Nella sua bellissima rubrica per “la Repubblica”, arricchita ogni domenica da acuti commenti ai testi in versi di cinquanta selezionati poeti, lo studioso di letteratura e scrittore Walter Siti si è soffermato anche sulla straziante lirica di Pasolini Supplica a mia madre. Ne riprendiamo qui l’analisi, apparsa il 9 febbraio 2014, anche come esempio di indagine critica che sa unire il rigore filologico e la lettura sensibile.
di Walter Siti
www.repubblica.it – 9 febbraio 2014
Nel 1962 Pasolini era in crisi metrica; per un poeta è grave, è come perdere i punti cardinali o le chiavi per aprire la porta. Questa è una delle ultime poesie scritte in versi regolari: poi cederà al magma di una metrica sempre più informale, nel tentativo di catturare un cambiamento storico in cui i vecchi parametri ideologici non funzionano più. Qui la misura c’è ancora perché la poesia sembra escludere la storia e ridursi a un rapporto senza tempo né spazio, un rapporto quasi sacro: quello con sua madre. Pasolini all’epoca considerava la propria omosessualità come estranea al suo temperamento, un peso gravoso che gli era stato messo sulle spalle ma che non c’entrava niente con lui – insomma, una condanna (“ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio”). La teoria freudiana gli veniva incontro, permettendogli di interpretare l’omosessualità come il risultato del troppo amore per una donna (la madre, appunto: “È dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia”).L’eccessivo amore per la madre sarebbe il dato primario e la ricerca dei maschi sarebbe la formazione reattiva; anzi, quello per la madre sarebbe il solo amore intero, vissuto con l’anima, mentre il sesso coi maschi sarebbe un puro sfogo fisico, in fondo umiliante. “La confusione / di una vita rinata fuori dalla ragione”: cioè il maledetto istinto vitale che spinge a sopravvivere comunque, anche quando non si è convinti di quello che si fa e non ci sarebbero ragioni profonde per continuare a vivere.
In una prima stesura il testo riporta in calce la data precisa di composizione, 25 aprile; in quello stesso 25 aprile Pasolini scrisse un’altra poesia dove parla di una sua tentazione di suicidio proprio quella notte, anzi di fare un film sul suo suicidio. Il protagonista entra in un cinema, da solo, probabilmente per quell’antica pratica che nell’ambiente omosessuale si chiama “battere”. Ma poi non fa niente, esce, si perde nel brulichio della vita altrui, dei ragazzi “del Mille, o del futuro più lontano”. Un piccolo colpo di pistola, fine. Nella Supplica rovescia la tentazione di morte, è lui che chiede alla madre di “non voler morire “. In molti suoi testi, fin da quand’era giovane, la presenza della madre e la vita libera si oppongono: lui è come un ladro che va a prendersi i suoi piaceri fuori mentre la madre lo aspetta sotto la lampada accesa. Santa e carceriera, rifugio della falsa coscienza quando il mondo intorno si fa troppo complicato – anche qui, nel nostro testo, la disarmante semplicità è direttamente proporzionale allo smarrimento.
Supplica a mia madre di Pier Paolo Pasolini
E difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio essere solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
1962 (da Poesia in forma di rosa )
[info_box title=”Walter Siti” image=”” animate=””]originario di Modena, vive a Roma. È critico letterario, saggista e scrittore. Ha insegnato nelle università di Pisa, Cosenza e L’Aquila. È il curatore delle opere complete di Pier Paolo Pasolini per la pregiata collana editoriale “I Meridiani” (Mondadori). Importanti, alcuni suoi saggi su Eugenio Montale e Sandro Penna. Tra i suoi libri ricordiamo La magnifica merce (2004), Troppi paradisi (2006) e Il contagio (2008), di cui Il canto del diavolo è la prosecuzione. Dal novembre del 2008 tiene sulla “Stampa” di Torino una rubrica di televisione intitolata La finestra sul niente. Da segnalare, anche la recente uscita di critica per la casa Nottetempo, Il realismo è l’impossibile, tratta da una celeberrima frase di Picasso. Nel 2012 Walter Siti ha pubblicato, con la casa editrice Rizzoli, il romanzo Resistere non serve a niente, vincitore, durante la finale del 4 luglio 2013, del riconoscimento letterario più importante e prestigioso d’Italia, il Premio Strega. Nel 2014, sempre per Rizzoli, l’uscita dell’ultimo romanzo Exit Strategy.[/info_box]