Pietà per PPP sui muri di Roma con la street art di Pignon

Un’acuta riflessione di Catia Bagnoli sul perturbante murale che, in ricordo di Pasolini, l’artista Ernest Pignon-Ernest, ha depositato sui muri di Roma, moltiplicandone la figura con un segnale di drammatica pietà.

Figure multiple dell’umanità perduta
di Catia Bagnoli

www.ilmanifesto.info – 30 maggio 2015

Un fan­ta­sma si aggira per Roma in que­sti giorni: si depo­sita con i suoi multi­pli, ade­ri­sce alle pie­ghe dei muri della nostra città. È il fan­ta­sma di una figura distur­bante, molto amata e molto odiata ancora oggi, quella di Pier­ Paolo Paso­lini, che Ernest Pignon-Ernest ci resti­tui­sce sotto forma di Pietà dram­ma­tica e magne­tica, capace di rias­sumere in sé l’icona del poeta intel­let­tuale ma anche il suo doppio-vittima, tenuto in brac­cio come un Cristo morto.

Per Pasolini.Pignon
Per Pasolini.  Murale di Ernest Pignon-Ernest

I rimandi pit­to­rici sal­tano imme­dia­ta­mente agli occhi nella cita­zione caravaggesca (e miche­lan­gio­le­sca) del brac­cio pen­dente della depo­si­zione vati­cana, men­tre la nostra memo­ria corre ai mede­simi rimandi ico­nici cari a Paso­lini quando, in Mamma Roma, sacra­liz­zava la fine in galera del giovane pro­le­ta­rio Ettore come un Cri­sto morto del Mantegna. Non è un’immagine che possa lasciare indif­fe­renti: ho visto mac­chine fre­nare e con­du­centi scen­derne per fare una foto con il cel­lu­lare, per­sone fer­marsi e inter­ro­garsi davanti a que­sti grandi fogli di carta incol­lati. Non sempre le rea­zioni sono state di ammi­ra­zione, né que­sta può essere un’opera che chiede sor­risi e parole di convenienza. Qual­cuno ha anche voluto rimuo­verla in nome del rispetto per la puli­zia urbana. Per chi cono­sce l’artista fran­cese che in que­sti giorni gira per la nostra città cer­can­dovi i luo­ghi più sim­bo­lici e per­ti­nenti alle sue instal­la­zioni, l’intelaiatura murale più adatta per mate­ria, colore, segni già pre­senti, ma anche la luce fun­zio­nale al suo pen­nello, la sua firma appare imme­diata: Ernest Pignon-Ernest ha già lavo­rato nel nostro paese con instal­la­zioni impor­tanti a Cer­taldo, in pro­vin­cia di Firenze, nel 1980, e a Napoli, tra 1988 e il ’95, dove Paso­lini ricorre come una figura di forte pre­senza. A Cer­taldo, luogo di nascita e morte di Boc­cac­cio, ispi­ra­tore del Deca­me­ron paso­li­niano, Pignon ha mon­tato un alle­sti­mento pen­sando all’immagine del poeta come vit­tima del nostro tempo. A Napoli lo ha evo­cato inse­ren­dolo su un muro ros­sa­stro pom­peiano presso la cap­pella di San­se­vero, in un qua­dro cara­vag­ge­sco dove c’è un Davide che regge con la mano la testa di Golia, men­tre con l’altra tiene la testa di Pasolini.
L’installazione di Roma è dun­que la terza parte di un lavoro dedi­cato al nostro più dolce e pro­fe­tico intel­let­tuale, ancora oggi ber­sa­glio del per­be­ni­smo bor­ghese, ma punto di rife­ri­mento basi­lare per le gene­ra­zioni di insod­di­sfatti pas­sati e futuri.
Par­lare di street art per Ernest Pignon è ridut­tivo, così come fer­marsi alla super­fi­cie del modo in cui que­sto arti­sta ha deciso di lavo­rare fin dal suo esor­dio nel 1966, quando mise su una instal­la­zione che riflet­teva i peri­coli del nucleare, con la silhouette dram­ma­tica di tutto ciò che restava di una vit­tima di Hiro­shima. Dall’esordio in poi tutti i suoi lavori sono stati rifles­sioni cri­ti­che di ombre della sto­ria e di nodi tra­gici e com­plessi delle nostre società. Penso alle instal­la­zioni straor­di­na­rie a Parigi per il cen­te­na­rio della Comune, con la cascata di vit­time della set­ti­mana di san­gue sro­to­lata lungo la sca­li­nata della basi­lica del Sacré Coeur, ai per­so­naggi che Pignon sce­glie, figure sem­pre inquiete e piene di inter­ro­ga­tivi, Rim­baud, Genet, Artaud, Maja­ko­v­skij. Fino al lavoro più com­pleto e straor­di­na­rio di Lyon, nell’antica pri­gione Saint Paul, prima che venisse tra­sfor­mata in uno spa­zio uni­ver­si­ta­rio, dove sono state tor­tu­rate e uccise molte vit­time del nazi­smo ricor­date dall’artista, tra cui lo sto­rico Marc Bloch, ma anche mili­tanti del movimento di libe­ra­zione alge­rino, come Ahmed Cher­chari, o il nostro anar­chico Sante Caserio.
Pignon riflette sulle con­di­zioni di costri­zione e disu­ma­niz­za­zione dei pri­gio­nieri e li imma­gina sper­so­na­liz­zati nella ripe­ti­zione osses­siva dei suoi arti­stici mul­ti­pli. L’idea di arte cri­tica di Prou­d­hon è alla base del lavoro di Pignon: sua è un’arte in situa­zione, for­te­mente intrisa di spi­rito etico, un’arte giu­sti­ziera, ossia attiva, che non si limita alla semplice espres­sione, ma eccita e sti­mola. Se vi capi­terà di vedere il film docu­men­ta­rio su Pignon e Napoli, del collettivo Siko­zel, vedrete come le rifles­sioni delle per­sone comuni, del popolo, degli scu­gnizzi dei vicoli, sono pertinenti e pene­tranti, come fanno pen­sare alla forza comu­ni­ca­tiva intrin­seca a una vera opera d’arte, che si trasmette anche a chi non ha stru­menti per leggerla.