Omicidio Pasolini. Riapertura delle indagini

Sulla stampa e in rete è uscita di recente una miriade di interventi a seguito della riapertura delle indagini da parte della Procura di Roma  sulla morte di Pasolini, avvenuta all’Idroscalo di Ostia in una terribile notte tra il 1^ e il 2 novembre di 39 anni fa. Sono state rinvenute nuove tracce di Dna – grazie al coinvolgimento del Ris e all’applicazione delle tecniche scientifiche più sofisticate – ed è stato di nuovo sentito come testimone e persona informata sui fatti Pino Pelosi, già reo confesso e condannato per quell’omicidio a 9 anni e 7 mesi, ma dal 2005  responsabile di nuove ulteriori rettifiche e mezze verità. Tra i tanti articoli ne proponiamo due, in attesa che un qualche fascio di luce, se ci sarà, illumini un delitto o un mistero che continua a perturbare le coscienze civili del paese. 

di Davide Turrini
www.ilfattoquotidiano.it – 1^ dicembre 2014

Ennesimo colpo di scena nell’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Sui vestiti del poeta, nato a Bologna il 5 marzo del ’22 e ucciso all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre del ’75, sono state ritrovate macchie di sangue con tracce di Dna appartenenti ad altre persone e non a Pino Pelosi, che come unico esecutore dell’uccisione diPasolini ha già scontato 9 anni e 7 mesi di prigione. Pelosi è stato ascoltato dal pm Minisci della Procura di Roma ribadendo la sua estraneità ai fatti e la presenza di alcune persone quella sera vicino alla macchina di Pasolini che ferirono lui e poi uccisero a bastonate il poeta.
Tornano quindi alla ribalta i nomi dei fratelli Franco e Giuseppe Borsellino (morti di Aids, ndr), frequentatori della sezione Msi della Tiburtina, in moto ad inseguire Pasolini e Pelosi sull’auto, anche se sull’identità dei tre che lo presero per il collo, gli ruppero il naso e poi si gettarono con ferocia sul corpo di Pasolini, Pelosi non conferma che fossero loro: “Lo investirono con una seconda macchina uguale alla sua”, ha spiegato l’oramai 56enne Pelosi, ricostruendo di fronte ai cronisti le fasi di quella lontana notte. “Mi feci la mia condanna perché avevo paura, in carcere venni minacciato più volte di morte”.
L’ultima puntata del delitto Pasolini riaccende i riflettori su un caso risolto in sede giudiziaria con la condanna definitiva in Cassazione nel 1979 per Pelosi, ma a livello mediatico e politico continuamente riaperta, spesso da amici e conoscenti vicini all’autore di Petrolio.
Pelosi venne arrestato lo stesso 2 novembre 1975 e il 5 febbraio del ’76 affrontò il processo da reo confesso. Il 26 aprile del ’76, dopo quindici udienze il ragazzo romano, detto “la rana”, venne condannato in primo grado a 9 anni e 7 mesi, sentenza confermata in meno di un anno sia in Appello sia in Cassazione. Il 26 novembre 1982 Pelosi ottenne la semilibertà e il 18 luglio 1983 la libertà condizionata.
Già nell’arringa al processo del ’76  l’avvocato di Pasolini, Guido Calvi, avanzò dubbi sull’unico esecutore, e la possibile presenza di altri aggressori. Tesi ripresa nuovamente nel 2005 dallo stesso Pelosi ospite in un programma di RaiTre e ancora da improvvisato ospite alla presentazione del libro Nessuna pietà per Pasolini in una libreria di Roma nel dicembre 2011, incalzato da Walter Veltroni che di Pasolini fu amico: “Ci seguivano fin dalla stazione. Un paio di loro hanno tirato Pier Paolo fuori dall’abitacolo e hanno cominciato a picchiarlo, era a terra già mezzo morto quando gli sono passati addosso con l’auto – spiegò con le stesse parole e gli stessi ricordi di oggi Pelosi a Veltroni.- Uno di loro è venuto da me, me le avevano già date, e mi ha detto: ‘Inventati qualcosa, se dici qualcosa famo fuori te e tutta la famiglia tua’”. E pure in galera me lo ricordavano, erano detenuti questi, quando mentivo mi dicevano ‘bene così’. Non mi hanno mai mollato”.
La versione Pelosi numero due viene aspramente criticata dall’amico e confidente di Pasolini, Nico Naldini, ma già a maggio 2010 il regista Mario Martone, coadiuvato dall’avvocato Calvi, aveva registrato in una testimonianza video le parole dell’amico del poeta, Sergio Citti, andato a fare riprese e raccogliere testimonianze all’idroscalo nei giorni successivi al 2 novembre ’75, e che avrebbe ricordato a sua volte le parole di alcuni pescatori che nella notte avevano visto due auto e diversi uomini picchiare Pasolini.
Infine solo un mese fa è stato il regista e giornalista David Grieco, arrivato tra l’altro all’Idroscalo quel 2 novembre tra i primi assieme al medico legale Faustino Durante, a voler riaprire il caso. Grieco, a cui Abel Ferrara aveva chiesto inizialmente di scrivere una sceneggiatura per quello che poi sarebbe diventato il film in concorso all’ultimo  festival di Venezia, Pasolini, sta girando La Macchinazione, film sugli ultimi tre mesi di vita di Pasolini, interpretato da Massimo Ranieri: “E’ stato ammazzato per la sua ‘scomodità’ – ha spiegato Grieco – Voglio che il caso sia riaperto una volta per tutte. Abbiamo il diritto di sapere che i suoi assassini siano individuati, anche se non più perseguibili dopo 40 anni. Se non elaboriamo la nostra storia, finiamo male”.

Italo Moscati
Italo Moscati

di Mario Brandolin
www.messaggeroveneto.it – 3 dicembre 2014

Non c’è pace per Pasolini. La notizia che la procura di Roma ha riaperto le indagini sulla morte del poeta è rimbalzata, amplificandosi, su tutti i media. Una morte tragica, per la quale era stato condannato, come unico responsabile e in via definitiva Pino Pelosi. Ma sin da subito questo assassinio e per la sua ferocia e per il “peso” della vittima, aveva suscitato una ridda di interpretazioni e dato adito a infinite prese di posizione. C’è chi allora prefigurò un omicidio politico da parte di una destra che voleva far tacere una voce contro – acuta nelle analisi e precisa nella denuncia delle storture e delle degenerazioni del potere! –; e chi parlò di macchinazioni nate nell’ambito della malavita e della prostituzione maschile (erano state trafugate proprio in quei giorni alcune pizze dell’ultimo film di Pasolini, Salò). Altri ancora, come il pittore Giuseppe Zigaina, fraterno amico di Pasolini, arrischiarono spiegazioni più ardite, vedendo nella fine del poeta corsaro la conclusione di un rito autosacrificale, martirologico, di cui Pasolini stesso era stato l’artefice e del quale aveva lasciato traccia, preannunciandolo e quasi descrivendolo, in modo criptico, in molti dei suoi lavori.
Ma furono soprattutto le prime due ipotesi a tenere banco. In particolare, la tesi del complotto politico, che molti, non a torto, lessero però come il modo di una certa sinistra per “santificare” Pasolini, rimuovendo e sublimando così quell’aspetto della sua vita, vale a dire la sua omosessualità, che in fondo la sinistra, una certa sinistra non gli aveva mai perdonato.
Macchinazioni e complotti ai quali, proprio per il loro carattere strumentale, non hanno mai creduto molti di quelli che furono vicini a Pasolini, a cominciare dal cugino Nico Naldini, il quale ha sempre parlato di incidente di vita, di tragica fatalità: «Pasolini – così scrive in Breve vita di Pasolini  (Guanda 2009) –, è morto, come moltissimi altri omosessuali, per l’aggressione di un partner sessuale. Resta inspiegabile il movente che ha fatto scattare la furia omicida del ragazzo. Oppure non c’è nulla da spiegare». Anche se Naldini non ha mai escluso la presenza di altri sul luogo del delitto. Ora la prova del dna di una traccia di sangue trovata sugli abiti del poeta, diversa da quella di Pelosi, ha fatto riaprire le indagini, e potrebbe aiutare a stabilire una volta per tutte la verità.
Ma non sarà un compito facile. Il fotografo Dino Pedriali, al quale Pasolini stesso aveva chiesto dei ritratti poche settimane prima di morire, quasi a voler “consegnare” a un altro artista il suo corpo, è dell’avviso che se per quel dna non si troverà riscontro nella lista di persone allora già schedate, quindi conosciute, sarà molto difficile individuare i responsabili «e sarà un buco nell’acqua». «Ancora una volta – Pederiali non nasconde una certa amarezza – si sarà parlato di Pasolini solo per la sua morte, rinfocolando in modo strumentale e vergognoso quell’attenzione morbosa che spesso si accompagna a delitti del genere».
Dello stesso parere il critico e studioso Italo Moscati, autore, tra gli altri, del saggio su Pasolini Passione Vita senza fine di un artista, che ieri si è detto turbato e sconcertato per questo accanirsi su una vicenda di cui peraltro già si sapevano i contorni: come il fatto che, sicuramente, quella notte a Ostia Pelosi non fosse solo. «Pasolini – osserva Moscati – continua a essere sbattuto in prima pagina solo per la sua morte, alimentando una curiosità scandalistica che rischia di far passare in secondo piano il valore dell’opera di uno degli intellettuali piú importanti del secolo scorso».
E non sarà un caso se a scegliere il silenzio, oggi come anche in altre occasioni (ricordiamo la richiesta di Veltroni nel 2010 di riaprire il caso su alcune dichiarazioni di Pelosi), c’è anche il Centro Studi di Casarsa, che in questi anni molto ha fatto per restituire soprattutto ai giovani il Pasolini scrittore, critico letterario e cinematografico, poeta, cineasta e drammaturgo. «Autore di un’opera complessa e sterminata, a stento contenuta nei dieci volumi dei Meridiani Mondadori – come evidenzia la direttrice del Centro, Angela Felice –, che non può certo essere intaccata dalle ombre della sua morte terribile e dall’uso deviante e pretestuoso che ne fanno spesso le cronache».