Nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975 venne ucciso a Ostia Pier Paolo Pasolini. L’anniversario di quel delitto ha stimolato i ricordi di René de Ceccatty, appassionato studioso di Pasolini di cui ha tradotto in francese molte opere e di cui ha raccontato la vita in una biografia uscita nel 2005. Marco Dotti, docente di Professioni dell’editoria all’Università di Pavia, ne ha raccolto la preziosa testimonianza in una bella intervista uscita su www.vita.it del 30 ottobre 2015.
Pasolini, la parola “amore”. Dialogo con René de Ceccatty
di Marco Dotti
www.vita.it – 30 ottobre 2015
Lei ha tradotto molti lavori di Pier Paolo Pasolini, in particolare Atti impuri, Amado mio e Petrolio, dedicandogli una biografia[1], un dialogo teatrale, saggi. Come ha “incontrato” Pasolini? Lo ha conosciuto personalmente?
Non ho conosciuto di persona Pasolini. Ma quando ho visto il suo film Teorema e, soprattutto, quando ho letto il romanzo omonimo, sono stato colpito dal fatto che corrispondevano, anche se ero molto giovane (avevo allora diciassette anni), a quel che cercavo di esprimere nel libro che provavo a scrivere. Stavo infatti lavorando a un romanzo intitolato Il figlio unico, nel quale raccontavo una specie di folgorazione sessuale e mistica. Ho scritto a Pasolini tramite la casa editrice Garzanti. E Pasolini mi ha risposto subito. Nella mia lettera, spiegavo che l’ammiravo molto e che cercavo di scrivere un libro del quale gli riassumevo il contenuto. Avevo bisogno del suo parere. Molto gentilmente, Pasolini mi ha risposto che potevo certo mandargli il dattiloscritto, ma che faticava a leggere in francese. Comunque mi avrebbe letto. Quindi gli ho spedito il libro. Poche settimane dopo, trovandomi in Italia, a Perugia, decisi di presentarmi direttamente al suo indirizzo privato, via Eufrate 9, all’EUR a Roma. Purtroppo Pasolini faceva i sopralluoghi per il suo San Paolo, film che poi non ha girato. Mi hanno ricevuto Graziella Chiarcossi e Ninetto Davoli (che ho visto nella penombra, in fondo alla stanza). Mi hanno detto che il regista era fuori casa, ma mi hanno proposto di lasciare il mio numero di telefono in Italia, senz’altro Pasolini mi avrebbe chiamato. Infatti, Pasolini mi cercò alla Casa dello studente di Perugia dove ero ospite. Ma nel frattempo io ero già tornato in Francia. Un amico greco rimasto a Perugia mi scrisse : «Lo sai che Pasolini ti cercava? Non ci volevamo credere! Non era uno scherzo?» E invece era proprio lui. Fu il nostro incontro mancato. Non ci siamo mai visti, neppure in seguito. Probabilmente se l’avessi incontrato, la mia vita sarebbe stata diversa. Avrei smesso di studiare? Chi lo sa, nessuno può dirlo. Comunque, è probabilmente quest’incontro fallito che ha intensificato il mio rapporto con Pasolini. Tutto avvenne nel 1970. Avevo diciotto anni. Non ho mai smesso di leggerlo e di vedere i suoi film. Il suo omicidio fu una tragedia personale.
Cominciai a tradurlo tredici anni dopo, nel 1983, quando da un giornalaio vicino alla stazione Termini, trovai L’odore dell’India in una vecchia collana ingiallita. L’ho tradotto senza contratto proponendolo solo in seguito a una casa editrice con la quale collaboravo già. Hanno accettato subito, perché il direttore editoriale era un uomo sensibile e colto, si chiamava Georges Piroué. Poi ho proposto Descrizioni di descrizioni (una scelta delle sue recensioni letterarie) a Rivages per una nuova collana. Poi fu Gallimard a propormi di tradurre l’inedito postumo Amado mio. Poco per volta, ero diventato in Francia “il pasoliniano”. Ho conosciuto Laura Betti. Abbiamo partecipato a tanti convegni insieme. Sono diventato amico di Nico Naldini. Il mio interesse per Pasolini non poteva avere fine. Ma devo anche aggiungere che il mio primissimo incontro con lui fu Il Vangelo secondo Matteo. Mio padre l’aveva visto prima di me e aveva detto subito a me e a mio fratello: «Andate a vederlo!». Avevo 12 anni. Mio padre amava molto il cinema e sapeva scegliere bene i suoi film.
Che cosa l’ha spinta, prima e oltre le motivazioni professionali, a confrontarsi con testi particolarmente complessi (anche per la sedimentazione di elementi extraletterari) come Atti impuri e Petrolio?
Il mio interesse per Pasolini non era meramente “professionale”. Era un legame molto profondo, quasi privato. La lettura dei suoi libri, la visione dei suoi film erano per me occasione di un dialogo intenso che aiutava a capirmi meglio, a capire il mondo, ad approfondire tutte le domande che mi ponevo nel campo sessuale, religiose, spirituale, politico, filosofico. Era un incontro con un uomo che mi convinceva che era possibile vivere da artista. Amado mio (e Atti impuri), certo, conteneva degli elementi personali che mi toccavano in modo particolare. Non ho con la mia sessualità lo stesso rapporto di Pasolini che era ed è rimasto più attaccato al senso di colpa. Si sentiva colpevole di essere omosessuale, non si riconosceva in una categoria sessuale che disprezzava e anche odiava. Ma aveva un attrazione per i ragazzi che era più forte di questo senso di colpa. E cercava, in Friuli, di costruire un’utopia naturalistica, del tipo “D.H. Lawrence”. Non durò molto come ognuno sa. Atti impuri/Amado mio sono due grandi libri, dell’importanza di Ernesto di Umberto Saba, di Maurice di E.M. Forster, di Agostino di Moravia, dell’Isola di Arturo della Morante. Uno dei grandi libri sull’infanzia e la gioventù. Una grande riflessione sulla natura, il desiderio, la clandestinità. Petrolio, invece, l’ho letto molto più tardi. Moravia me ne aveva un po’ parlato (senza grande entusiasmo). Poi l’ho scoperto con meraviglia. E mi sono accorto subito che era un capolavoro anche se incompiuto. Un capolavoro del livello della Tentation de Saint Antoine di Gustave Flaubert, del Satyricon di Petronio, di tutti i libri che tentano di raccogliere il mondo intero. La parte polemica sulla corruzione dei politici era molto importante, ma non era quella che mi interessava di più. Neppure la parte sessuale che va letta in modo più metaforico. Non si tratta di una confessione sessuale. Si tratta di una riflessione sulla perdita di identità. Non posso riassumere qui brevemente il contenuto di questo libro sul quale bisognerebbe fermarsi più a lungo.
Come definirebbe Petrolio, libro che al di là del suo statuto di incompletezza rimane per molti versi un mistero? Non le pare che qualcosa lo accomuni all’ultimo Genet, quello della disperata vitalità di Un captif amoureux? Strano che Pasolini e Genet non si siano mai incontrati… Eppure, Genet conosceva bene Moravia, attraverso il palestinese Wael Zwaiter…
Il libro più vicino a Petrolio è indubbiamente Un captif amoureux. Ci sono tanti punti comuni tra i due libri. Anche nella loro incompletezza. Il libro di Genet era finito quando lui è morto. Il 15 aprile 1986, data della morte di Genet, l’aveva già consegnato all’editore giacché stava correggendo le bozze. Ma forse la sua malattia l’ha costretto a fermarsi nella stesura prima della fine. Sono simili i due libri nel misto di riflessione politica e estetica, nella disperazione, ma una disperazione piena di vitalità, di desiderio di vivere e di combattere contro le ingiustizie del mondo, contro la corruzione, contro le menzogne. Genet e Pasolini non avevano voglia di incontrarsi ed era per gli stessi motivi. Per ognuno di loro, l’altro sembrava “troppo frocio”. Pasolini e Genet non amavano gli omosessuali. Non avevano nessuna simpatia per gli altri omosessuali. Perché non consideravano se stessi omosessuali. Fu un grande errore condiviso. Ma, se Pasolini non fosse stato ucciso, se avesse potuto leggere Un captif amoureux, sono sicuro che sarebbe stato stupito dalla forza del libro. Pasolini era un lettore straordinario. Non poteva non capire il genio di Genet. E Genet, anche lui, uomo intelligentissimo, avrebbe amato Petrolio, anche se probabilmente sarebbe stato abbastanza difficile da capire per lui (per tutto l’ambiento politico strettamente italiano). Genet conosceva bene Moravia tramite il palestinese Zwaiter. Sarebbe stato molto interessante assistere ad un incontro tra Pasolini e Genet. Ma non ebbe luogo.
Proprio Petrolio, in Italia, torna carsicamente al centro di un dibattito, più “criminologico” che letterario in verità. Sarebbe stato ucciso, secondo la tesi portata avanti in più sedi giornalistiche, a causa delle indagini che stava compiendo su Eugenio Cefis e sulla morte di Enrico Mattei … Che cosa ne pensa?
Non ho un’idea precisa a questo proposito, anche se conosco abbastanza bene la tesi e gli argomenti di quelli che la sostengono. Ho tradotto i nuovi appunti dell’ultima edizione di Petrolio,[2] con tante precisazioni aggiunte sulle fonti di qualche capitolo politico. Devo dire che non credo che uno scrittore, anche se pubblica molto sui giornali come Pasolini, sia un pericolo per un politico o un amministratore corrotto. I politici non ammazzano gli intellettuali (tranne sotto una dittatura, come lo stalinismo, il fascismo, il maoismo). Un semplice intellettuale non può rappresentare un pericolo perché ha solo armi intellettuali a sua disposizione. Può essere neutralizzato con altri mezzi rispetto alla morte. Purtroppo, credo che quella di Pasolini sia stata una morte privata. Può darsi che questa morte sia stata il risultato di vari motivi, ad esempio che Pelosi sia stato utilizzato, che altre persone fossero nell’Alfa di Pasolini ad assistere all’omicidio, che gli interessi fossero molti per questa morte, tutto questo è certo possibile e anche probabile. Ma le prove sono state distrutte. E un libro, anche pericoloso e bene informato come Petrolio, non basta a spingere ad uccidere l’autore né a spiegare questa morte sotto questa forma, in quelle condizioni, quella notte.
In Pasolini la scrittura si lega alla vita, diventa inesorabilmente “vita”. È forse per questa ragione che, entrambe, danno ancora “scandalo”?
Certo, per le ragioni che dice, ma anche perché lo scandalo che suscitava Pasolini non fu superficiale. Fu uno scandalo da artista. Le sue opinioni sul mondo, sui rapporti politici e intimi, sulla creazione non potevano raccogliere un consenso. Come ogni artista, Pasolini era una persona imbarazzante. Un cattolico diverso, un comunista diverso, un poeta diverso, un lettore diverso, un regista diverso, uno scrittore diverso. Non faceva parte di una comunità. Anche se aveva grandi amici (Penna, Moravia, Dacia Maraini, i Bertolucci, Caproni e tanti altri poeti e scrittori ovviamente), non poteva costituire un mondo intellettuale coerente che potesse ottenere l’adesione di tutti. La sua totale libertà di pensiero poteva anche farlo sbagliare (sulla scuola per esempio, sull’aborto, sulla rivolta degli studenti, sulla libertà sessuale : con la mia immensa ammirazione per lui, non posso condividere le sue dichiarazioni su questi argomenti). Dunque, vede, anch’io che lo amo tanto, sono scandalizzato.
Pittore, regista, poeta, autore drammatico… O semplicemente l’ultimo che abbia cercato di dar forma all’informe (il tragico di una mutazione antropologica ormai radicale)? Sul “chi” potremmo discutere a lungo, ma sul che “cosa” era Pasolini lei si è fatto un’idea?
Pasolini era un poeta. E cercava tutti i mezzi possibili per esprimere il suo senso di poesia nel mondo. Aveva con la realtà un legame sacro. Non voleva creare per creare, per essere inventivo o originale. Voleva creare per capirsi e per capire il mondo, per tradurre e approfondire la sacralità del suo legame col mondo, con sé, con gli altri. Ha esordito come poeta. Poi nelle borgate, ha scoperto un mondo che prima di lui non aveva avuto il diritto alla parola. Allora Pasolini ha inventato un nuovo modo di narrare: ha cercato un equivalente del linguaggio dei ragazzi di vita per farne un approccio della realtà come la percepiva lui. Poi per campare ha lavorato come sceneggiatore nel cinema e ha capito, tramite Fellini, che il cinema avrebbe potuto aprirgli nuove vie. Ma non ha mai abbandonato il linguaggio poetico che probabilmente era il più vicino alla sua sensibilità naturale.
C’è un Pasolini “friulano” e un Pasolini “romano”. Lei è d’accordo con questa divisione? Crede che gli amici romani conoscessero davvero tutto, di Pasolini? (Ad esempio, pochi sapevano della sua espulsione dal PCI friulano).
Sì, sono due Pasolini in parte diversi. Solo in parte. Perché sono sostanzialmente un solo Pasolini. Un Pasolini che cerca il sacro della realtà. Ma il giovane Pasolini è molto più ottimista, molto più idealista, malgrado la tragedia della morte di Guido. L’espulsione dal Partito comunista, l’espulsione dal suo posto di maestro di scuola, la fuga dal Friuli furono tremendi per Pasolini. Come una caduta. Ma furono, dobbiamo dire, anche una fortuna. Perché andò con Susanna, la madre, a Roma. L’arrivo a Roma fu duro, i primi anni umilianti. Ma ebbe la possibilità d’incontrare un altro mondo, più aperto, più ricco di avvenire del Friuli.La sua vitalità gli consentiva di moltiplicare i suoi modi di comunicare : recensioni, racconti, poesie, cinema, saggi. Poteva avere un distacco rispetto al Friuli, riflettere meglio sui dialetti, sulla poesia popolare e questi anni di formazione furono fondamentali per lui. Le due esperienze, friulana e romana, erano essenziali per lui. Entrambe durissime, umilianti, ma furono delle fonti di vita. Se gli amici romani non sapevano tutto del giovane Pasolini, forse era perché Pasolini non voleva fermarsi su aspetti troppo negativi del passato. Pasolini non si lamentava. Andava avanti.
Pasolini dedicò alla Callas un “canzoniere” del secondo libro di Trasumanar e organizzar. È una delle poche volte in cui Pasolini esce dal suo “narcisismo”, si rivolge a un personaggio altro, oggettivo, che il poeta vive di riflesso… C’è il celebre episodio dell’anello, su cui i rotocalchi dell’epoca insistettero morbosamente (parlando anche di un possibile matrimonio tra i due…). In Medea, il rapporto è con il mito, la terra, il sacrificio …
Pasolini e Callas appartenevano entrambi al mondo dell’arte e del sacro. L’incontro con Callas fu un episodio necessario della vita di Pasolini che non s’interessava di arte lirica, ma che aveva individuato in Maria Callas molto più di una cantante da rotocalchi. L’esperienza di Medea traduce perfettamente la necessità di questa coppia di artisti. Ma tutti e due erano, ognuno a modo suo, ingenui. Credevano di poter superare il loro passato. Si sono guardati come in uno specchio. Per la prima volta, la Callas era considerata quasi una maga. Aveva capito che Pasolini era un altro tipo di uomo rispetto a quanti lei aveva conosciuti. Certo, c’era stato Visconti. Ma Visconti non era stato abbastanza presente nella sua vita quotidiana per diventare un amico intimo. Visconti ammirava, venerava la Callas, l’aiutava a essere sempre più esigente, l’aiutava ad inventare una bellezza fisica che finora non aveva avuto. Ma per la Callas come per tutti era il “conte” Visconti.
Era un personaggio che le faceva impressione. Mentre in Pasolini, la Callas trovava un ragazzo e un padre. Un uomo che le poteva regalare un senso di vita intima. Tutto questo, Pasolini l’ha scritto, anche in modo abbastanza oscuro, nelle poesie. Ma Pasolini non voleva farle da padre. Sapeva che la Callas era rimasta Maria, la ragazzina greco-americana, smarrita nel mondo degli adulti. Questo rapporto non poteva certo concludersi con un matrimonio. Ma si prolungò con un’amicizia forte, intensa… e impossibile.
Al momento del loro incontro, entrambi, Callas e Pasolini erano stati da poco abbandonati dai loro “amanti” (Onassis lei, Ninetto lui). Che cosa nasce (di forte) tra i due? Amore?
Anche se Dacia Maraini testimoniò che nel viaggio in Africa la Callas confessava di essere innamorata di Pasolini, si trattava probabilmente di questo stato di confusione sentimentale che tutti conosciamo a un momento della nostra vita. Il distacco di Onassis per lei, di Ninetto per lui, certo era un motivo abbastanza forte per questa confusione. Avevano bisogno di un ascolto, di una presenza, di una consolazione. Ma il dramma della Callas era, soprattutto, la perdita della voce. E il compito artistico di Pasolini era troppo grande per essere annientato da un dramma sentimentale. E poi Ninetto non è mai scomparso dalla vita di Pasolini. Sposato e padre, era sempre presente nella vita di Pasolini. Le due vite della Callas e di Pasolini erano troppo diverse. La Callas era rimasta purtroppo una donna borghese che non poteva capire in ogni momento della giornata il modo di vivere di Pasolini. Sono rimasti poco insieme. Dopo Medea e la tournée in Sud America, si sono rivisti, come ho scritto nel mio dialogo, a Tragonissi. Pasolini ha fatto queste poesie, questi ritratti. Hanno scambiato qualche lettera, bella, intima, dolce, con un tenerissimo tono di amici che si capiscono e purtroppo non si possono aiutare.
Note
[1] R. de Ceccatty, Pasolini, Gallimard, Parigi 2005.
[2] Pier Paolo Pasolini, Pétrole, texte établi par Aurelio Rongaglia, traduit de l’italien par René de Ceccatty, édition augmentée, Gallimard, Parigi 2006 [I ed: 1995].
[info_box title=”René de Ceccatty” image=”” animate=””]nato a Tunisi nel 1952, narratore, drammaturgo, saggista, critico letterario di “Le Monde des livres”, ha lavorato con il regista argentino Alfredo Arias e tradotto in francese opere di Mishima e Pasolini. Tra i suoi libri, Personnes et personnages (Éditions de la Différence, Parigi 1979), L’Extrémité du monde (Denoël, Parigi 1985), L’Or et la poussière (Gallimard, Parigi 1986), L’Hôte invisible (Gallimard, Parigi 2007), oltre ai saggi critico-biografici: Violette Leduc, éloge de la bâtarde (Stock, Parigi 1994), Laure et Justine (JC Lattès, Parigi 1996), Sibilla Aleramo (Rocher, Monaco 2004), Pasolini (Gallimard , Parigi 2005), Maria Callas (Gallimard , Parigi 2009), Alberto Moravia (Bompiani, Milano 2010).[/info_box]