I Cristi non si trovano!
di Giacomo Trevisan
Nei giorni 26 e 27 settembre si è svolto ad Assisi (PG) il convegno Cristo mi chiama ma senza luce. “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini cinquanta anni dopo, organizzato dall’Associazione Amici dell’Osservatorio della Pro Civitate Christiana ONLUS, in collaborazione con la Pro Civitate Christiana, la Fondazione Cineteca di Bologna e il Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini di Bologna. Il convegno è stato accompagnato anche da alcune proiezioni: lo stesso Vangelo e Sopralluoghi in Palestina di Pasolini, insieme al documentario Album, girato da Valeria Patanè nel 2012 a Cadaqués, il piccolo centro sulla Costa Brava dove abita Enrique Irazoqui, memorabile interprete di Gesù nel capolavoro filmico pasoliniano. Qui di seguito un reportage di Giacomo Trevisan, studioso pasoliniano e collaboratore del Centro Studi Pasolini di Casarsa della Delizia.
Chi dobbiamo ringraziare se la “trappola” tesa dalla Pro Civitate Christiana di Assisi scattò in quei primi giorni d’ottobre del 1962? Se Pasolini, «ateo per scelta», raccolse quella “tentazione” e lesse in una notte quel libriccino lasciato lì ad occhieggiare sul tavolino della camera 26, assegnatagli nella foresteria in occasione della sua permanenza all’annuale Convegno Cineasti (il primo a cui partecipava)? Chi dobbiamo ringraziare se oggi rimaniamo ancora avvinti dalla potenza del suo Cristo così umano da apparire divino? Dio, il Caso, il Destino? Ognuno troverà la sua risposta.
Intanto, si è concluso da pochi giorni, e a cinquant’anni dall’uscita del film, il convegno Cristo mi chiama ma senza luce che ha scavato in profondità, nel corso delle sue due intense giornate di studi, all’interno del Vangelo secondo Matteo, riuscendo a metterne in luce tanto gli aspetti estetici quanto quelli religiosamente e antropologicamente sacrali.
Quello di Pasolini con il mondo cattolico, ed in particolare con la Pro Civitate Christiana, non fu certo un rapporto superficiale, come ha ben ricostruito Tony Bernardini (PCC) attraverso i suoi ricordi personali (avendo conosciuto e frequentato Pasolini durante le sue visite ad Assisi) e avvalendosi di documenti d’archivio. Dopo i primi momenti di “studio” reciproco, si instaurò un fecondo rapporto dialettico; e non poteva essere altrimenti se, come ricordato anche nella sua prolusione da Ivan Grossi (presidente dell’Associazione Amici dell’Osservatorio della Pro Civitate Christiana ONLUS), don Giovanni Rossi, fondatore e anima della Pro Civitate, non si stancava di ripetere che «ogni persona porta un messaggio» e che «l’arte va pensata come sacerdozio».
Certo, a ricalarsi in quel clima d’inizio anni ’60, in cui Pasolini era l’intellettuale più perseguitato e bersagliato sia da destra che da sinistra non solo per le sue posizioni politiche, ma per le sue idee, le sue opere, la sua stessa vita, colpiscono particolarmente l’apertura e il sostegno all’opera del Vangelo manifestati da subito da parte della Pro Civitate, punto di riferimento per tutto il mondo cattolico progressista e d’avanguardia della seconda metà del ‘900. Bernardini ha messo in luce il ruolo d’appoggio offerto dalla Pro Civitate per il film, sia dal punto di vista teologico-scientifico, nel realizzare un’opera che contenesse, come il testo evangelico, una bellezza etica non mediata, sia dal punto di vista dell’incoraggiamento morale , in occasione delle tante e gravi difficoltà per il reperimento dei finanziamenti necessari. Momenti difficili, sui quali Pasolini riusciva però a scherzare con i volontari della PCC, come annota Bernardini:
Chiesto a Pasolini quando comincerà le riprese. Quando avrò trovato Cristo – ha risposto, aggiungendo – in Italia di santi e di madonne ce ne sono, ma i Cristi non si trovano! (diario di Tony Bernardini, 29.9.1963).
Un ruolo fondamentale, quello della Pro Civitate, sottolineato nel suo intervento anche da Padre Virgilio Fantuzzi (critico cinematografico e amico del poeta di Casarsa), che non esita a paragonare l’accoglienza e l’abbraccio riservato dalla comunità di Assisi, e dal suo fondatore a Pasolini, con l’abbraccio di Gesù al lebbroso. Pasolini – “cercato” da don Rossi per il tramite di Lucio Caruso proprio poiché «regista il più lontano possibile dal mondo cattolico» – trovò alla Pro Civitate uno spazio di dialogo sincero e proficuo, oltre che un appoggio autorevole alla realizzazione del suo film. Un film che sarebbe stato ben diverso da tutti i film sulla figura di Cristo usciti sino ad allora e che Pasolini riteneva blasfemi e osceni; un giudizio che ha avuto la sua sintesi nelle immagini de La Ricotta che presentano la pomposa e manierista (quanto vana) ricostruzione Kolossal del film nel film diretto da Orson Welles, grottesco, orrendo e stridente se messo a confronto con l’umile, puro bianco e nero della via crucis proletaria della vita del povero Stracci.
A questi interventi che potremmo definire “di inquadramento”, hanno fatto seguito le prime due relazioni (26 settembre) che hanno indagato la materia filmica in equilibrio fra immagini e messaggio. Marco Antonio Bazzocchi (Università di Bologna), attraverso l’analisi tanto puntuale quanto originale di due scene del Vangelo (l’allontanarsi di Giuseppe dopo aver scoperto la maternità di Maria e l’allontanarsi di Gesù circondato dagli Apostoli verso Gerusalemme e il Calvario) entrambe costruite secondo il medesimo principio simbolico e narrativo, ne ha sezionato i molteplici significati biografici, psicoanalitici e poetici. Luciano De Giusti (Università di Trieste) ha invece ripercorso le tracce di Vangelo nei tre film precedenti al Vangelo stesso. Accattone, Mamma Roma e La Ricotta sono infatti altrettante via crucis, in cui una vicenda cristologica viene ribaltata nel suo finale e della redenzione non troviamo più traccia. Accattone, ad esempio, può solamente sognarla, mentre l’umile Stracci, fisicamente in cima alla croce, ha fiato solo per ripetere la sua ultima battuta e, forse, sperare nel «regno dei cieli». In questi primi film, più che la vicenda è lo sguardo narrante pasoliniano, totalmente innamorato dei suoi personaggi e delle loro storie, ad apparire evangelico.
Intenso anche il programma dei lavori nella giornata di sabato 27. Peter Kammerer (Università di Urbino) ha incentrato il suo intervento sulla sacralità “sovversiva” contenuta nel Vangelo secondo Matteo, e sul ruolo di squilibrio esercitato dal Gesù di Pasolini nei confronti del falso equilibrio fra sacro e profano, fra potere politico e potere ecclesiastico dei farisei “sepolcri imbiancati”, che hanno costruito la loro religione con ipocrisia e iniquità quale strumento di repressione politica e sociale. L’umana figura divina tracciata da Pasolini reagisce con rabbia all’ipocrisia e alla falsità: è un Cristo sorretto da una forte volontà di redenzione per il popolo di Dio (gli umili, gli ultimi, i malati, i bambini incarnati dai visi quotidiani e popolari scelti dal regista) vittima della istituzionalizzazione della religione. Un pungolo pasoliniano per la Chiesa di ogni tempo che, nell’ideale del poeta di Casarsa, dovrebbe proporsi come baluardo di resistenza alle compromissioni con il secolo ed allo strapotere del mercato; per Pasolini la Chiesa potrebbe concretamente farsi interprete di una reazione contro il progressivo smarrirsi del sacro (del “totalmente altro” direbbe Eliade) spazzato via dal materialismo imposto dal sistema dei consumi. Come l’insegnamento di Cristo, anche quello di Pasolini non è tiepido, bensì richiede sempre all’ascoltatore di schierarsi, è incisivo, radicale e destabilizzante: sacro.
Un “Gesù che porta la spada” è anche quello delineato da Roberto Chiesi (Centro Studi – Archivio Pasolini di Bologna): un Cristo che affronta – e invita ad affrontare chi lo vuol seguire – una battaglia contro gli oppressori del sacro armato solamente delle proprie idee, e ammonisce i farisei (leggi: i borghesi) per la colpa d’aver permesso la de-sacralizzazione della realtà. Elementi che si ritrovano anche in Bestemmia, poema-sceneggiatura in cui un santo straccione si mette in testa di distruggere proprio la religione-burocrazia e ne viene (forse, l’opera non è conclusa) sterminato, e soprattutto nel dirompente Teorema, in cui sono il corpo e la sessualità, emblema e al contempo “luoghi” per eccellenza del sacro, a divenire tramite col divino.
Acuto il taglio adottato per la sua relazione da Mons. Dario Edoardo Viganò (Centro Televisivo Vaticano, SCV) che ha offerto una documentata panoramica sulla ricezione del film nella cattolicissima Spagna, patria dell’attore che al Gesù pasoliniano ha dato il volto: Enrique Irazoqui. Un film che non ha lasciato tiepidi nemmeno mass media franchisti; si pensi alla posizione della rivista “Arbor” (legata all’Opus Dei) che sceglie di ignorare totalmente l’uscita del film e al dibattito che subito si scatenò al riguardo. Ci si rese conto che sarebbe stato difficile “maneggiare” gli argomenti di una pellicola tanto potente e che anche il solo parlarne negativamente avrebbe significato in qualche modo riconoscerne l’indubbio valore.
Non poteva mancare l’approfondimento su una delle materie fondamentali del Vangelo secondo Matteo, cioè la musica. Roberto Calabretto (Università di Udine) ha ricostruito l’interesse precocissimo per la musica del giovane Pasolini, conscio sin dalla gioventù che «si può parlare di musica solo coi mezzi della poesia» e da sempre alla ricerca di «una musica fatta di contrapposizioni di sentimenti puramente musicali». Calabretto ha evidenziato che, proprio a partire da questa sensibilità di base, Pasolini ha costruito tutta la colonna sonora sotto il segno della contaminazione, non affidandosi a “temi guida” descrittivi che illustrassero la narrazione, ma “illuminando” l’immagine di un nuovo significato attraverso la musica. Immagini e suoni entrano quindi in dialogo, favorito dalla variegata e caratteristica scelta musicale, quasi un calderone di stili, epoche e “rumori” diversi. Ma proprio quest’effetto magmatico nell’uso della musica, questa possibile incoerenza stilistica rivelano la natura più popolare, aperta all’altro e al diverso, della figura di Cristo intesa da Pasolini.
Ultimo, graditissimo atto del convegno è stata la tavola rotonda, moderata il 27 pomeriggio da Roberto Chiesi, con tre dei protagonisti del capolavoro pasoliniano: Margherita Caruso (Maria giovane), Giacomo Morante (Apostolo Giovanni) e Ninetto Davoli (presente nella pellicola nel ruolo di un pastore). Quello che ne è emerso è il Pasolini del set, alla ricerca di verità anche attraverso il viso dell’ultima delle comparse, alla ricerca di facce vere di persone vere e in costante, diretto e sincero rapporto con esse. Un Pasolini, nelle parole di Davoli, con un’idea sempre molto chiara ed efficace di ciò che voleva realizzare, disposto a tutto, anche a “torturare” («E quella volta mi sono arrabbiato…» ricorda con parole più colorite Ninetto) per far piangere sua madre sotto la croce.
Un convegno dunque in cui ancora una volta «Crist al mi clama / ma sensa lus», come recita l’originale friulano tratto dai versi della Domenica Uliva, poemetto che chiude le Poesie a Casarsa. Una luce che Pasolini ha cercato, negato, evitato e bramato per tutta la sua vita:
Sono bloccato, caro don Giovanni, in un modo che solo la Grazia potrebbe sciogliere. La mia volontà e l’altrui sono impotenti. E questo posso dirlo solo oggettivandomi, e guardandomi dal suo punto di vista. Forse perché io sono da sempre caduto da cavallo: non sono mai stato spavaldamente in sella (come molti potenti o molti miseri peccatori): sono caduto da sempre, e un mio piede è rimasto impigliato nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trascinato via, con il capo che sbatte sulla polvere e sulle pietre. Non posso né risalire sul cavallo degli Ebrei e dei Gentili, né cascare per sempre sulla terra di Dio. (lettera a don Giovanni Rossi, 27 dicembre 1964).
Quella luce, però, continua a brillare da cinquant’anni nel Gesù di celluloide (che solo proiettato da una luce può vivere) divinamente terreno di Pier Paolo Pasolini.
Approfondimenti
http://www.amiciosservatorio.org/
http://www.cittadelladiassisi.it/it/
[info_box title=”Giacomo Trevisan” image=”” animate=””]si è laureato al DAMS dell’Università di Bologna in Discipline dello spettacolo dal vivo; vincitore nel 2006 del “Premio Tesi di laurea Pasolini”, scrittore e saggista, è anche regista e attore per il teatro. Suoi contributi sul teatro giovanile di Pasolini sono apparsi in “Studi pasoliniani” e nel volume, curato da Stefano Casi, Angela Felice e Gerardo Guccini Pasolini e il teatro (Marsilio 2012). Nel 2013, per le edizioni Forum Editrice Universitaria Udinese, ha pubblicato Mistero contadino. Tracce pasoliniane nelle ricerche di don Gilberto Pressacco (prefazione di Angela Felice).[/info_box]