I discorsi del mondo. Linguista per caso, di Massimo Arcangeli

I discorsi del mondo.
Linguista per caso

di Massimo Arcangeli

http://linguista-per-caso.comunita.unita.it/ – Roma, 12 agosto

La targa nella foto è posta sopra l’entrata di un singolare locale di via Federico Ozanam (al n. 134), in un luogo tanto piacevole quanto sospeso nel tempo; ce l’ha messa tredici anni fa Silvio Parrello, il più famoso dei ragazzi di vita pasoliniani, l’intellettuale del gruppo, che ha riattato ad atelier culturale la piccola bottega paterna. Una seconda targa ricordo dedicata a Pasolini è ben visibile su un muro delle scuole elementari Giorgio Franceschi di via di Donna Olimpia (al n. 45), la strada dai caratteristici “Grattacieli” (i torreggianti palazzoni, riuniti nel condominio al numero civico 30, costruiti dallo IACP nel 1932) situata al confine tra Monteverde Vecchio e Monteverde Nuovo e che dava allora il nome alla borgata di cui faceva parte. La targa si trova sul lato occupato dallo stabile in via Abate Ugone (all’angolo con via di Donna Olimpia); è stata progettata da Enzo De Camillis, regista e scenografo, e affissa il 16 ottobre 2005, a trent’anni dalla morte dello scrittore. In Ragazzi di vita (1955) il pittore e poeta Parrello, di madre abruzzese e padre calabrese, era er Pecetto (nella vita reale il padre Giuseppe, er Pecione, faceva il calzolaio). La sua famiglia, sfollata dal Pigneto per via della casa lesionata, si era insediata a Monteverde nel 1948; Pier Paolo Pasolini sarebbe diventato monteverdino sei anni dopo.

Silvio Parrello nel suo studio a Roma Donna Olimpia (Monteverde, 2009)
Silvio Parrello nel suo studio a Roma Donna Olimpia (Monteverde, 2009)

Nel 1954 Pasolini lascia l’incarico di insegnante di lettere nella scuola media inferiore (parificata) Francesco Petrarca, a Ciampino, ottenuto nel 1951 grazie all’aiuto del poeta dialettale abruzzese – e ispettore scolastico – Vittorio Clemente; fra i suoi piccoli allievi un timidissimo Vincenzo Cerami, che anni dopo, in un’intervista, avrebbe ricordato come il suo giovane insegnante sottolineasse in blu «i luoghi comuni e le banalità» (http://www.vittoriozincone.it/2009/06/17/vincenzo-cerami-magazine-novembre-2007). Pasolini era arrivato a Roma il 28 gennaio 1950, con la madre Susanna, pur essendoci già stato due volte nel 1946. I due, dopo essere stati momentaneamente ospiti del fratello antiquario della donna (Gino), in via di Porta Pinciana 34, avevano abitato in una stanza d’affitto in piazza Costaguti, al Portico d’Ottavia; alla fine di febbraio Pasolini fa sapere all’amico Luciano Serra in una lettera: «Mia madre è a servizio e io non riesco a trovare lavoro, mi sento solo, incapace, in condizioni tremende. Per adesso mi mantiene mio zio».
Nel 1951 Pier Paolo e Susanna traslocano a via Tagliere 3, a Ponte Mammolo, nei pressi del carcere di Rebibbia, dove Carlo Alberto avrebbe raggiunto la moglie e il figlio. In un’altra lettera (di quell’anno) al cugino – e suo biografo – Nico Naldini, ormai ambientatosi, Pasolini scrive:

E tu che fai? Io sto diventando romano, non so più spiccicare una parola in veneto o in friulano e dico «Li mortacci tua». Faccio il bagno nel Tevere, e a proposito degli “episodi” umani e poetici che mi succedono, moltiplicali per cento in confronto a quelli friulani.

Nel 1954 i Pasolini si trasferiscono a Monteverde, in una strada che sbuca su via di Donna Olimpia: via Fonteiana (al n. 86). Da lì nel 1959, morto l’anno prima il padre, Pasolini sarebbe andato a stare con la madre nella vicina via Giacinto Carini (al n. 45), nello stesso edificio in cui risiedeva Attilio Bertolucci con la sua famiglia. Ci sarebbe rimasto fino al 1963, quando si sarebbe trasferito, sempre con la madre, in un appartamento di nuova costruzione acquistato all’Eur.

Pier Paolo Pasolini in via Carini, quartiere Monteverde, 1961
Pier Paolo Pasolini in via Carini, quartiere Monteverde, 1961

In Ragazzi di vita la famiglia del personaggio principale, il Riccetto, si dice sistemata nel corridoio delle scuole Franceschi. Avevano abitato in quella scuola, scrive Pasolini nel romanzo, «prima i Tedeschi, poi i Canadesi, poi gli sfollati e da ultimo gli sfrattati, come la famiglia del Riccetto». Sfollati e sfrattati, le cui abitazioni, rispettivamente, erano state rese inagibili o rase al suolo dalle bombe anglo-americane (luglio 1943) o erano state reclamate dai loro legittimi proprietari, provenivano dal rione Borgo e da Trastevere, da San Lorenzo e dal Pigneto, dal Casilino e dal Tiburtino. Il 17 marzo 1951 l’ala sinistra delle scuole Franceschi, costruite nel 1939, sarebbe crollata; i suoi occupanti si sarebbero spostati in un altro casermone di edilizia popolare, non ancora ultimato, che s‘affacciava sulla stessa via di Donna Olimpia (al n. 56), e fra le vittime del crollo c’è la «sora Adele» (così nel romanzo), la madre del Riccetto. L’episodio è narrato anche in Ragazzi di vita, e per il Riccetto si conclude con il racconto del suo trasloco in un altro quartiere:

«Addò è ito a stà, adesso?» s’informò Marcello.«Me pare a Tibburtino a Pietralata da que’ e parti,» disse Agnolo.Marcello restò un po’ sopra pensiero. «E che ha detto quanno ha saputo ch’era morta su’ madre?» chiese.«Che ha detto», fece Agnolo, «è sbottato a piagne, che vvòi.»

Il Riccetto – nel romanzo, a un certo punto, si presenta come Claudio Mastracca – è all’anagrafe Orlando Marecchioni; è morto qualche mese fa. Ma il Riccetto e il Pecetto non sono gli unici, fra i ragazzi di vita pasoliniani, a cui è possibile attribuire una precisa identità. Er Pecetto ha spesso ricordato le scorribande con i giovanissimi amici di un tempo: Agnolo, Oberdan, Zambuia. Zambuia era Guglielmo Arissi (1938-2000), Oberdan è Oberdan Capolioni, Agnolo fa di cognome Ciarimboli. Degli altri Alvaro è Rocco Fulcinidi, er Traballa è Alvaro Muratori.
Silvio Parrello ha 70 anni e una memoria di ferro. Dell’uomo Pasolini, ossessione di tutta una vita, mi ha raccontato vicende che conoscevo e altre che ignoravo, condite da molti aneddoti. La Fiat 600 regalatagli da Fellini, parcheggiata con gli sportelli aperti perché i suoi giovani amici potessero prelevare dai suoi tasconi interni gli spicci che aveva messo lì appositamente. La spedizione punitiva a via Fonteiana, poi rientrata, che avevano organizzato i più grandicelli all’indomani dell’uscita di Ragazzi di vita. Le 10.000 lire regalate nel 1956 a sua madre, quasi un terzo del suo stipendio da insegnante a Ciampino (guadagnava allora 25.000 lire al mese). La superiorità fisica ogni volta ribadita nelle lotte inscenate per gioco con i giovani del quartiere fisicamente più prestanti e – quasi da leggenda – la mucca che un giorno riuscì a sollevare sulle spalle.
Ma cosa sopravvive oggi, di uno dei nostri più grandi intellettuali del Novecento, nella memoria di tanti giovani e giovanissimi romani? Secondo uno di loro, Luca Fanelli – nella sua tesina di maturità si è cimentato con il Pasolini regista –, ben poco. I suoi coetanei, pensa il diciannovenne Luca, avrebbero ormai perso molto dell’aria “genuina” che ci si può immaginare si respirasse a Roma, negli anni Cinquanta, anche grazie a Pasolini. Gli ho chiesto di definirlo in tre aggettivi. Mi ha risposto: sincero, geniale, lungimirante.
In tante occasioni Pier Paolo Pasolini, con lucida determinazione, ha voluto guardare lontano. Talora ad affascinarmi, quando penso a lui, è però il profetismo “involontario” delle sue tante creazioni. L’ideologia cede alla passione, l’intellettuale lascia il posto all’artista, i lumi della ragione soggiacciono ai veli della seduzione.

Massimo Arcangeli