Il dogma sull’omicidio di Pasolini, di Carla Benedetti

Il dogma sull’omicidio di Pasolini
di Carla Benedetti
ilprimoamore.com – 15 novembre 2010

Continua sul “Corriere della sera” la campagna di Pier Luigi Battista contro la riapertura del processo Pasolini. Poiché i suoi argomenti sono sempre gli stessi nel tempo, ripubblico qui quello che scrissi due anni fa, quando uscì il pamphlet di Marco Belpoliti e un articolo di Battista quasi uguale a quello di ieri. (CB)

Alcuni esperti di Pasolini e alcuni giornalisti continuano ancora oggi, nonostante i tanti dubbi emersi negli ultimi anni, a dare per assolutamente certa la matrice sessuale dell’omicidio di Pasolini. Sono Nico Naldini (cugino e biografo di Pasolini), Marco Belpoliti (autore del volumetto Pasolini in salsa piccante, uscito da poco Guanda), Pierluigi Battista (in un articolo sul “Corriere della sera” dell’8 novembre) e qualche altro. Come mai queste persone sono così convinte che Pasolini sia stato ucciso in una rissa omosessuale? Su cosa poggia la loro certezza? Non su prove né su indizi. Solamente su un sillogismo. Eccolo: Pasolini era omosessuale, rimorchiava ragazzi nelle notti romane e praticava una pericolosa sessualità sado-maso. Quindi non può che essere stato ucciso in quel modo. La fallacia è lampante. Dalla stessa premessa può discendere benissimo anche la conclusione opposta:

“Pasolini era omosessuale, rimorchiava ragazzi ecc… Quindi era gioco facile nascondere un altro tipo di delitto dietro a quella falsa pista “.

Quel sillogismo è stato per tanti anni la versione ufficiale sulla morte di Pasolini. C’era un reo confesso, il diciassettenne Pino Pelosi, e questo bastò. Però neanche il Tribunale di primo grado fu in grado di eliminare i dubbi, tanto che condannò il Pelosi “assieme a ignoti”, lasciando aperti molti interrogativi. Oggi che gli interrogativi sono cresciuti, il sillogismo viene invece riaffermato senza argomenti e senza dubbi- cioè come dogma.
In questi ultimi anni si sono aggiunti nuovi fatti, testimonianze e indizi (1) che mostrano platealmente le lacune e le incongruenze di quella versione. Tanto che nel 2009 la procura di Roma ha riaperto le indagini, affidate al sostituto Diana De Martino. Ecco i più importanti:

1) Nel 2005 Pelosi, dopo aver scontato la pena, ritratta la sua confessione, sostenendo di essersi accusato dell’omicidio perché sotto minaccia. Dopo tanti anni – spiega – non ha più paura a parlare, probabilmente chi lo minacciava è morto.

2) La notte dell’omicidio Pasolini non andava a rimorchiare ragazzi ma a incontrarsi con un ricattatore da cui si aspettava di avere indietro le bobine del film “Salò” che gli erano state rubate (testimonianza di Sergio Citti).

3) Sul luogo del delitto c’era una seconda auto su cui non sono state fatte indagini (diverse testimonianze). Secondo Pelosi a uccidere Pasolini furono tre uomini che parlavano siciliano.

4) Il 20 febbraio 2003 il sostituto Procuratore pavese Vincenzo Calia concluse una lunga inchiesta, durata 9 anni, sulla morte di Enrico Mattei. L’aereo del Presidente dell’Eni era precipitato la sera del 27 ottobre 1962 nella campagna presso Pavia. La procura pavese aveva già svolto anni prima un’inchiesta, che però si era conclusa con un “non luogo a procedere, perché i fatti non sussistono”, avendo attribuito la caduta dell’aereo a un incidente. Nella Richiesta di archiviazione Calia accerta il sabotaggio dell’aereo e prospetta per l’omicidio una regia tutta italiana, di cui Eugenio Cefis (futuro presidente dell’Eni) teneva le fila. Pasolini aveva scritto la stessa cosa trent’anni prima in un appunto di Petrolio: “In questo preciso momento storico […] Troya [nome nella finzione dato a Eugenio Cefis] sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei)”. E poco dopo scrive: “Inserire i discorsi di Cefis”. Il giudice Calia ingloba questa pagina di Petrolio nella sua Richiesta di archiviazione e accumula molte testimonianze e indizi che portano a sospettare la stessa mano anche dietro l’omicidio di Mauro De Mauro, giornalista dell’ ”Ora” di Palermo, sparito nel 1970.

L’elenco delle cose che non quadrano con la versione della rissa omosessuale è più lunga (per saperne di più si vedano G. Borgna e C. Lucarelli, “Così morì Pasolini”, in “Micromega” n. 6, 2005 ; G. D’Elia, Il petrolio delle stragi, Effigie, 2006; G. Lo Bianco e S. Rizza, Profondo nero, Chiarelettere, 2009; C. Benedetti e G. Giovannetti, “Come corsari sulla filibusta”, introduzione a G. Steimez, Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, Effigie, 2010). Ma bastano queste.
Come reagiscono gli assertori dell’omicidio sessuale a questi nuovi dati? Ne tengono conto quando ribadiscono la loro versione? No. Dicono invece che sarebbe ora di smettere di farsi tante domande. “Forse è venuto il tempo di seppellire il corpo insepolto di Pasolini” (Belpoliti). Se qualcuno in America sostenesse una cosa del genere riguardo all’omicidio di John Kennedy, sarebbe semplicemente ridicolo. In Italia lo si fa passare.
Pierluigi Battista, sul “Corriere della sera” dell’8 novembre 2010 si spinge persino a prendere in giro chi ha chiesto che si facessero nuove indagini (“vorrebbero che i Ris, distolti dai lavori su delitti come quello di Garlasco, lavorassero sul cadavere assassinato di Pasolini”).
Altri, più diplomatici (visto che le indagini sono in corso), invece che ai magistrati inoltrano l’invito al mondo della cultura, agli studiosi, agli intellettuali, agli storici… Smettete di avere dubbi! Ecco un esempio. Bruno Pischedda sul “Sole 24 ore” del 31 ottobre 2010: “Ben venga la riapertura del procedimento giudiziario. Ma si metta fine alla farandola delle ipotesi, delle sovracostruzioni fantasiose su Cefis e Mattei, la Montedison, la strategia della tensione: ciò vale per Gianni D’Elia e Carla Benedetti, per Carlo Lucarelli e Gianni Borgna, non solo per Marcello Dell’Utri”. (Il riferimento a Dell’Utri si spiega perché il senatore imputato per concorso esterno in associazione mafiosa annunciò qualche mese fa in una conferenza stampa di avere per le mani un inedito di Pasolini intitolato “Lampi su Eni”, che però poi non rese pubblico. […]).
Il dogma è debole nelle argomentazioni. Perciò si fa aggressivo verso chi lo mette in discussione. I dubbiosi per lo più vengono tacciati di complottismo: Battista ad esempio li definisce “dietrologi compulsivi”.
Come se fosse stata la mania del complottismo e non il desiderio di verità – di una verità coperta per decenni – a spingere nel 2005 migliaia di persone in Italia e all’estero a firmare un appello per la riapertura del processo Pasolini, promosso dalla rivista ” Il primo amore” (n. 1, 2006) e presentato al Presidente della Repubblica. Nel testo si leggeva:

“Noi non sappiamo se a far tacere [Pasolini] sia stata una decisione politica. Quello che però sappiamo – come lo sa chiunque abbia prestato attenzione alla vicenda – è che la versione blindata della rissa omosessuale tra due persone non sta in piedi”.

Carla Benedetti
Carla Benedetti
Di recente è stato inventato un nuovo capo d’imputazione per i dubbiosi: hanno tutti un ”complesso” nei confronti dell’omosessualità . La cultura italiana non accetta l’omosessualità di Pasolini e la rimuove convincendosi che l’omicidio abbia altri moventi – questa è la tesi del libro di Belpoliti.
Infine il dogma si aggrappa a altri due pseudoargomenti. Eccoli.

1) Un letterato non potrà mai essere tanto pericoloso da dover essere eliminato.

Chi ragiona così evidentemente pensa che la letteratura sia un insieme di fiction innocue. Abbiamo purtroppo esempi di scrittori e giornalisti minacciati (Roberto Saviano) o uccisi (basti ricordare Mauro De Mauro e Giuseppe Fava). E poi Pasolini non era solo un letterato. Era anche un regista internazionalmente noto, un critico della cultura che scriveva su diversi periodici e un collaboratore del maggiore quotidiano italiano, il “Corriere della sera”.

2) Ciò che Pasolini sapeva era già pubblicato in giornali e libri. Quindi non c’era ragione di eliminarlo. Lo scrive Belpoliti, lo ripete Battista, e qualche altro.

Questa affermazione, che rasenta la disinformazione, si riferisce alle fonti usate da Pasolini per Petrolio. E cioè:
– i discorsi di Cefis che Pasolini intendeva inserire nel romanzo.
– due inchieste di Giuseppe Catalano, pubblicate da “L’espresso” nel 1974 che raccontano i “mattinali” che il capo dei Servizi segreti Vito Miceli (tessera P2 1605) quotidianamente inoltrava a Cefis, allora presidente di Montedison, quasi che il Sid fosse una sua polizia privata (ritagli conservati da Pasolini);
Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, pubblicato nel 1972 dall’Agenzia Milano Informazioni sotto lo pseudonimo di Giorgio Steimez. Questo libro, scritto probabilmente da qualche avversario di Cefis con intento di avvertimento o di minaccia, fu subito ritirato dalla circolazione e fatto sparire anche dalle due biblioteche nazionali. Da poco lo ha ripubblicato Effigie. Pasolini ne ebbe le fotocopie da Elvio Fachinelli.
Quindi, conclude il sillogismo, cosa sapeva Pasolini più di altri, se le sue fonti erano note al mondo giornalistico dell’epoca e potevano essere fotocopiate e diffuse?
Evidentemente per chi sostiene questo non c’è alcuna differenza tra sapere e divulgare : tra avere un’informazione e la possibilità di farla esplodere nell’opinione pubblica. Le informazioni “pericolose” (come quelle possedute dall’anonimo o dagli anonimi estensori di Questo è Cefis) possono anche essere note senza danno, se chi le possiede non ha abbastanza forza per farle pesare nel discorso pubblico, o non ha l’autorità per renderle credibili o per trasformarle in un’accusa. Pasolini aveva l’una e l’altra. Collaborava al “Corriere” e la sua voce pubblica godeva in quegli anni di grande notorietà e autorità.
Quella “fonte”, inoltre, fatta sparire dalla circolazione con un veloce lavoro capillare, non è vero che fosse nota e condivisa. Tanto che a scoprirla non è stato uno studioso di Pasolini ma un magistrato, nel corso di un’indagine sull’omicidio di Mattei. E’ stato il sostituto Procuratore Calia ad aver indicato nella sua Richiesta di Archiviazione le somiglianze tra quel libro e alcune pagine di Petrolio. Dopo di che, la curatrice Silvia De Laude ne ha tenuto conto nel commento alla nuova edizione Oscar Mondadori di Petrolio uscita nel 2005 (in tutte le edizioni precedenti invece non se ne faceva cenno).
Ma la più grossa falsità del sillogismo sta in questo: nessuno può dire che Pasolini sapeva quello che tutti sapevano, per la semplice ragione che non si sa cosa sapesse, e cosa avesse ancora intenzione di scrivere se ne avesse avuto il tempo (per esempio cosa avrebbe scritto nel capitolo “Lampi sull’Eni”, se è vero che l’ha lasciato in bianco -, o cosa vi avesse già scritto, nel caso sia stato sottratto come sostiene Dell’Utri). E se non si sa, non si può dire che era già noto. Non si può ragionare solo su ciò che Pasolini ha scritto, perché qui entra in campo anche ciò che Pasolini non ha fatto in tempo a scrivere, essendo stato ucciso.