Il PPP “linciato” e “mistificato” in una mostra curata da CSAPPP di Bologna

Nell’ambito del progetto Più moderno di ogni moderno, la piazza coperta di  Salaborsa di Bologna ospita a partire dal 13 ottobre 2015 la mostra  Una strategia del linciaggio e delle mistificazioni – L’immagine di Pasolini nelle deformazioni mediatiche, a cura del Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini  della Fondazione Cineteca di Bologna. L’esposizione, visitabile fino al 15 novembre 2015 negli orari di apertura della biblioteca (da martedì a venerdì h. 10-20, sabato h. 10-19), documenta la storia della violenta persecuzione diffamatoria che Pier Paolo Pasolini ha subìto da parte di certa stampa, degli oltraggi feroci sulla sua morte e delle mistificazioni orchestrate negli anni successivi alla sua scomparsa. Un magma di articoli, pagine, copertine di giornali, fotografie, schede segnaletiche, esposto come un’inquietante cartografia, con l’intervento di Gianluigi Toccafondo che, ispirato dai ‘referti’ giornalistici, mostra l’intensità dell’impatto emotivo che quei documenti e la loro ferocia razzista hanno avuto sull’artista.
Qui di seguito un contributo del curatore  della mostra  Roberto Chiesi, responsabile del  Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini  della Fondazione Cineteca di Bologna. 

Un  giorno,  un  pazzo  m’ha  accusato  di  averlo  rapinato (con guanti e
cappello  neri,  le  pallottole d’oro nella pistola): tale accusa è passata
per  buona  e attendibile, perché a un livello culturale sottosviluppato si
tende  a  far  coincidere  un  autore  coi  suoi  personaggi:  chi descrive
rapinatori è rapinatore.
Pier Paolo Pasolini, 1965

Le due storie
Il  magma  di  articoli,  pagine, copertine di giornali, fotografie, schede segnaletiche  esposto  come  un’inquietante  cartografia  nella  mostra Una strategia  del  linciaggio  e  delle  mistificazioni,  racconta  due storie parallele.
La storia della violenta persecuzione diffamatoria che Pier Paolo Pasolini,lungo  quasi vent’anni della sua vita, ha subìto da una parte della stampa,poi  la  crudeltà accanita e gli oltraggi feroci scatenati da quella stessa stampa  sulla  sua  morte  e infine alcune mistificazioni orchestrate negli ultimi quindici anni.
L’atto  che  inaugura  i  drammatici  rapporti  del  poeta con la stampa, è segnato  dalla pubblicazione del gelido, succinto articolo de “l’Unità” che annuncia  la  sua espulsione dal PCI per “indegnità morale”. Fu un episodio traumatico  per Pasolini e uno degli eventi che determinarono concretamente la sua distanza dall’ortodossia politica e dai suoi dogmi.
Ma l’inizio della campagna di linciaggio è dato dall’uscita del romanzo Una vita  violenta  nel  1959,  dove  il personaggio del protagonista, Tommaso,attraversa  un  processo  di  redenzione  che  lo porta dalla delinquenza e dall’iscrizione  al MSI al PCI. Giornali come “Lo Specchio”, “Il Borghese”, “Il  Secolo  d’Italia”, “Il Camino di Lodi”, “Il Meridiano” e “L’Italiano”, fabbricano  un’immagine di Pasolini come bersaglio da colpire attraverso il dileggio,  l’umiliazione pubblica, la denigrazione della sua figura e delle sue  opere.  Quell’immagine  si  identifica  in  un  giovane pervertito che riflette  in  tutto  e  per  tutto  la  fisionomia  dei personaggi dei suoi romanzi:  come  loro,  è “di vita”, è “criminale”, “violento”, “capovolto”, “invertito” e così via.
Anche  i rotocalchi come “Gente” concorrono ad alimentare quell’immagine di Pasolini,   ma   vi   aggiungono   delle  variazioni:  lo  scrittore  è  un “arrampicatore”, “un furbo”, “un opportunista”. Giornali come “Lo Specchio” esaltano,   senza   mezzi  termini,  le  aggressioni  fisiche  che  vengono perpetrate  contro  Pasolini, come nel caso del celebre episodio avvenuto al cinema Quattro Fontane di Roma, nel settembre del 1962, dopo una proiezione di Mamma Roma. Lo scrittore non sporge mai denuncia.
In  quella che si configura come una vera e propria guerra, sono quotidiani come  “l’Unità”,  “Paese  sera”  e settimanali come “Vie nuove” a sostenere (anche se non sempre) la battaglia sollevata da ogni nuova opera del poeta. Nello   stesso   periodo,  Pasolini  è  colpito  da  continui  procedimenti giudiziari:  denunce,  processi  intentati  contro  la sua persona e le sue opere.  Talvolta  ci si fa beffe del più elementare buon senso: come quando Pasolini viene accusato di avere tentato di rapinare un benzinaio-salumiere vestendosi  di  nero, con una pistola d’oro, caricata con pallottole d’oro. Il  magistrato  accoglie  la  denuncia  e  Pasolini finisce sotto processo, nonostante l’assoluta inverosimiglianza dell’accusa.

Pasolini all''Ufficio di Polizia al tempo di "Accattone" (1961)
Pasolini all’Ufficio di Polizia al tempo di “Accattone” (1961)

Dopo  il  successo  del  film  Il  Vangelo  secondo Matteo (1964), il clima diviene  meno  rovente,  ma  la  “tregua”  è di breve durata e riprende con altrettanto  livore  anche  sul fronte della stampa di estrema sinistra nel giugno   1968,   quando  esce  su  “L’Espresso”  la  provocatoria,  celebre poesia-pamphlet   Il   PCI   ai   giovani!!!.   Per   giornali  come  “Mondo nuovo” Pasolini   diviene   l’emblema   dell’intellettuale  cortigiano,  del “venduto”,  del “vile”. Sull’altro fronte, la regia teatrale della tragedia Orgia  e  lo  scandalo  del film Teorema  attizzano nuovi triviali attacchi della stampa di destra ed estrema destra, che lo bolla di “pornografo”.
Quell’epiteto, in un largo ventaglio di varianti, viene fatto proprio anche da  una parte della stampa di sinistra quando lo scrittore-regista realizza la Trilogia della vita e ottiene un immenso successo popolare. Al  momento  di  concludere  la  Trilogia,  Pasolini  inizia a scrivere sul “Corriere  della  Sera”  i  drammatici  articoli  “corsari” e “luterani” che ispirano  un  rinnovato vento denigratorio sui giornali di sinistra come di destra.   Nasce   l’immagine   del  Pasolini  “nostalgico”,  “reazionario”, “confuso”.
La  tragedia  oscura  dell’assassinio  è  il  culmine di questo processo di accanimento.  I giornali che hanno sempre alluso grevemente al “privato” di Pasolini  ora possono scagliarsi con dettagliate descrizioni sulla sua vita intima  di  “diverso”,  che  viene  vivisezionata  senza  nessuno  scrupolo sull’attendibilità   di   informazioni,   notizie,   testimonianze:   viene pubblicato  tutto  ciò  che  può offrire l’immagine più turpe del poeta per seppellirlo sotto l’effige definitiva di “violento e perverso corruttore”.
L’uscita  del film postumo Salò o le 120 giornate di Sodoma è sfruttata per completare  l’identificazione  fra  i  “mostri”,  personaggi  del  film,  e Pasolini,  come  se  fosse  un’autobiografia per immagini (e non esistesse, all’origine, il “palinsesto sadiano”).
Dopo   gli  anni  Ottanta,  dopo  l’inizio  degli  anni  Novanta,  ecco  il proliferare  di  un   nuovo  fenomeno  di  mistificazione:  quotidiani come “L’Indipendente”   e   settimanali   come   “L’Italia”,   si   affannano  a “riabilitare”  Pasolini attribuendogli un’identità “reazionaria” sempre più vicina  alle  frange  ideologiche destrorse. È un segno significativo della ridicola mistificazione operata in questa occasione (e tuttora in corso) il fatto  che  vengano  sfruttate  le  fotografie dello stesso film – Il gobbo (1960)   di  Lizzani,  dove  lo  scrittore  interpretava  il  ruolo  di  un delinquente  –  che  trent’anni  prima  erano  “servite”  per  confezionare l’immagine di “scrittore delinquente”. Ora sono riciclate come immagini che lo “apparentano” al “virilismo guerriero” d’impronta fascistoide …
Non   meno  mistificante,  è  anche  l’operazione  compiuta  dalla  critica cinematografica  italiana  che  ha  fatto  del  trash  la propria bandiera: “riabilitando” il cinema “nazi-porno” assegnano a Salò di Pasolini il ruolo di   capostipite   di   quel  sottogenere,  come  se  un’opera  non  fosse, innanzitutto,   stile   e   linguaggio  e  la  diversità  dell’ultimo  film pasoliniano  da  quegli  abomini  filmici  non  si  misurasse  in  distanze macroscopiche.  Ma questa è soltanto una delle tante conseguenze della moda dell’indifferenziato  che  costituisce  uno  dei  tratti  meno evidenti del degrado culturale della penisola negli anni del berlusconismo.
La  seconda  storia  che  raccontano  indirettamente  ma concretamente quei reperti è appunto quel degrado che una parte della stampa ha contribuito ad alimentare  con  abusi,  adulterazioni,  mistificazioni e la violenza delle false  informazioni.  Un  degrado  che  ha  trovato  la sua espressione più potente e devastante nella televisione.

Un'opera di Gianluigi Toccafondo
Un’opera di Gianluigi Toccafondo

I grigi di Toccafondo
Le  tele  di  Gianluigi  Toccafondo,  ispirate dai “referti” giornalistici, mostrano  innanzitutto  l’intensità dell’impatto emotivo che hanno avuto su di  lui  quei documenti e la loro ferocia razzistica. Un impatto di sdegno,probabilmente anche di disgusto, di orrore che Toccafondo ha espresso al di fuori di qualsiasi retorica, di qualsiasi facile condanna.
La  mano  di Toccafondo ha coperto la massa di alcune scritte con un nero o un  bianco luttuosi e polemici, soprattutto ha enucleato la brutalità delle impaginazioni,  delle  parole,  delle  immagini, rovesciandole in un’ironia liberatoria  che  irride  e smonta l’arroganza moralistica dei censori, dei giudici, degli accusatori, dei carnefici con la macchina da scrivere.
Deformando i tratti delle loro figure con il bianco e il nero, con i grigi,li  ha  rivelati  nella  loro identità, li ha denudati nella loro natura di marionette, nella loro abiezione di sciacalli.
Muovendosi  in  questa galleria di orrori  e turpitudini giornalistiche, la mano  di  Toccafondo  ha  cercato  la  figura  di  Pasolini  da  una pagina all’altra,  anche  in  questo  caso  senza  mai  sfiorare  la  retorica, ma evocando, sugli ectoplasmi delle fotografie, la vitalità fisica di un corpo e  di  un  intelletto che sembrano offrirsi ad una resistenza irriducibile,ostinata, senza compromessi.