Il Medioriente nei ricordi di Dacia Maraini, tra dolore, nostalgia e speranza

In un’intervista a Gabriele Lippi per “lettera43.it” la scrittrice Dacia Maraini esprime le sue considerazioni sui cambiamenti cruenti del Medioriente musulmano, un mondo amato e perlustrato in tanti viaggi insieme a Pasolini e Moravia. Sul dolore e sullo stupore prevale tuttavia la fiducia che alla fine, contro ogni totalitarismo, prevarranno il buon senso, la ragione, il valore della cultura e il bisogno della libertà.

Dacia Maraini: «L’Isis? Il buon senso prevarrà»
di Gabriele Lippi

www.lettera43.it – 11 maggio 2015

Una vita passata a viaggiare, leggere, scrivere, conoscere e amare il mondo. Dacia Maraini ha sempre avuto una valigia aperta e pronta per essere riempita. Figlia dell’etnologo Fosco Maraini e della principessa siciliana e pittrice Topazia Alliata, nata sulle stesse colline di Fiesole che ospitarono i 10 ragazzi in fuga dalla peste del Decameron di Giovanni Boccaccio, si è trovata in Giappone ad appena due anni.
Da adulta, con Alberto Moravia (suo compagno dal 1962 al 1978), Pier Paolo Pasolini e Maria Callas, ha continuato a girare il mondo, spesso fuori dagli itinerari tradizionali, in mezzo al deserto africano e al Medio Oriente. «Vedere quelle terre in mano all’Isis mi fa un’impressione terribile di dolore e stupore», ha raccontato a “Lettera43.it”  spiegando come quei luoghi siano profondamente cambiati. «Oggi non è più possibile viaggiare liberamente come facevamo noi. Si rischia di essere uccisi o rapiti continuamente».
C’è un senso di nostalgia nelle sue parole, ma anche di speranza perché «ci sono migliaia di musulmani che credono nella fratellanza fra i popoli». Nella furia dell’Isis, che distrugge i libri e i monumenti perché è «la cultura, ovvero l’esercizio libero del pensiero, a dare fastidio a chi crede nel pensiero unico», c’è «qualcosa di psicopatico» e «alla fine prevarrà la ragione e il buon senso della popolazione musulmana».

Maria Callas, Pasolini, Moravia e Dacia Maraini in Africa
Maria Callas, Pasolini, Moravia e Dacia Maraini in Africa

Lei è stata in Medio Oriente e in Nord Africa più di una volta. Che effetto le fa vederlo preda dell’Isis?
Non c’è niente di peggio del fanatismo religioso. Le guerre più feroci, i delitti più crudeli, i massacri più spietati sono stati fatti nella storia in nome di un Dio tirannico e affamato di potere. Ignari della parola di Cristo o di Budda o di Maometto che non hanno parlato di scannare, sgozzare, bruciare vive le persone.

Quando è stata l’ultima volta che ha visitato l’area?
Sono stata in Africa tre anni fa e l’ho trovata in effetti molto cambiata e molto malata.

I suoi viaggi, con Pasolini e Moravia, sono sempre stati all’avventura. Oggi sarebbe possibile viaggiare con lo stesso spirito?
No, oggi non si può viaggiare liberamente come facevamo noi, andando fuori dalle strade maestre, affrontando i paesini interni senza luce e senza acqua, dormendo nelle tende o nelle missioni o nelle caserme abbandonate. Sarebbe da incoscienti perché si rischierebbe continuamente di essere uccisi o rapiti. I turisti di oggi possono viaggiare solo nei territori controllati, accompagnati da guide armate di fucili.

Ci racconta un aneddoto di viaggio che le è caro?
Una volta siamo rimasti in mezzo a una strada di terra piene di buche in mezzo al deserto con la Land Rover rotta. Rischiavamo di passare la notte lì, lontani chilometri da ogni centro abitato.
C’erano Pier Paolo, Alberto, Maria Callas e io.

E come ve la siete cavata?
Per fortuna verso sera è passata una macchina: una bellissima Mercedes che prima ci ha snobbati e poi è tornata indietro quando ha visto che eravamo stranieri. È venuto fuori un autista che ci ha invitati a entrare nell’auto del Monsignore.

Monsignore?
Sì. Dentro la Mercedes c’era un alto prelato africano che aveva vissuto molti anni a Roma e parlava l’italiano. Ma non conosceva né la Callas né Pasolini né Moravia. È stato comunque gentilissimo. Ci ha invitati a cena nella sua missione. Poi ci ha messo a disposizione delle cellette per dormire. A cena abbiamo parlato di calcio.

Come di calcio?
Il Monsignore non  sapeva niente di letteratura o di musica, ma conosceva ad uno ad uno tutti i giocatori della Roma. Per fortuna Pier Paolo era un appassionato giocatore di calcio e ha risposto punto per punto alle domande sui divi del calcio italiano. Poi siamo andati a dormire.

Una serata piacevole insomma.
La mattina dopo, prima di partire, stavamo discutendo fra noi su quanto avremmo dovuto lasciare come obolo per la missione, per ringraziare il Monsignore dell’ospitalità, quando è arrivata una piccola serva nera, a piedi scalzi, che ci ha portato un foglietto su cui stava scritto  un conto salatissimo. Più che se avessimo dormito in un albergo di lusso.

Dall’incontro di culture, tanto amato da lei e Moravia, si è passati allo scontro. Pensa che una convivenza sia ancora possibile? O aveva ragione Samuel Huntington quando teorizzava lo scontro delle civiltà?
Non credo affatto allo scontro di civiltà. Credo a un conflitto fra due culture, una che crede nelle conquiste dei diritti umani e una che vuole imporre solo la legge del più forte, in nome di un Dio intollerante e vendicativo. Queste due culture coesistono in tutti i Paesi del mondo. A volte imparano a convivere pacificamente, a volte l’una prevale sull’altra e se l’altra non ci sta, è la guerra.

Nei suoi viaggi avrà incontrato tante persone di religione musulmana. Come erano i rapporti con loro?
Più che di dialogo parlerei di comprensione, amicizia, comunione di intenti. Ci sono migliaia di musulmani che credono nella convivenza civile, nella difesa dei diritti umani, nel rispetto del più debole, nella fratellanza fra i popoli. Non è una prerogativa dei popoli cristiani.

Eppure c’è chi la pensa così.
Ma i cristiani hanno praticato, anche se in tempi lontani, forme di estremismo religioso, e hanno usato le armi dell’odio, del razzismo, della guerra di aggressione e dello sterminio in nome di un Dio altrettanto feroce e crudele. Per fortuna però nei secoli (grazie anche a cristiani di grande forza morale come San Francesco e Santa Chiara, che hanno voluto riformare la Chiesa dall’interno ritornando alle bellissime e pacifiche parole di Cristo e grazie ai movimenti illuministi e razionalisti) ha prevalso il buon senso, e l’idea che lo Stato debba essere separato dalla Chiesa. Anche se la tentazione di  odiare, aggredire e uccidere chi la pensa in modo diverso, è tornata a momenti nella storia, con impeto e prepotenza, anche fra alcuni popoli cristiani.

Lei ha detto spesso che si prepara ai viaggi leggendo i libri e i romanzi ambientati nei luoghi che dovrà visitare. Cosa pensa del Corano e del suo messaggio?
Come tutti i libri religiosi comincia col predicare l’amore e la convivenza con gli altri popoli. Solo da ultimo, quando Maometto è stato fatto oggetto di odio e vendette, ha tirato fuori un’aria bellicosa che all’inizio non aveva.

La condizione della donna nell’islam è spesso oggetto di dibattito. Pensa che questa religione in particolare releghi la figura femminile in un ruolo marginale e succube?
La religione cristiana ha fatto di peggio con le donne. Le ha demonizzate, le ha colpevolizzate (non era una donna la responsabile della cacciata dal Paradiso?), le ha rese minorenni a vita, incapaci di autonomia di pensiero e di parola, chiamandole pericolose e da controllare e dominare. Tutti i fanatismi religiosi hanno come prima preoccupazione quella di dominare e controllare le donne.

La Primavera araba sembrava poter riscrivere la storia di Africa del Nord e Medio Oriente. E invece quello slancio sembra già esaurito. È stata una delusione completa o qualcosa di positivo è rimasto?
Le Primavere arabe sono cominciate benissimo e finite malissimo. Ma non certo per colpa di chi chiedeva libertà e separazione della religione dallo Stato, ma perché c’è ancora troppa povertà, troppa ignoranza, soprattutto nelle campagne isolate, perché gli imam sono troppo potenti e lo studio del Corano come unica fonte di conoscenza scientifica è troppo prevalente sulla filosofia, la matematica, l’astronomia, la letteratura, insomma i moderni strumenti di conoscenza di cui non si può più fare a meno.

Pasolini parlava di acculturazione, di omologazione delle campagne al Centro. Oggi questo concetto è esteso su scala planetaria dalla globalizzazione?
Non è una questione di luoghi ma di diffusione delle scuole e della giustizia sociale. I pericoli per la lingua italiana non vengono dalla presenza di altre lingue nel nostro Paese, ma dagli stessi italiani che bistrattano e infieriscono sulla lingua nazionale. Io lo chiamo servilismo linguistico questo continuo ricorrere all’inglese, la lingua delle macchine. È bene imparare le lingue, più se ne conoscono e meglio è, ma non imbastardire continuamente la propria lingua con termini stranieri. È stupido e masochistico.

Una volta il mondo era diviso in due blocchi. Con la fine dell’Urss si è assistito a una progressiva americanizzazione del mondo. Le forze integraliste islamiche sono una risposta a questo fenomeno?
Non direi. La guerra è interna al mondo islamico. C’è una forza molto diffusa e popolare che chiede libertà e diritti civili. E c’è un potere a sfondo religioso che vuole tenere in mano il popolo, attraverso la costrizione e l’ignoranza. Non a caso hanno sparato a Malala, la bambina afgana che rivendicava semplicemente il diritto allo studio. Il popolo che chiede libertà però è ancora troppo debole. Il potere religioso ancora troppo forte, armato e minaccioso.

Anche l’Isis e le altre forze integraliste tendono a imporre un pensiero unico. In questa fase storica ha ancora senso parlare di libertà individuale? Esiste ancora?
Certo che esiste il bisogno della libertà di pensiero, di parole, di movimento. Non è una prerogativa occidentale. È naturale e umano chiedere autonomia e libertà. Ma la storia ci insegna che quando un potere autoritario e totalitario si impone col ricatto e le armi, è molto difficile  fare valere i diritti più elementari.

Isis ha dato fuoco alla biblioteca di Mosul, confermando la paura che la cultura incute ai regimi totalitari. È la cultura il miglior strumento per essere liberi?
Certamente, è proprio la cultura, ovvero l’esercizio libero del pensiero, a dare fastidio a chi crede nel pensiero unico. Solo che, come ho già detto, se non c’è cultura, se non c’è la pratica della libertà, se  non c’è una resistenza organizzata nei riguardi del potere totalitario, si ricade sempre nella tirannide.

Per lei i libri sono la nostra memoria. Si potrebbe dire lo stesso dei monumenti, anche essi spesso attaccati dall’Isis e in passato dai talebani. La loro distruzione è un tentativo di cancellare la nostra memoria?
Certamente, tutto quello che riguarda la bellezza, il pensiero che esce dall’ossessione  di un rapporto autoritario, fa paura e secondo loro va condannato e schiacciato e represso. Coltivare la memoria vuol dire riconoscere che esiste un passato, vuol dire riconoscere che non sempre c’è stata la religione che loro vogliono imporre a tutti come vera e assoluta ed eterna. La storia antica ci racconta  che abbiamo avuto dei padri e delle madri, lontane nel tempo, che ci hanno lasciato delle cose mirabili da osservare e ammirare.

E tutto ciò è incompatibile con i piani dell’Isis?
Secondo il principio del Dio che loro idolatrano, si dovrebbero distruggere subito le piramidi perché non rappresentano il Dio del Corano. E così i templi greci e i mosaici romani e la pittura delle grotte, insomma la grande memoria preistorica. C’è qualcosa di psicopatico in questo atteggiamento. Per questo penso che alla fine prevarranno la ragione e il buon senso della popolazione musulmana.