Il fantasma di Casarsa: il Friuli di Pier Paolo Pasolini, di Giorgia Bruni

Il decisivo ruolo della geografia e della lingua friulane per la formazione di Pasolini. Questo tema è al centro degli appunti stesi da Giorgia Bruni, giovane studentessa prossima alla tesi di laurea su argomento pasoliniano all’Università “La Sapienza” di Roma.

 

Il fantasma di Casarsa: il Friuli di Pier Paolo Pasolini

 di Giorgia Bruni

 

                                                                             
“[…] tu rivedrai Casarsa, scriverai versi, dipingerai […]” (Luciano Serra)

O me giovinetto.

O me giovinetto! Nasco

nell’odore che la pioggia

sospira dai prati

di erba viva … Nasco

nello specchio della roggia.

 In quello specchio Casarsa

-come i prati di rugiada-

trema di tempo antico.

Là sotto io vivo di pietà,

lontano fanciullo peccatore,

 in un riso sconsolato.

O me giovinetto, serena

la sera tinge l’ombra

sui vecchi muri: in cielo

la luce acceca. (1)

 Dipinto giovanile di Pasolini

Nel leggere questi versi giovanili di Pasolini l’immagine un po’ appannata che prende forma nella mia mente è quella del Pier Paolo bambino descritto dal cugino Nico Naldini: estremamente malinconico, sensibile e intelligente. Un bambino che ama sentirsi raccontare storie dalla mamma Susanna, un bambino timido e precoce già intento ad assaporare e a esprimere le note del mondo e della realtà in cui vive.

“Mamma, quando sarò grande voglio fare il capitano di marina e il poeta(2).

La vocazione a scrivere si manifesta in lui ben presto, mossa dall’amore per la madre e dal sentimento di meraviglia e stupore nei confronti dell’universo contadino di cui Casarsa riflette i colori senza tempo. Il Friuli di Pasolini è racchiuso nel microcosmo della casa materna, nel microcosmo di Casarsa, del fiume Tagliamento, dei campi verdi in cui egli corre, gioca, ama. Lo scrittore frequenta la seconda elementare a Casarsa: in quel periodo avviene la scoperta di quell’altrove e del suo inesplicabile mistero che Pier Paolo non abbandonerà mai, conservando sempre nel cuore la freschezza di quelle acque, il profumo di quei prati, il ricordo vivo e pulsante delle creature ad esso legate indissolubilmente.

“La qualità che Pasolini possedeva in rara misura era dunque non l’umiltà, ma qualcosa di molto più difficile da ritrovarsi: è l’amore dell’umile e, vorrei dire, la competenza in umiltà” (3).

I suoi versi, i suoi film raccontano, a volte con dolore, a volte con profonda nostalgia, il respiro della sua Casarsa, la vita del suo Friuli; in definitiva non è possibile accostarsi all’uomo e all’autore Pasolini senza considerare l’attaccamento viscerale a questa terra. Il poeta nutre la luminosa speranza nell’immobilità della bellezza scaturita dalla dimensione rurale e ancestrale: la verità, l’innocenza di cui essa è costituita dovrà essere eterna e immutabile. Casarsa è dimora atemporale di Pasolini: il paese che vede i suoi primi amori, le sue prime poesie, il paese che vive lo scandalo della sua diversità, serbandone la sofferenza. Pier Paolo è un innamorato che plasma il suo amore attraverso la penna, sublimandolo nell’uso e nella difesa del dialetto in uso nel paese materno. Nelle silenzio delle strade di Casarsa si avverte l’eco dei passi, delle parole, la scia di questo amore felice e infelice, spensierato e dannato, logorato e mai svanito.

“Queste poesie che vi invio, sono foriere di me stesso, io non so cosa pensarne; forse   hanno impressi, anch’esse, i colori della morte […] mi sento già strappato e remoto,   vagare qui come un’ombra, mentre il solito uso di vita, qui, continua incurantissimo e impreciso”(4).

Nell’estate del 1941 lo scrittore ha diciannove anni e dà alla luce, durante “le misteriose mattine di Casarsa”, alcune poesie in friulano che, l’anno seguente, faranno parte della raccolta Poesie a Casarsa. Il giovane le appunta su un quaderno che chiama “Scartafaccio. La poesia posta in apertura evoca al lettore la vita che l’acqua sprigiona: essa è infatti una dedica all’acqua zampillante dalla fontana del paese e della quale si celebra la freschezza. La fontana allora diviene il simbolo del rustico amore di Pasolini esteso a tutto il mondo contadino. Il sentimento trova la sua origine nell’acqua e, nell’acqua, la forza di emergere per abbracciare l’eternità di una dimensione primordiale a cui sente di appartenere ogni fibra del suo essere. L’acqua che zampilla dalla fontana è l’acqua del ventre materno, è l’acqua che ha favorito la nascita ed è la stessa acqua che i suoi occhi non si stancano di ammirare, a cui il suo spirito tende inesorabilmente.

 Dedica

Fontana d’acqua del mio paese.

Non c’è acqua più fresca che nel mio paese.

Fontana di rustico amore. (5)

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“Per me ormai lo scrivere in friulano è il mezzo che ho trovato per fissare ciò che i simbolisti e i musicisti dell’800 hanno tanto cercato (e anche il nostro Pascoli, per       quanto malamente), cioè una «melodia infinita», o il momento poetico in cui si sente  l’infinito nel soggetto. Praticamente bisognerebbe che ci unissimo, potrebbe sorgere un   movimento poetico di un certo interesse, ma i primi a goderne saremmo noi  […]”(6).

Il legame è di natura fisica, intellettuale, sentimentale, sensuale: Pasolini ha scelto il Friuli, ha scelto Casarsa, aderendo totalmente al richiamo delle radici. La verginità della campagna, la spensieratezza, la vita semplice, l’umiltà, la verità limpida non infangata da falsità borghese, la libertà sana, svincolata dall’obbedienza conforme alla norma: questo Pier Paolo ha scelto e di questo sarà sempre alla ricerca anche quando, costretto alla fuga, salirà con la madre, in una fredda mattina del gennaio 1950, su un treno diretto a Roma. Gli occhi dei ragazzi di quell’altrove li incontrerà di nuovo nel sottoproletariato romano, negli occhi di Ninetto sul set del film La Ricotta, negli occhi dei ragazzi africani, nei suoi viaggi in Oriente. E’ l’altrove incorrotto e candido nato a Casarsa e disperatamente desiderato in altri luoghi figli del Friuli e dei suoi contadini, dei suoi uomini. In Friuli Pasolini compie il suo apprendistato: l’adesione alla poesia e alle lettere, l’adozione del dialetto friulano, la gioia e la pena degli amori omosessuali, la difesa degli umili e delle radici, l’iscrizione al Partito Comunista e la militanza attiva all’interno di quest’ultimo. Il 12 agosto 1942 Pier Paolo scrive all’amico Luciano Serra che il paese ha ormai smarrito il suo fascino e non brilla più dell’antica bellezza che sempre lo ha avvolto, eppure, da questo stato di malessere, si origina un nuovo desiderio, una nuova irrefrenabile volontà di accoglierne la linfa e farne proprio il mistero, eternamente:

“Tutto ha perduto il mistero onde la fanciullezza lo circondava, ed è nudo e sporco dinnanzi a me: ma questo è un nuovo incanto, un nuovo sogno, e un nuovo mistero” (7).

Nella perdita il poeta intravvede lo spiraglio di un nuovo sogno e di un nuovo incanto che attendono un suo incedere amorevole e privo di paure, e che lo aspettano colmi di aspettative e di scoperte. L’attaccamento viscerale è evidente e anzi si manifesta soprattutto nei momenti di dolore in cui, anche nella cieca disperazione e nell’apparente distacco, Casarsa continua a vivere e a fermentare; per utilizzare una consumata metafora poetica, Casarsa continua a piantare fiori nel giardino della sua anima e Pasolini continua a coglierli.

Nel luglio del 1942 il poeta trascorre tre settimane presso il campo militare di Porretta Terme dove segue un corso per allievi ufficiali di complemento; durante questi giorni Pasolini si dedica alla correzione delle bozze di Poesie a Casarsa, emozionato e felice per la riuscita del lavoro. La fatica e quel soggiorno disagevole conducono la sua anima a rievocare i cari luoghi materni con una sofferenza mista a nostalgia per il tempo trascorso.

“[…] La giornata è sul finire, ed io ricordo il numero infinito di giorni ch’io ho visto morire in questa maniera, fin dai lontani tempi d’Idria e di Sacile, che tu, Luciano, non conoscerai mai: io allora ero un ragazzo e ora sono un morto. Ma la sera non desiste di lambire i paesi del mondo, le loro piazzette caste e quasi solenni, in un acuto profumo d’erba e d’acqua ferma. Ecco ora che si fa al balcone una donna, e lancia un grido che a me è un brivido: “Figliooo!” Così era un tempo nella piazzetta di Sacile, quando indugiavo con gli amici” (8).

 Il primo libretto friulano di poesie ricevette l’immediata ammirazione di Gianfranco Contini, Alfonso Gatto e Giorgio Caproni che così le ricorda:

“Dopo Contini, fui uno dei primi, con Alfonso Gatto, a recensire le Poesie a Casarsa. Le lessi nel ’42, l’anno più chiuso ad ogni speranza, e ancor oggi rammento viva l’emozione, mentre il mio zaino di richiamato era pieno di bombe e di buio, che mi suscitarono” (9).

 La recensione di Gianfranco Contini viene pubblicata il 24 aprile 1943 sul quotidiano della Svizzera italiana “Corriere del Ticinoinstaurando da allora un profondo legame tra il grande critico e Pasolini; una sorta di amore

[…] com’egli diceva con la parola di Jaufre Rudel, de lonh” (10).

L’estate trascorsa a Casarsa nel 1943, anno ricordato da Pier Paolo come uno dei più belli della sua vita, è densa di una nuova affettività religiosa. Notiamo, infatti, la metamorfosi del senso del sacro infantile il quale si espande, mutando essenza, al legame con le creature del suo mondo, della sua terra incontaminata e arcaica.

“[…] vorrei gettarmi sugli altri, trasfigurarmi, vivere per loro” (11).

L’amore, in ogni sua sfumatura, lega dunque il poeta al Friuli. Un amore erotico, passionale  e nel medesimo tempo struggente, nella nostalgica ricerca anche del sacro contadino.

 […] O dolci cori

del mio paese, oggi io vi canto.

Con i miei amici per lontane strade.

Ed ancora fanciulli – dalla casa-

ci sentono passar la giovinezza

vegliando a notte alta. Crescerà

il loro dolce corpo ad un destino

uguale al nostro, e quando taceremo

con caste labbra e lievi anche andranno,

oh Dio, cantando a questa stessa luna! (12)

Pier Paolo intonerà per sempre, suonando le corde recondite dell’io, la melodia friulana di Casarsa, porterà con sé il canto di quelle terre, di quelle acque, di quelle piazze, di quelle strade calcate nei giorni felici e infelici della sua esistenza. Casarsa è la sua dimora spirituale, ospita la sua essenza, egli ne è il fantasma.

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 Note

1. P.P.Pasolini, Poesie a Casarsa. La traduzione in italiano è di Pasolini.
2. P.P.Pasolini, Lettere 1940-1954, a cura di N.Naldini, vol.I, Einaudi, Torino 1986, p. XXII.
3. Ivi, p. LXI; si riporta una citazione di Gianfranco Contini.
4. Ivi.
5. P.P.Pasolini, Poesie a Casarsa. La traduzione in italiano è di Pasolini.
6. P.Pasolini, Lettere 1940-1954, cit., vol. I, pp. 209-210; si riporta un frammento di una lettera di Pasolini indirizzata al poeta goriziano Franco De Gironcoli  il 3 novembre 1945.
7. P.P.Pasolini, Lettere 1940-1954, cit., p. 140.
8. P.P.Pasolini, Lettere 1940-1954, cit., vol. I, p. 134; si riporta un frammento di una lettera di Pasolini indirizzata all’amico Luciano Serra il 10 luglio 1942.
9. Ivi,p. XLI.
10. Ivi,p. XLIV; si riportano le parole di Gianfranco Contini.
11. Ivi,p. XLV.
12. Ivi,p. 165; si riportano alcune strofe della poesia Canto che Pasolini inviò all’amico Luciano Serra in una lettera del 30 marzo 1943.