Perché il Vangelo secondo Pasolini ancora ci stupisce, di Nichi Vendola

La potenza del Cristo triste del poeta di Casarsa a cinquant’anni  dall’uscita del film

 di Nichi Vendola

 www.repubblica.it – Bari, 10 ottobre 2014

Alla rassegna “Il Vangelo di Pasolini. Volti e luoghi della Murgia a 50 anni dal film” (organizzata dal Parco nazionale dell’Alta Murgia, in collaborazione con il Comune di Ruvo di Puglia, con il patrocinio dei Comuni di Gravina in Puglia e Santeramo in Colle e la produzione esecutiva dell’associazione Menhir),  il primo a restituire un senso all’opera e alla fatica di Pasolini è il presidente della Regione Nichi Vendola che venerdì 10 ottobre ha inaugurato il programma con una conferenza sul tema “Pasolini e il Vangelo del Sud” nell’auditorium dell’istituto tecnico commerciale Vittorio Bachelet di Gravina in Puglia.  Anche in rete la riflessione di Vendola che di Pasolini ha fatto argomento amato di studio anche per il lavoro di tesi di laurea, conseguita a suo tempo all’Università di Bari. 

pasolini e la croce

Dopo mezzo secolo, quel film così logico eppure così spiazzante e inatteso continua a stupirci. La “buona novella” del Nazareno nel racconto di Pier Paolo Pasolini è finalmente sgombra dalle tentazioni della retorica e dal trionfalismo cupo del cattolicesimo barocco: qui c’è, viceversa, un Cristo triste, scolpito nel bianco e nero dei meravigliosi piani- sequenza, con tutta la pena della premonizione del calvario, con le beatitudini restituite alla radicalità di una profezia che rompe l’ipocrisia del Tempio. Il Vangelo secondo Matteo è un film logico perché raccoglie e condensa l’inquietudine intellettuale di chi cerca riparo dalla violenza morale di un cambiamento che sta sfigurando il paesaggio e l’anima di un’Italia che ha appena metabolizzato il boom economico. Ma è un film inatteso da chi cercava di esorcizzare il vento pulito che, con Giovanni XXIII e con il Concilio, sferzava la Chiesa e il mondo, da chi si poneva come sentinella di una (paradossale e anti-evangelica) “religione di Stato”, da chi poi non capiva come mai un omosessuale, un comunista, un eretico, potesse narrare i Vangeli con quel pathos, quel nitore dello sguardo, quella bellezza non calligrafica. L’evangelista Pasolini sta fuggendo, come sempre nel suo intenso percorso esistenziale, fuori dalla cronaca, quasi fuori dalla storia: alla ricerca di un tempo sospeso, incontaminato, mitologico, in cui la vita non è merce tra le merci e il denaro non ha soppiantato il sacro.
Contro le minacce della modernizzazione, che uccide i dialetti e cancella le differenze e dunque abolisce il fondamento stesso della poesia, il poeta di Casarsa cerca un altro tempo/spazio: saranno le campagne friulane o le borgate romane, sarà l’India, lo Yemen, la Grecia della tragedia classica, l’Oriente incantato de Le Mille e una notte, il medioevo di Chaucer e quello di Boccaccio, saranno i tanti Sud del mondo in cui resiste, finché può resistere, una umanità genuina e pullulante che pur sapendo poco conosce l’essenziale. Qui è la Palestina di Gesù, catturata in un non tempo carico di profezia, ridisegnata lungo le mappe di una Murgia arcaica, incastonata nella miseria splendente dei sassi di Matera.
Il mistero dell’incarnazione del figlio di Dio, spinto fino al punto estremo di verità (“Padre mio, padre mio perché mi hai abbandonato!”), incrocia il mistero cristologico di Pasolini, “usignolo della Chiesa Cattolica”, che nel martirio della scrittura filmica cercherà la resurrezione della poesia. Il Sud è il punto di capovolgimento della geografia della modernizzazione, il punto cardinale di un essere umanità non riducibile alla logica del calcolo e ai fasti e nefasti del consumo globale. A Sud c’è un Dio e un suo figlio che dona la vita per sregolato amore, a Sud resiste un tempo senza orologi, si odono i dialetti che sono lingue e riparano dal mono-linguismo dei supermarket. Chissà oggi Pasolini in quale angolo di mappamondo potrebbe trovare uno spazio, o un fiato, per dire l’indicibile di un mondo che globalizza la ricchezza e affoga i poveri e in cui le beatitudini volano sulle ali dei cacciabombardieri o scivolano sulle lame dei guardiani di un Califfo.