PPP su “Il mondo salvato dai ragazzini” di Elsa Morante

Il mondo salvato dai ragazzini
di Elsa Morante

Pier Paolo Pasolini “Il Caos” n. 35, 27 agosto 1968

Il mondo salvato dai ragazzini è la raccolta di poesie più importante (dopo Alibi) di Elsa Morante, contenente la sua unica commedia e pubblicata nel 1968. Titolo completo di sottotitolo: Il mondo salvato dai ragazzini e altri poemi.
Pier Paolo Pasolini, nel 1968 ne parlerà nella rubrica “Il Caos” (“Tempo”), e nel 1971 risponderà a questo libro di Elsa Morante con due poesie presenti nella raccolta 
Trasumanar e organizzar, contenute nella sezione Poesie su commissione. I titoli sono rispettivamente Il mondo salvato dai ragazzini e Il mondo salvato dai ragazzini (continuazione e fine).

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Si può parlare di ingiustizia a proposito del mancato «grande» successo, di critica e di vendita, del Mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante?
Intendiamoci: successo di vendita e critica c’è stato, ma normale. Mentre il libro della Morante rappresenta un avvenimento eccezionale.È vero che non è un caso raro che un avvenimento poetico eccezionale passi sotto silenzio oppure sia accolto in un clima di normale amministrazione. Ma io ho davanti a me un «caso» particolare, e non ho voglia di generalizzare, e fare pianti greci sulle ingiustizie umane e sulla loro fatalità. La fatalità non esiste, o esiste nella misura in cui un autore (nel caso di un libro) la provochi. La critica italiana, insomma, non è mai brillata per particolare genialità: in questi ultimi anni, poi, si può addirittura dire che è letteralmente «finita». I giovani corrono  dietro a stupide chimere, imposte terroristicamente e tutto ciò che non «sa» di queste intimidatorie novità, viene lasciato da parte, addirittura non accepito. Gli anziani, in parte a causa dello stesso terrorismo, un po’ seguono i giovani, un po’ sono completamente nelle mani dell’industria culturale. Anche la minoranza di spiriti liberi, la cui presenza va pure registrata in Italia, ha un’aria equivoca: cioè non è la «vera» minoranza di spiriti liberi, ne ha solo l’aspetto, le caratteristiche, il codice; in realtà è anch’essa automatica, e fa tutto ciò che una minoranza di spiriti liberi deve fare; gli scandali sono tutti, come dire?, preordinati, accadono sotto la benedizione del ghetto, anziché sotto la benedizione del potere; ecco tutto. Il libro della Morante si presenta al di  fuori di tutti questi schemi culturali; nessuno è, così, pronto ad accoglierlo; ed esso suscita ammirazioni ovvie, anche adorazioni ovvie.
Esso è letterariamente qualcosa di irriconoscibile: non c’è nulla nella tradizione italiana, anche recente, che gli somigli o che esso ricordi (un po’ di Palazzeschi, ap­pena appena, e un po’ di formalismo russo; ma sono analogie psicologiche e ultrastoriche, non culturali). Ciò naturalmente rende la lettura della Morante difficile, anzi, impossibile. Esso non può non piacere, ma piace, per così dire, inconsapevolmente. Forse il troppo piacere che dà il leggere questo libro, sempre inconsapevolmente, lo fa apparire come una cosa poco seria, una delizia e basta. Invece il libro della Morante è addirittura un manifesto politico. Il manifesto politico, potrei dire paradossalmente, di quella nuova sinistra che in Italia pare non poter esistere, crescere, riaffondando subito nel vecchio qualunquismo, e nel complementare morali­smo. Un manifesto politico scritto con la grazia della fa­vola, con umorismo, con gioia (ecco perché prima dice­vo che se c’è una fatalità nel destino di un libro, essa è voluta dall’autore: la Morante infatti non ha voluto sa­pere che grazia, umorismo, gioia sono sentimenti e stru­menti stilistici, oggi, incomprensibili). Ed è dunque arduo per un lettore e un critico comprendere come, invece, il fondo di questo libro sia atrocemente funebre, e contenga tutte le ossessioni del mondo moderno: l’ato­mica, la morale dei consumi e il profondo desiderio di autodistruzione, non più come flatus vocis o luoghi comuuni, ma come elementi assolutamente originali e vissuti personalmente, dentro un sistema linguistico così co­municativo da scandalizzare.

Pier Paolo Pasolini

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