Il corpus cristologico di Pasolini glorificato con Bach, di A. Prospero

di Alessandra Prospero
da Filosofia e religioni (a cura di Maria Grazia Franze) – www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 63, novembre 2012

«In un debole lezzo di macello / vedo l’immagine del mio corpo: / seminudo, ignorato, quasi morto. / È così che mi volevo crocifisso, / con una vampa di tenero orrore, / da bambino, già automa del mio amore». I suoi versi profetici ci aiuteranno a introdurre un autore amato e controverso, compianto eppure attualissimo, la cui aura e carica comunicativa hanno contribuito a renderlo mito nazional-popolare, proprio lui che incarnava lo spirito eversivo e critico rispetto alla cultura dell’epoca, alla comunità intellettuale e alla stessa sinistra, alla quale aderiva da sempre. Dunque, anche se, a quasi quarant’anni dalla sua scomparsa, «pubblicare ancora un volume su Pasolini potrebbe sembrare un’impresa ardua e non giustificata» a causa della gigantesca mole della sua produzione cinematografica e letteraria e dell’eccessiva trattazione biografica e saggistica sull’autore, Corpus Pasolini, curato da Alessandro Canadè (Pellegrini editore, pp. 296, € 20,00), è un lavoro di grande qualità che approfondisce interessanti temi cari all’indimenticabile intellettuale e artista.

Eterogeneità di approcci allo studio
Come sostiene lo stesso curatore, «la particolarità di questo volume risiede nel voler rendere ragione, da un lato, dell’eterogeneità del corpus delle opere pasoliniane, dall’altro, delle molte facce della sua immagine “mitologica”, attraverso una eterogeneità di approcci da parte dei singoli studiosi coinvolti». Il volume raccoglie infatti alcuni degli interventi presentati durante un ciclo di seminari promosso nel 2006 dal Dams dell’Università della Calabria, riunendoli, appunto, in un corpo unitario di approfondimenti. Il libro comprende i contributi di alcuni studiosi di Letteratura: Nicola Merola e Antonio Tricomi; di Filosofia: Michael Hardt, Fabrizio Palombi e Paolo Virno; di Cinema: Marcello Walter Bruno, Alessandro Canadè, Roberto De Gaetano, Bruno Roberti e Tomaso Subini; di Teatro: Vincenza Costantino e Valentina Valentini; e di Estetica musicale: Carlo Serra (il quale ci regala lo struggente saggio sul legame tra Pasolini e il compositore tedesco Johann Sebastian Bach).

Un “corpo cristologico”
Un tema attraversa tutta l’opera pasoliniana e il volume in questione: il concetto del corpo che inevitabilmente lega e delimita vita e morte e, lungi dall’antico dualismo tra anima e corpo, sostiene l’anima, permettendole di essere e di esprimersi, poiché «i sentieri del pensiero e dell’esistenza sono tracciati sulla carne. La carne sta alla base dell’esperienza; è la sua vera potenzialità». «Esibito, amato, preso a bastonate, il corpo in Pasolini è il luogo privilegiato dell’epifania del sacro. Un corpo cristologico». Michael Hardt ci spiega come Pasolini sia affascinato dall’esposizione del corpo di Cristo sulla croce: le ferite sono aperte e bruciano sotto lo sguardo della folla. Ma la tortura di Cristo è offrirsi, è un dono (come del resto si è sempre donato Pasolini al suo pubblico): Egli si spoglia della propria trascendenza per far entrare la divinità nella materia e abbandonarsi all’oblio della pienezza della carne. Perfino l’attenzione a questo tema diviene profetica in Pasolini: ricordiamo infatti come anche il corpo massacrato del grande poeta e regista viene abbandonato in una triste esposizione. Dirà Alberto Moravia al riguardo: «La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile».

Bach e Pasolini
Particolarmente caro a Pier Paolo Pasolini è il compositore tedesco Johann Sebastian Bach, attraverso la cui musica cerca di innalzare e sacralizzare la prima fase della propria cinematografia, la fase nazional-popolare, inserendo brani bachiani nelle colonne sonore. Per Pasolini l’elemento musicale è fondamentale: lo si evince anche dalle sue sceneggiature, che presentano precise indicazioni musicali. Di Bach, Pasolini ama l’aspetto sublime ma anche ossimorico: «la musica di Bach è un’immagine conflittuale, luogo di uno scontro disperante, di un conflitto fra Carne e Cielo… una lotta, cantata infinitamente, tra alcune note basse, velate, calde e alcune note stridule, terse, astratte». Pasolini si identifica nelle opere di Bach, poiché vi scorge emotivamente una lotta che si fa strada anche sul piano stilistico, una lotta interiore che appartiene a entrambi e che coinvolge il nostro regista e poeta al punto di definire “altezze disperate” le note del Siciliano. L’esuberanza barocca e i toni melanconici del classicismo si alternano ossessivamente in una dialettica fra sacro e profano che accompagnerà tutta la vita di Pier Paolo Pasolini e la musica di Johann Sebastian Bach è il luogo in cui il conflitto diviene finalmente catarsi.