Un bilancio di 40 anni senza e con PPP, di Enzo Lavagnini

Quarant’anni dopo, “senza” Pasolini e “con” la sua costante presenza. Su questo riflette e si interroga il regista-scrittore Enzo Lavagnini, responsabile del neonato Archivio Pasolini di Ciampino, in un sintetico, ma intenso promemoria apparso sul numero 35 di gennaio 2016  di “Diari di Cineclub”.

Gli anni senza Pasolini
di Enzo Lavagnini
 

www.cineclubromafedic.it – numero 35 / gennaio 2016

“40 anni senza Pasoli­ni”, abbiamo detto e scritto. Ma, a pensarci bene, in realtà nessu­no, ma proprio nessu­no, di questi lunghi 40 anni è stato davvero un anno “senza” Paso­lini. Come viene riba­dito dall’attualità, la sua presenza è stata infatti – e peraltro continua ad essere – sempre costante e sempre forte ed incidente, si direb­be ineludibile, nella nostra società italiana. Una presenza attuale, e questo indifferente­mente, sia per i detrattori più duraturi che per chi lo ama. Il ricordo che si è dipanato in tutta Italia, attraverso centinaia di iniziative, istitu­zionali o quasi spontanee, programmate da scrupolosi calendari o addirittura improvvisa­te, affollate o per pochi intimi, ci ha avvicinato proprio a questo paradosso, o forse solo ad un dubbio: che il ricordo fosse, tutto sommato, quasi ridondante, tanto erano ancora presenti l’opera, la vita, le polemiche di Pier Paolo Paso­lini fin dentro la “carne viva” dei nostri giorni. Hanno infatti, le une e le altre, accompagnato i nostri anni ‘70, ‘80 e a seguire: anni incerti, sconosciuti, talvolta perfidi, col loro carico di miti, falsi, inventati, effimeri, fuorvianti impo­sti da un Moloch sempre più avido, che ci ha spinto verso lidi mai scelti, dove ci siamo ritro­vati infine, spesso soli, magari in compagnia dei nostri “social”, ma in balia di una società ruvida e tempestosa, violenta, irrispettosa, che ci ha tolto fibra e legami, e ci ha relegati ad im­potenti comparse di un, brutto, dozzinale film che ci scorre davanti agli occhi, sbarrati come quelli di Alex di Arancia Meccanica.
Ma dun­que, a tornarci su, non è stato quindi poi affat­to inessenziale il ricordo. Tutt’altro. E’ stato un ricordo doveroso, ma davvero “diverso” da tan­ti altri. Un ricordo dedicato al personaggio an­cora “vivo”, una “futura presenza”, dà un risul­tato davvero imprevedibile, straniante: ce lo fa sentire maggiormente vivo: in mezzo a noi, in una nuova dimensione. Così, abbiamo tutti colto l’occasione per incontrarlo ancora, nelle sue grandezze, nelle sue illuminazioni, ed an­che nelle sue difficoltà. Ed è stato come incon­trassimo un contemporaneo cui chiedere fi­nalmente spiegazioni su un mondo che nessuno ci sa e ci vuole più spiegare. Il modo dovuto per ritrovare la strada, per compren­dere e tornare ad essere protagonisti di un film -il nostro- che vogliamo scrivere, dirigere, guardare, da vicino e da lontano. Con passione e coinvolgimento. Ed in tanti infatti, nelle cen­tinaia di iniziative, hanno fatto domande, han­no cercato risposte. Gli anni “senza” Pasolini hanno fornito domande e dato molte risposte, già per loro conto. Quello che sorprende sem­pre tutti, in ogni iniziativa, è l’attualità del pen­siero di Pasolini, ed anche la sua preveggenza.

Occhiali
Occhiali

Sorprende tutti talmente tanto, che alla fine, è giusto non sorprendersi più. Che per “leggere” l’Italia attuale occorrano gli occhiali di Pasoli­ni, dà invece sicuramente molto da pensare; rivela molto sulla scarsa affidabilità o coraggio degli intellettuali che a lui si sono succeduti. Ci sono altre comunità nazionali che debbano far ricorso a teorizzazioni affidate a qualcuno che, pur preveggente, le ha formulate negli anni ‘60, ‘70?
Tra i tanti ruoli sociali che ha avuto, tra i tanti “mestieri”, scelti o affibbiati da cataloga­tori, si può però affermare con buona probabi­lità di non sbagliare che Pasolini è stato “an­che” un sociologo attento, curioso, ed infine preoccupato, quando ha visto che l’ossatura popolare della nostra nazione (e delle altre), quel legame tra gente che vive sullo stesso ter­ritorio, che parla la stessa lingua, semplice­mente era stata spezzata; con totale noncu­ranza. Ha dato l’allarme. Ha sofferto. Ha cercato dapprima di invertire la rotta, poi però non ha pianto, si è speso nel continuare a pro­clamare queste verità, da “mite rivoluziona­rio”, incrollabile, ma purtroppo inascoltato.
Ecco, il nostro compito potrebbe essere quello di ascoltarli, questi ragionamenti, di farli cir­colare, di dar loro modo di rischiare, per quan­to possono, i nostri giorni bui.