Con l’occasione dell’uscita del libro di Marco Lodoli Nuove isole. Guida vagabonda di Roma (ed. Einaudi), Mario Ajello rispolvera un’espressione romanesca, quell’”Anvedi” caro a Pasolini che vi trovava la traccia di una capacità di stupore, quasi infantile, sotto la scorza apparente del cinismo disincantato del popolo romano.
di Mario Ajello
www.ilmessaggero.it – Roma, 20 luglio 2014
“Anvedi” è una meravigliosa espressione di meraviglia. Cugina, più gettonata, di “Ansenti” e anche più carina di questa e infinitamente superiore a quest’altra, cioè al fastidioso e arrogante “Ce senti…” (che si usa per rimarcare qualche prodezza del tipo: un tuffo ben fatto, un parcheggio trovato al volo grazie alla capacità e all’occhio lungo del guidatore della macchina, un colpo di tacco spettacolare e risolutivo in una partitella di calcetto o cose così).
L’”Anvedi “è stupendo. Un volta chiesero a Pier Paolo Pasolini se ci fosse un’espressione del dialetto romanesco che lo colpisse e lui rispose così: «Ce n’è una che amo particolarmente. É quell’anvedi. Perché è l’unico caso, l’unico momento in cui il romano si scopre. Cioè rivela di possedere la capacità di stupirsi e di non essere sempre apparentemente cinico o distaccato. Perciò l’anvedi mi piace molto».
Ha proprio ragione PPP. E si sarebbe divertito tanto a vedere, passeggiando lungo via Boccea, che esiste un negozietto che si chiama “Anvedi oh!”. Si tratta di un emporio. Vende di tutto. Ha un proprietario che si chiama Simone e, a dispetto del nome non di battesimo ma affibbiatogli qui da noi, il titolare è un simpatico ometto cinese.
Si parla di questa bottega nel libro Nuove isole. Guida vagabonda di Roma (Einaudi) e il suo autore, Marco Lodoli, vendendolo si è stupito e anche a lui è scappato, pur non essendo un tipo da slang, un «Anvedi oh!».