In occasione della rappresentazione al Mittelfest di Cividale (20 luglio 215) dello spettacolo Ma con l’attrice Candida Nieri, il regista Antonio Latella ha rilasciato una intervista al giornalista Alberto Rochira, che qui pubblichiamo. La drammaturgia di Ma, ispirato alla figura della madre di Pasolini (produzione Stabilemobile in collaborazione con il Festival delle Colline Torinesi), è di Linda Dalisi, le scene di Giuseppe Stellato, i costumi di Graziella Pepe.
Antonio Latella, una delle figure più significative del teatro italiano contemporaneo, ha già scandagliato l’universo poetico di Pasolini con la trilogia Pilade (2002), Porcile e Bestia da stile (2004).
Intervista a Antonio Latella
di Alberto Rochira
www.ilpiccolo.gelocal.it – 20 luglio 2015
«Un lavoro che mi ha sorpreso, per quanto il pubblico alla fine ne sia toccato ed emozionato – spiega Antonio Latella -; questo perché, evidentemente, ha diversi strati di lettura, e ognuno vi riconosce qualcosa di universale: del resto non può che essere tale il dolore di una madre, o di un padre, che seppellisce il proprio figlio».
Portare in Friuli lo spettacolo sulla madre di Pasolini è un’emozione particolare?
Certo ha un per me un valore molto importante tornare dove tutto ha avuto inizio, pensando alla madre, che sta all’origine di tutto. È passato molto tempo da quando a Cividale ho presentato la maratona sull’Amleto e sono felice di tornarci con un lavoro molto diverso: tanto quello era estroverso, eclatante, quanto, invece, questo è qualcosa di dolce, di intimo».
A quarant’anni dalla sua morte, che cosa ci restituisce di lui questo spettacolo?
Ho già lavorato molto su testi di Pasolini, affrontando la Trilogia, per esempio. Ero in Russia, impegnato sul Peer Gynt, e, pensando a quanto sarebbe interessante proporre Pasolini in un paese dove è pressoché sconosciuto, essendo stato tradotto solo un testo, mi è venuto in mente di raccontarlo allontanandomi dalle sue parole, andando a cercare qualcosa di non detto. Lungo questo percorso ho incontrato la figura della madre, così profondamente amata e omaggiata da Pasolini, che addirittura l’ha messa ai piedi della croce come Madonna nel film Il Vangelo secondo Matteo. Ho pensato, allora, di avvicinarmi al dolore silenzioso di questa madre. Un dolore che non è mai potuto esplodere, che non è mai urlato, tanto che anche il grido di Maria nel film stesso non ha audio».
E sondando questo dolore che cosa ha scoperto?
Questo dolore non aggiunge nulla di nuovo alla figura di Pasolini, ma fa invece emergere l’incredibile vuoto che si è creato dopo la sua assenza.
Un vuoto che nessun altro intellettuale è riuscito a colmare?
No. Nessun intellettuale ha mai raggiunto la sua capacità di esporsi in prima persona, di rischiare fino in fondo. Non vedo intorno a noi figure di riferimento ‘totali’ come lui è stato capace di essere, nel suo gesto che era insieme politico e poetico, artistico e intellettuale. E se c’è qualcuno così, oggi, non me ne sono accorto.
A che cosa sta lavorando?
A febbraio a Basilea, debutterà un Edipo in cui mi sono concentrato, appunto, sul personaggio della madre, Giocasta, lavorando sul dubbio che lei sappia, sin dall’inizio, di essere l’amante di suo figlio. In Umbria, invece, con una compagnia giovane sto riscoprendo l’opera di Oscar Wilde, e in settembre sarà pronto questo nuovo spettacolo, L’importanza di essere Ernesto. All’apparenza una commedia esilarante, ma poi, se si approfondisce, è un lavoro con molti strati e di una potenza incredibile.
Il teatro in Italia, come sta?
Direi che sta ‘alla Renzi’, cioè sembra che vada tutto bene. Quindi è probabile che dal prossimo anno si taglieranno le tasse anche sullo spettacolo.