la scena del sinedrio, che decretò la condanna di Gesù alla crocifissione.
Il cinema di Pasolini seppe raccogliere le visioni e le suggestioni di una regione che a quei tempi faceva i conti con la propria invisibilità e ne fece non solo metafora e paradigma di altri mondi lontani dalla storia e di altri Sud, ma l’immagine di una terra riconoscibile al mondo intero.
Note
(1) Così lo ha definito il critico Emilio Ranzato su “L’Osservatore romano” del 21 luglio 2014, a 50 anni dall’uscita del film.
(2) Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, in Opere, Milano, Mondadori, 2006.
(3) Ibidem.
(4) La realizzazione fu molto rapida: ad agosto il film era già stato montato e venne presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia il 4 settembre 1964.
(5) Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, in Opere, Milano, Mondadori, 2006.
(6) Attilio Coco, Sguardi d’autore. Visioni e immagini cinematografiche della Basilicata, Possidente di Avigliano, Pianetalibro 2000.
(7) Donato M. Mazzeo, Cristo è nato a Barile, Edizioni Basilicata Arbereshe.