Sul film Profezia- L’Africa di Pasolini, a cura di Gianni Borgna con Enrico Menduni, una riflessione a margine di Benedetta Spampinato.
www.mymovies.it – domenica 3 novembre 2013
Pasolini scrittore, poeta, regista, giornalista. Pasolini uomo, Pasolini come l’obbiettivo di una macchina fotografica, capsula di eternità di strade, volti, voci antiche, mitiche. A trentotto anni dalla sua morte, il cinema italiano ci regala questa splendida carrellata di video inediti, introvabili in Italia, immagini di un Pier Paolo familiare, sempre vigile con il suo sguardo severo e umanamente razionale. La pratica della ragione è il mezzo per carpire la verità ma, prima di fare un passo avanti, Pasolini decide di piantare i piedi, in primo luogo in quei luoghi arcaici che solo la tragedia greca è riuscita ad imprimere nella memoria collettiva.
Profezia- L’Africa di Pasolini (di Gianni Borgna e Enrico Menduni ) è un documentario di settantasette minuti compressi, veloci, penetranti. Sequenze inevitabili di un cinema di nicchia, girate da Hamid Basguit, presentato nella sezione “classici” della 70.ma Mostra del Cinema di Venezia. La pellicola ripercorre dei momenti storicamente essenziali, realizza dei parallelismi tra l’Africa di ieri (e di oggi) e le condizioni delle famose borgate di cui il maestro del contemporaneo sospetto ci ha continuamente parlato.
Il progetto di Pasolini era quello di mostrarci come non esista il concetto elitario di “Africa”: la povertà è intorno a noi. Si trova tra i grandi poli industriali, nelle stazioni e, di certo, dentro di noi. Beato il mendicante, proprio come lo era Pier Paolo, bisognoso di ragioni o, meglio, di vita perché, come lui stesso diceva, “i problemi non si risolvono, si vivono”. Grazie al richiamo del mito (Edipo re, Appunti per un’Orestiade africana, Medea), della figura di Cristo (Il Vangelo secondo Matteo),dei poveracci riecheggianti i vinti verghiani (Accattone, Mamma Roma, Uccellacci e Uccellini, Che cosa sono le nuvole?) e delle demistificazioni degli idoli correnti (Comizi d’amore, La Rabbia), Pasolini mostra criticamente le contraddizioni di una realtà alla rovescia, quasi surreale, tentacolare.
La sua è un’Africa nostalgica, desiderosa di fuoriuscire, malinconica. È l’unica speranza, il futuro. Oreste, come gli immigrati, scappa dalle Erinni che lo seguono, immagine della maledizione imperterrita. Pasolini profeta. L’Italia che lui aveva tanto immaginato diventa realtà: un paese abitato da colori nuovi, quelli della pelle dei rifugiati, di gente che scappa alla ricerca di un porto sicuro.
Pasolini attuale, attualissimo. La voce narrante di Dacia Maraini, il doppiaggio di Roberto Herlitzka, i racconti di Bertolucci (figura chiave del film anche il fratello a cui è dedicato), le interviste a Sartre (a cui lo scrittore dedicò la poesia che dà il titolo al film) danno un tocco di raffinatezza a quel Pasolini ucciso violentemente, quasi profeticamente. E noi lo vogliamo ricordare come un giovane ragazzo che s’incammina verso le strade più tortuose, sfollate, disperate. Quelle strade che portano al discernimento, alla consapevolezza di una Ragione, quella che lui ha immortalato con il fiore della rivoluzione.
La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile.
Alberto Moravia