“Senza Pasolini”, il festival pasoliniano organizzato all’Università di Messina da Alessia Cervini e Pierandrea Amato, ha ospitato il 23 ottobre 2015 in Sala Fasola una figura storica del video-documentarismo, Cecilia Mangini, che ha raccontato dei suoi lavori con Pier Paolo Pasolini, etnografo per vocazione, e della sua filiazione “pasoliniana”. Lavinia Consolato, su www.tempostretto.it del 24 ottobre 2015, dà testimonianza dell’incontro con questa leggenda vivente del cinema italiano.
Cecilia Mangini e Pasolini
di Lavinia Consolato
www.tempostretto.it – 24 ottobre 2015
Cecilia Mangini, fotografa e documentarista, classe 1927, si è intrattenuta con la professoressa Alessia Cervini, che cura il festival “Senza Pasolini” insieme al professor Pierandrea Amato, in una discussione profonda e articolata sul suo lavoro di documentarismo che coinvolse pure Pier Paolo Pasolini, che certamente non era estraneo a questo settore.
Il documentarismo vanta antenati illustri, come Antonioni, e questo certamente ai tempi “non era un lavoro per signorine -racconta Cecilia Mangini- Allora mi comportavo come un ragazzo”. Quando nel 1958 la Mangini filmò un gruppo di ragazzini romani che vagavano per le strade senza meta, chiese di avere la collaborazione di Pasolini: “Io non ero nessuno, avevo solo firmato qualche fotografia; nonostante tutto Pasolini ha accettato”, e questo portò ad un sodalizio che durò fino al 1962.
Il documentario in questione è Ignoti alla città, cortometraggio in technicolor che fu censurato dal ministro Tambroni, per ritorsione contro Pasolini, con l’accusa di istigazione all’immoralità, dal momento che nel filmato tre ragazzini commettono un furtarello. Con la sceneggiatura e la regia di Cecilia, il commento di Pasolini corrisponde ad una traslazione documentaristica di Ragazzi di vita, e “chi avrebbe potuto, se non lui in persona” dare voce a quelle immagini, voce che certamente, spiega la Mangini, è “un grande valore aggiunto”.
Il secondo doc è Stendalì (1960), il soggetto del quale è tratto da Morte e pianto rituale di Ernesto De Martino. Il corto è incentrato su un suggestivo canto funebre delle donne del Salento, che usano un dialetto greco. Pasolini creò quel canto funebre assemblando un centone da diversi testi tradizionali.
Il canto delle marane (1962) è il terzo e ultimo corto, che vede di nuovo protagonisti dei ragazzini che fanno il bagno, inizialmente con scherzo, poi con grande malinconia: il bagno è un “momento ludico ma anche di protesta”, protesta contro il mondo. “Ci era piaciuto farne dei ribelli, -racconta Cecilia- a Pasolini sarebbe piaciuto”. Il commento di Pasolini, tratto da una poesia della raccolta La religione del mio tempo, si associa alla bellissima musica di Egisto Macchi.
Questi documentari non sono testi di cinema, dato che non esiste un vero testo: “se le immagini funzionano, il testo arriva”. Lo scopo non era documentare la realtà, né il sodalizio Mangini-Pasolini è neorealista. Questi filmati sono ognuno “10 minuti di pura poesia – spiega la Cervini – E’ leggere Pasolini e anche la Mangini non attraverso la politica, ma attraverso la poesia”.
Per concludere, una selezione (Taranto e Catania) da Comizi d’amore ‘80 (1982), girato dalla Mangini per la Rai e totalmente filiato da Pasolini, che nel 1963 aveva girato Comizi d’amore, proiettato nel pomeriggio sempre in Sala Fasola.