Culture popolari estinte o museali? La lezione di PPP, di Alessandro Leogrande

Alessandro Leogrande è vicedirettore del mensile “Lo straniero”. Collabora con quotidiani e riviste e conduce trasmissioni per Radiotre. Per L’ancora del Mediterraneo ha pubblicato Un mare nascosto (2000), Le male vite. Storie di contrabbando e di multinazionali (2003; ripubblicato da Fandango nel 2010), Nel paese dei viceré. L’Italia tra pace e guerra (2006). Nel 2008 esce per Strade Blu Mondadori Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud (Premio Napoli-Libro dell’anno, Premio Sandro Onofri, Premio Omegna, Premio Biblioteche di Roma). Il suo ultimo libro è Il naufragio. Morte nel Mediterraneo (Feltrinelli), con cui ha vinto il Premio Ryszard Kapuściński e il Premio Paolo Volponi. Per minimum fax ha curato l’antologia di racconti sul calcio Ogni maledetta domenica (2010).
Uno scrittore-saggista, dunque,  dalle antenne  vigili sull’oggi, in presa diretta con l’altalena di ingiustizie, soprusi  e corruzioni che inquinano particolarmente il Sud  e sollecitano l’urgenza civile della denuncia. A lui si deve una recente riflessione problematica  sull’estinzione inarrestabile  delle antiche culture popolari e delle lingue dialettali che davano loro voce.  Fa da traccia al ragionamento, lasciato  dichiaratamente aperto, il pensiero di Pasolini critico della modernità, che non per nulla è rievocato  in una delle ultime occasione pubbliche della sua vita, quando il 21 ottobre 1975 al liceo Palmieri di Lecce animò la lezione-dibattito nota com
e Volgar’eloquio intorno al tema delle lingue e culture popolari ormai, per lui, in fase di svuotata  sopravvivenza.  

Lezione pugliese di Pasolini
di Alessandro Leogrande

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it – 7 novembre 2015

Il 21 ottobre del 1975 Pier Paolo Pasolini incontrò al liceo Palmieri di Lecce un gruppo di docenti e studenti. Il testo del dibattito fu poi raccolto in volume da Antonio Piromalli, che aveva organizzato l’incontro. Si tratta di uno degli ultimissimi incontri pubblici di Pasolini. Pochi giorni dopo, il 2 novembre, venne ammazzato a Ostia. Sono passati quarant’anni: e il gioco su cosa avrebbe detto o pensato Pasolini degli eventi grandi e minuti che ci circondano, se fosse ancora vivo, non si è mai arrestato. Segno evidente, questo, di quanto sia stato uno degli intellettuali del Novecento che più hanno squarciato i luoghi comuni e lanciato osservazioni premonitrici. Il testo di quel dibattito è stato ora ristampato dalle Edizioni del Fondo Piromalli con il titolo Volgar’eloquio, lo stesso che Pasolini volle dare all’incontro, per discutere del rapporto tra i dialetti e la lingua italiana, tra la cultura «centrale», «ufficiale», «scolastica» e le culture periferiche, «subalterne». Per Pasolini, il mondo era radicalmente cambiato rispetto a quello di soli dieci anni prima, gli anni in cui aveva ancora potuto girare un film come il Vangelo secondo Matteo tra i Sassi di Matera e i paesi pugliesi limitrofi. Il consumismo stava letteralmente distruggendo le culture particolari, e quindi anche i dialetti e le tradizioni locali, in un modo mai visto prima, producendo un nuovo mondo, molto più infelice e molto più omogeneo.

Pasolini a Calimera (Lecce) nel pomeriggio del 21 ottobre 1975
Pasolini a Calimera (Lecce) nel pomeriggio del 21 ottobre 1975

Molti allora bollarono Pasolini di essere un conservatore, di vagheggiare il ritorno a un bel mondo antico che non era mai esistito. Ma Pasolini al contrario era ultramoderno tanto quanto eretico, e semplicemente stava scorgendo «una lotta fra una cultura che non accettiamo e una cultura che è finita». Mentre si andava affermando l’italiano televisivo, i dialetti e la cultura popolare stavano semplicemente sopravvivendo nei loro ultimi frammenti. Pensare di studiarli e di tenerli in vita come se fossero delle entità immobili sarebbe stata, né più né meno, un’operazione museale. Per fare un’operazione viva, si sarebbe dovuti partire invece da un’altra parte, da iniziative molto più innovative. Ma quali? È un peccato che Pasolini non abbia potuto sviluppare ulteriormente questa riflessione negli anni successivi. Oggi che in tutto il Mezzogiorno, e in modo particolare in Puglia, le culture popolari di ieri sembrano essere edulcorate e poste al centro di un utilizzo astorico teso ad alimentare la macchina turistica, quella sensazione di museale – spesso privo di vita – è molto forte. Ovviamente a dire tutto questo si passa per «gufi» o per intellettuali conservatori, proprio come Pasolini quarant’anni fa, quando invece la riflessione che si vuole avanzare è un’altra. Esistono ancora culture periferiche vive? Che lingua parlano oggi? E, soprattutto, quale è la lingua dei nuovi poveri?

"Volgar'eloquio", Copertina
“Volgar’eloquio”, Copertina