Letizia Battaglia e Pasolini

Libera, coraggiosa, vitalissima, appassionata,  innamorata della giustizia e della bellezza, Letizia Battaglia è uno dei grandi nomi della fotografia contemporanea, celebre in tutto il mondo per i suoi scatti folgoranti sui morti di mafia della sua Sicilia. Non molto noto è invece che il suo esordio dietro la macchina fotografica è avvenuto l’11 dicembre 1972 al Circolo Turati di Milano, dove, quasi per caso,  ha realizzato una memorabile galleria di ritratti di Pasolini, presente in un pubblico contraddittorio sul suo contestato film I racconti di Canterbury. Un reportage che va ben oltre la semplice documentazione e che a breve sarà esposto al Centro Studi Pasolini di Casarsa insieme alla serie de Gli invincibili. Su questa straordinaria artista, dal temperamento appassionato e indipendente, pubblichiamo due articoli usciti su “la Repubblica”, uno recente di Attilio Bolzoni e uno  del 2011 di Paola Nicita.

Un ritratto di Letizia Battaglia

di Attilio Bolzoni

www.repubblica.it – 16 novembre 2014

Perché ti sei sposata a sedici anni? «Perché ho incontrato un uomo che mi amava e mi offriva il mondo». Torna indietro con i pensieri e con i sensi, sul suo viso scivolano allegrie, pene, qualche tormento. Un sorriso tenero svela però che si è acquietata, che ha capito che è andata come doveva andare. Se poi sia stata lei a prendersi da sola il mondo o il mondo a prendersi lei, a questo punto della sua esistenza poco le importa, mentre è al riparo nella sua casa di Palermo. Un palazzo che sa molto di famiglia. Il suo appartamento è al secondo piano. Sullo stesso pianerottolo abita il fratello Salvatore, verso mezzogiorno gli odori delle due cucine si confondono. All’attico ci sta sua figlia Patrizia. Al superattico l’altra figlia Angela, che dopo un viaggio in India è diventata Shobha. Per raccontare se stessa Letizia Battaglia non sa da che parte cominciare.
«Dall’inizio o dalla fine? Da quando ero bambina o da quando sono andata a vivere a Parigi, dai miei nipotini o dalle mie foto?». Una, bellissima, è alle sue spalle. Milano, 1971. Un uomo con la faccia coperta da dita nodose. «È Pier Paolo Pasolini al Circolo Turati, quel giorno c’erano anche Dario Fo e Mario Capanna». Milano? «Sì, sono stata lì tre anni, ma forse è meglio iniziare dal principio, quando sono nata…». Pensa all’inizio e ricomincia dalla fine: «Adesso mi sento forte nella testa e nelle mie idee, ho avuto tanto e non voglio più nulla».
Letizia è fatta così, generosamente sottosopra. E così: «Adesso posso non avere più pudori: io sono una maestra di fotografia». E così: «Io non sono una fotografa, la fotografia è solo una parte di me». Dobbiamo fermarci davanti a un caffè, ricordare per un po’ la nostra Palermo e mettere in ordine uno dietro l’altro momenti e sentimenti.
A marzo Letizia Battaglia compirà ottant’anni. «Sono nata nel 1935, mio padre faceva il marittimo, ci spostavamo da una città all’altra, Palermo, Trieste, Civitavecchia, Napoli, ancora Palermo…». La memoria pesca lontano. Alla guerra, i bombardamenti. «Ho negli occhi ancora l’immagine della nostra casa sventrata a Civitavecchia e quella di un cane che trascinava, chissà dove, la manica di una giacca con dentro il braccio di qualcuno».
Il primo ritorno in Sicilia. Le elementari alle Ancelle, le alunne con i guanti, gli inchini, i rampolli della grassa borghesia e dell’aristocrazia siciliana. «Fra i banchi ho conosciuto tutta la Palermo bene, io non avevo la divisa fatta dal sarto ma quella che dava la scuola… Un giorno venne una vecchia nobile a casa mia e le dissi: “Mamma arriva, intanto si accomodi in salotto”;  lei mi guardò con disprezzo e rispose: “Salotto? Mia cara, questo non è un salotto”… Non me le sono mai dimenticate le parole e gli occhi di quella donna».
Le prime ansie, i primi slanci, le prime ribellioni. È adolescente ed è già donna. L’amore si chiama Franco. È incantata, nel 1951 si sposa. E nonostante l’età, lui — che di anni ne ha sette in più — segna come su una mappa il percorso della vita di Letizia. «Sarei dovuta diventare una delle tante belle ed eleganti signore di Palermo». Sognava altro. Per fortuna arrivano le figlie. Prima Cinzia, poi Angela e Patrizia. Il matrimonio è come una prigione. E dura tanto, troppo. Letizia se ne va. «Se l’avessi fatto prima, avrei tolto infelicità a me e a mio marito… Franco non c’è più da sei anni, l’ho ritrovato, fino all’ultimo giorno sono stata vicina a lui».
Nel 1971 — dopo una lunga analisi — lascia la Sicilia per Milano. Comincia come cronista, collabora prima con “Le Ore” e poi con “Abc”, settimanali anticonformisti e anticlericali molto diffusi in quegli anni, servizi di politica e scatti molto osé per l’epoca. Con il “pezzo” le chiedevano sempre le foto, altrimenti non glielo pubblicavano. Letizia diventa Letizia: fotografa.
E dopo il primo amore abbandonato a Palermo, trova il secondo amore. Santi, anche lui fotografo.
Letizia è curiosa, avida di vita. È in quei mesi che conosce l’altra Milano. E Pasolini. «Ce l’avevo già dentro, ma da quel momento non me lo sono fatto scappare più… qualche mese prima avevo anche incontrato a Venezia Ezra Pound … piangevo…».

Ritratto di Letizia Battaglia
Ritratto di Letizia Battaglia

Da Palermo quelli del quotidiano “L’Ora”, che giù tutti chiamavano il “L’Ora”, prima chiedono a lei e a Santi qualche articolo sui siciliani diventati “milanesi”, poi il direttore Vittorio Nisticò li vuole in redazione. Scendono. E Letizia è ancora nella sua Sicilia. «Ma già allora non c’era una sola Letizia». Fa volontariato alla “Real Casa dei Matti”, l’ospedale psichiatrico di via Pindemonte. Fa scuola di teatro al Teatès di Michele Perriera, fa foto che porta sulle scrivanie di talentuosi giornalisti come Salvo Licata, Mario Genco, Nino Sofia. E si butta nella mischia siciliana. Sono gli anni in cui il potere politico e criminale di Palermo sta cambiando, i primi cadaveri eccellenti, la guerra di mafia che si annuncia alla periferia dell’impero. Con la sua gonna svolazzante e con i suoi zoccoli, Letizia arriva sempre per prima sulla scena del delitto. È testimone oculare nella Palermo più cupa, le sue foto fanno il giro del mondo. E c’è un nuovo amore ancora. Anche lui si chiama Franco. E anche lui fa il fotografo. Compagno per lunghissimi anni.
Quando finisce una storia privata, ne comincia una pubblica: la “primavera” palermitana, il vento che spazza via i notabili invischiati con i boss, le paure e le speranze di una città. Letizia viene nominata dal sindaco Orlando assessore comunale, delega alla Vivibilità Urbana. Porta sempre quelle sue gonne colorate e gli zoccoli. «È stato il periodo più bello della mia vita, più bello della fotografia, mi sentivo cittadina e quindi più che solo una fotografa. Ma io non facevo politica, io amministravo, facevo cose concrete, vedevo un angolo sporco e facevo sistemare una pianta ». Dopo la giunta “colorata” di Leoluca Orlandol’elezione alla Regione Siciliana. «Esperienza inutile, non facevo niente, non mi facevano sapere niente».
Poi le stragi. Prima Falcone e Borsellino, un anno dopo don Pino PuglisiLetizia non vuole fotografare più i morti, gli amici morti. Parte per Parigi. È depressa, per lunghi mesi passa le sue giornate al tavolino di un bistrò. «Senza parlare, senza bere, perché io non bevo nulla». Solo una grande solitudine. Lei dentro un gorgo e gli altri che la onorano. Le arrivano i premi più prestigiosi. Dalla Francia, dalla Germania, da Londra. È anche la prima donna europea a vincere negli Stati Uniti la borsa Eugene SmithLa consacrazione. Torna un’altra volta a Palermo. Ma da quel momento non farà più una mostra nella sua città. «Sono passati venticinque anni…».
Letizia è impastata con Palermo, la ama e la patisce, prova rabbia ma non può farne a meno. «Mi emoziono sempre camminando nei vicoli… una statua della Madonna, un Gesù, gli odori, una finestra sbilenca…».
Sta molto a casa. Con il cane Pippo che azzanna le sue scarpe e con il telefono che squilla sempre. Amici vicini e lontani, parenti. «Come le tartarughe mi sono ricostruita una corazza e ho ricostruito la famiglia. L’amore c’era per tutti ma in qualche modo si era disperso». Parla dei suoi fratelli, quelli che ci sono ancora e quelli che non ci sono più. E di Massimiliano, Gianfranco, Francesca, Matteo e Marta, i suoi cinque nipoti. E delle sue «splendide figlie». Fotografa ancora. Fotografa le bambine. Ce ne sono di bellissime, raccolte con cura e scelte per Diario , il suo ultimo libro. «Le cerco, le rincorro, in loro mi ritrovo io stessa bambina». Quando va in giro per Palermo la fermano, l’abbracciano. «Quando ero deputata alla Regione tutti mi chiamavano onorevole e io alzavo il dito medio della mano e rispondevo “Tié”. Gli onorevoli di solito vengono chiamati onorevoli anche quando non sono più in carica, a me invece continuano a salutarmi sempre nello stesso modo: “Ciao Letizia”…». Ciao Letizia.

Pasolini. Foto di Letizia Battaglia, 1972
Ritratto di Pasolini.  Foto di Letizia Battaglia, 1972

Pasolini visto da Letizia Battaglia

di Paola Nicita

www.repubblica.it – 28 ottobre 2011

Quell’ undici dicembre del 1972 il Circolo Turati di Milano era gremito di gente che aspettava di incontrare, parlare, vedere Pier Paolo Pasolini, chiamato a rispondere dei violenti attacchi al suo film I racconti di Canterbury. Tra la folla impegnata e tumultuosa c’era una ragazza poco più che trentenne, Letizia Battaglia, che prendeva in mano la macchina fotografica per la prima volta. Quei ritratti in bianco e nero di Pasolini, trentadue immagini di un provino dimenticato per tutti questi anni, sono saltati fuori dal cassetto della fotografa palermitana, che nel frattempo ha ottenuto i più importanti riconoscimenti internazionali – i premi Eugene Smith e Cornell Capa Infinity Award, per citare i più importanti – e sono approdati ad Amsterdam, per una mostra dedicata a Pasolini, organizzata da Rossana Alberico e Ron Lang della galleria “Metis”. Un omaggio che vede protagonisti, insieme a Letizia Battaglia, alcuni tra i nomi di maggior rilevo dell’ arte contemporanea: Alfredo Jaar, Marlene Dumas, Graciela Iturbide. Quattro artisti che hanno raccontato Pasolini, ciascuno a modo proprio: Graciela Iturbide fotografando i luoghi romani del regista, Alfredo Jaar con il film Le ceneri di Pasolini, omaggio di memoria gramsciana, Marlene Dumas con una galleria di ritratti di presenti evanescenze.
«Ho vissuto a Milano dal 1971 al 1973”,  racconta la fotografa. […] “Andai all’ incontro con Pasolini ed ero felicissima di poterlo vedere, mi piaceva. Avevo con me la macchina fotografica, ma non sapevo di essere una fotografa, non sapevo nulla di tecnica e regole, contrasti, controluce. Nulla». E cosa accadde? «Pasolini era una presenza straordinaria, possedeva una gestualità carismatica. Lo guardavo con passione e vedevo un uomo consapevole e al contempo estremamente dolente. Quando lo uccisero, pochi anni dopo, ripensai a quel suo modo di essere, così speciale, e in qualche modo preveggente». Preveggenza di fatti che sarebbero piombati su di lui, o non solo? «Su di lui, sull’ Italia. Mi trovai a fotografare con un’incoscienza “tecnica” che alla fine fu un bene, perché credo che questi ritratti di Pasolini, per quanto alcuni siano anche sfocati, siano aderenti al personaggio, lo rappresentino con verità. Quel giorno era sconvolto dagli attacchi ricevuti per il suo film. Il dibattito fu durissimo».
Il tema dell’ incontro era “Libertà di espressione tra repressione e pornografia”. Lei è mai stata oggetto di simili attacchi? «Le uniche ostilità verso le mie fotografie sono giunte dalla classe politica (una fotografia che ritrae Giulio Andreotti con i fratelli Salvo all’ Hotel Zagarella venne acquisita come prova da Giancarlo Caselli, ndr ), ma certo non dalle persone che osservano le mie immagini. È andata così anche con la foto di Pasolini». Cioè? «Ho preso una di queste fotografie, che non avevo mai pubblicato, e l’ ho messa sulla mia pagina di Facebook. È stato incredibile il numero di persone che mi chiedevano di questo ritratto, di lui, della storia della fotografia. Così ho deciso di stamparne diciassette per questa esposizione, che è stata una bellissima esperienza con gli altri artisti, i galleristi, con persone meravigliose». Cosa le piacerebbe fare? «Insegnare fotografia. Mi hanno chiamato solo una volta per una lezione, e poi basta. Mi piacerebbe poter insegnare».

[info_box title=”Letizia Battaglia” image=”” animate=””]palermitana (1935), inizia la sua carriera di giornalista nel 1969 lavorando per il giornale palermitano “L’Ora”. Nel 1970 si trasferisce a Milano dove incomincia a fotografare collaborando con varie testate. Nel 1974 ritorna a Palermo e crea, con Franco Zecchin, l’agenzia “Informazione fotografica”, frequentata da Josef Koudelka e Ferdinando Scianna. Qui si formano i fotografi Luciano del Castillo, Ernesto Bazan, Fabio Sgroi, nonché la figlia Shobha. Nel 1974 si trova a documentare l’inizio degli anni di piombo della sua città, scattando foto dei delitti di mafia per comunicare alle coscienze la misura di quelle atrocità. Suoi sono gli scatti all’hotel Zagarella che ritraevano gli esattori mafiosi Salvo insieme ad Andreotti e che furono acquisiti agli atti per il processo. Diviene una fotografa di fama internazionale. Ma Letizia Battaglia non è solo “la fotografa della mafia”. Le sue foto, spesso in un vivido e nitido bianco e nero, si prefiggono di raccontare soprattutto Palermo nella sua miseria e nel suo splendore, i suoi morti di mafia ma anche le sue tradizioni, gli sguardi di bambini e donne (la Battaglia predilige i soggetti femminili), i quartieri, le strade, le feste e i lutti, la vita quotidiana e i volti del potere di una città contraddittoria. Letizia Battaglia è stata la prima donna europea a ricevere nel 1985, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, il Premio Eugene Smith, a New York, riconoscimento internazionale istituito per ricordare il fotografo di Life. Un altro premio, il Mother Johnson Achievement for Life, le è stato tributato nel 1999. Ha esposto in Italia, nei Paesi dell’Est, Francia (Centre Pompidou, Parigi), Gran Bretagna, America, Brasile, Svizzera, Canada. Il suo impegno sociale e la sua passione per gli ideali di libertà e giustizia sono descritti nella monografia delle edizioni Motta: Passione, giustizia e libertà (lo stesso titolo di una sua mostra recente). Nel 2008 appare in un cameo nel film di Wim Wenders Palermo Shooting. Tra i suoi libri pubblicati in Italia, Siciliana, con testi di Giovanna Calvenzi, Claudio Fava, Michele Perriera ( Belvedere Electa, 2006); Passione, Giustizia. Libertà , con testi di Alexander Stille, Renate Siebert, Roberto Scarpinato, Leoluca Orlando, Simona Mafai, Melissa Harris, Angela Casiglia Battaglia (Federico Motta Editore, 1999); Dovere di cronaca, con Franco Zecchin (Peliti, 2006).[/info_box]