“Quello che non ho” di Neri Marcorè, tra PPP e De Andrè

In questi mesi, con grande successo,  è in tournée Quello che non ho spettacolo di teatro-canzone reinventato e interpretato da Neri Marcorè, uno tra gli artisti italiani più versatili, Nastro d’Argento e due nomination ai David di Donatello. Antidivo per eccellenza,  noto per il talento, la cifra poetica, l’ironia intelligente e stralunata, Marcorè negli ultimi anni ha molto frequentato il teatro musicale, esplorando tra l’altro Gaber e i Beatles e costruendo spettacoli che guardano sia al teatro civile che alla bizzarra giocosità del surreale.
Prodotto dal Teatro dell’Archivolto e firmato da Giorgio Gallione (sue drammaturgia e regia),
Quello che non ho è un omaggio profondo e sincero a Pier Paolo Pasolini e a Fabrizio De Andrè, un affresco teatrale e musicale emozionante e coinvolgente, che cerca di interrogarsi sulla nostra epoca, in equilibrio instabile tra ansia del presente e speranza nel futuro. L’ispirazione del lavoro, come ha spiegato Giorgio Gallione, nasce dalla Rabbia (1963) di Pier Paolo Pasolini, il documentario/poema filmico  del 1963 che intrecciava analisi  politica a vibrante invettiva, raccontando un’epoca di grandi utopie, di boom economico ma pure l’inizio di “una nuova orrenda preistoria”, figlia del consumismo più sregolato e della distruzione dell’etica e del paesaggio. Ad intrecciare un tessuto narrativo fatto di storie emblematiche, vere e proprie parabole del presente, che raccontano, anche in forma satirica, nuove utopie, inciampi grotteschi e civile indignazione, sono le canzoni di Fabrizio De Andrè, stupende poesie in musica che passano dalle ribellioni, le beffe, le ballate e i sarcasmi giovanili, alla provocazione politica e alla visionarietà dolente delle “anime salve” e dei perdenti contemporanei.
Quello che non ho dunque non è  tanto uno spettacolo su Pasolini o su De Andrè, quanto un viaggio nel nostro presente. Un viaggio che, partendo dall’ispirazione a questi due giganti del passato, prova a costruire una visione personale dell’oggi.
Con Marcorè sono in scena per le voci e le chitarre Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini, su arrangiamenti musicali di Paolo Silvestri. Scene e costumi sono di Guido Fiorato (luci di Aldo Mantovani), mentre la collaborazione alla drammaturgia è di Giulio Costa.
Qui di seguito una recensione di Antonella Lamagna, scritta in occasione delle repliche dello spettacolo al Teatro Signorelli di Cortona (21-22 gennaio 2016).

Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini

“Quello che non ho”. Neri Marcorè e la sorprendente attualità di Pasolini e De Andrè
di Antonella Lamagna

www.valdichianaoggi.it – 23 gennaio 2016

Neri Marcorè saluta il pubblico di Cortona, dopo la seconda serata di tutto esaurito del suo Quello che non ho, tra applausi a scena aperta e centinaia di mani che battono al ritmo della bella canzone di Fabrizio De Andrè che dà il titolo allo spettacolo. Un’ora e cinquanta, tutti d’un fiato. A raccontare un’Italia, un mondo, pieno di pregiudizi, votato ad un consumismo feroce e distruttivo, dove lo sviluppo non porta progresso, come diceva Pasolini, ed un potere strisciante ha addormentato la coscienza critica di tutti. Sulla scena quattro chitarre e quattro voci, quella dell’attore marchigiano, Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini e un affresco quasi surreale, a tratti ironico, della nostra società che con le sue pericolose contraddizioni ha distrutto l’etica e il paesaggio.
Si ripropone, dunque, Neri Marcorè nella veste scenica che sembra preferire, quella di attore e cantante, confermando il suo impegno civile e proseguendo nella proficua collaborazione con il regista Giorgio Gallione con il quale ha portato sul palco, con successo, altri testi di teatro-canzone.
L’ispirazione, questa volta, viene da Pier Paolo Pasolini, con La rabbia e i suoi Scritti corsari, e da Fabrizio De Andrè e le Anime salve. «Due voci fuori dal coro- dice Marcorè- che negli anni Settanta, senza pregiudizio, ebbero il coraggio di far sentire la loro voce».
«Non si tratta di un operazione nostalgica o celebrativa», ci tiene a precisare Marcorè, che pure dedica lo spettacolo a Pasolini. «Quello che sbalordisce- continua – è la sorprendente attualità dei temi della loro denuncia che a distanza di 50 anni restano sempre drammaticamente gli stessi e diventano spunto, in questo spettacolo, per una riflessione sulla nostra condizione attuale di uomini nonché di slancio positivo verso un cambiamento di rotta urgente e necessario». Un mosaico di musica e parole che non può non lasciare nel pubblico, sospesi, una serie di brucianti interrogativi sul presente instabile e sul futuro incerto di questa nostra epoca.
«Sono scomparse le lucciole»… diceva Pasolini in un suo articolo sul “Corriere della Sera” del febbraio 1975, denunciando la dissoluzione morale, politica e sociale iniziata negli anni Sessanta e mai fermata. «Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante…- scriveva Pasolini- sono ora un ricordo, abbastanza straziante del passato».
E’ sparita, dunque, la bellezza dal mondo, secondo Pasolini. Ma Neri Marcorè “smentisce il profeta” e chiude il suo spettacolo affermando che le lucciole sono tornate e che, spegnendo qualche faro di auto e qualche lampione, possiamo ancora vederle, di notte, nella campagna, brillare ai margini dell’oscurità.