Venerdì 12 maggio ’17, a Udine, presentazione di “L’utopia di Pasolini” di Angela Felice (ed. BEE)

Venerdì  12 maggio 2017, alle ore 18, presso Casa Cavazzini-Museo d’arte contemporanea di Udine, sarà presentato all’interno del  Festival vicino/lontano 2017  il nuovo libro del direttore del Centro Studi Pasolini di Casarsa  Angela Felice, che porta un titolo significativo: L’utopia di Pasolini. Il  lavoro, edito da Bottega errante, giovane e vivace casa editrice friulana,  articola in undici capitoli  una riflessione sulla visione ideale dell’umanità che Pasolini progettò e visse particolarmente in Friuli e in gioventù, salvo poi verificarne, denunciarne e patirne il tradimento in nome dei disvalori del mercato e dell’edonismo di massa. Il libro, che si fregia in copertina di una foto del maestro Roberto Villa e di due postfazioni di Antonio Tricomi e di Raoul Kirchmayr, sarà presentato dagli studiosi Giampaolo Borghello e Romano Vecchiet, mentre la voce dell’attore Massimo Somaglino concluderà l’incontro con la lettura di un brano in prosa di Pasolini.
Pubblichiamo qui, con il consenso dell’autrice, la premessa che dà conto delle ragioni e dell’impianto della pubblicazione che arricchisce con un nuovo lavoro la già ricchissima bibliografia critica pasoliniana.   

L’utopia del Friuli: la cosa e la parola
Una premessa 
di Angela Felice

"L'utopia di Pasolini" di Angela Felice. Copertina
“L’utopia di Pasolini” di Angela Felice. Copertina

Un altro libro su Pasolini, si dirà, forse, con insofferenza. Ce n’era proprio bisogno?  Gli scaffali della bibliografia pasoliniana sono fastosi e debordanti a sufficienza, e l’autore, in vita, dopo la morte e soprattutto negli ultimi decenni, è al centro  di un dibattito critico e interpretativo che ne ha già perlustrato in profondità e con ampiezza di indagini  l’opera prodigiosa e multiforme, secondo approcci disciplinari diversi e con un’attenzione effettivamente clamorosa, tuttora vivacissima e oggi spinta fino alla deriva insidiosa di una discutibile iconizzazione  di consumo culturale e di moda mediatica.
E tuttavia questo nuovo libro, che ora si licenzia, si affida a delle ragioni che ne motivano l’uscita. Sono almeno due, a partire innanzitutto dal fatto che esso si colloca come primo numero della nuova collana di saggistica pensata per il proprio catalogo dalle edizioni di Biblioteca Errante, giovane e dinamica realtà culturale del Friuli. Una sfida non da poco, ove si pensi all’opacità del nostro tempo editoriale, in cui la cittadella della carta stampata, e tanto più per opere di studio, è assediata dal web, dal libro digitale e insomma da una diffusa smaterializzazione dei mezzi di trasmissione del sapere.
Ci vogliono coraggio, curiosità, convinzione nei valori delle belle lettere, scommessa controcorrente sul futuro, forse anche una buona dose di incoscienza. E perciò pare un buon viatico che lo sforzo sia inaugurato nel nome di Pasolini e in continuità ideale con lui, Socrate del ‘900 che con i giovani ha continuato fino alla fine a tenere aperti i conti della fiducia, della passione e della dedizione pedagogica.
Alla matrice genetica del libro, vi è poi una seconda ragione più decisiva, che riguarda propriamente i contenuti che ne argomentano le pagine e per i quali mi permetto di infiltrare a margine qualche rapida digressione personale. Negli undici contributi, che articolano il percorso, ritmato da tre sezioni di un indice sistematico, il cuore e il centro d’interesse prevalente sono dati dal Friuli degli anni Quaranta, fondale geografico, umano, contadino e linguistico in cui Pasolini maturò in gioventù esperienze fondamentali di iniziazione letteraria, intellettuale ed esistenziale, sprigionando già allora una infaticabile operosità, lasciando ovunque il marchio del genio creatore e soprattutto costruendo il reticolo di fondo della sua visione del mondo, poi destinato a fruttificare in opere mature di alto significato estetico e intellettuale.
Un tirocinio allo stato nascente, dunque, con caratteristiche circoscritte e insieme grondanti di futuro, la cui conoscenza è imprescindibile per chiunque si impegni a studiare e interpretare il magma pasoliniano. E infatti, nei lavori dei tantissimi convegni italiani e stranieri a cui, dal 2015 in poi, ho avuto modo di partecipare, il Friuli pasoliniano di Casarsa e della sua meglio gioventù è continuamente richiamato, come un primum originario da cui discende tutto o quasi tutto il resto, inclusa la sua abiura. E tuttavia, tranne i casi sorretti dallo spessore scientifico e dalla serietà filologica, l’impressione è che questo Friuli pasoliniano, fuori dal Friuli, sia spesso l’oggetto sfocato di citazioni evocative e mitizzanti, in assenza della conoscenza concreta dei luoghi, con quella loro toponomastica che a Pasolini pareva adorabile, e forse anche a seguito della scarsa dimestichezza con la parlata friulana.
Con un piglio di agile divulgazione, sia pure sulla base rigorosa dei riferimenti, il presente volume ambisce così non a scompaginare le carte assestate della bibliografia dell’autore, ma a offrire un contributo che, dati e testi alla mano, ricostruisca la mappa chiara della gioventù di  Pasolini, o almeno di alcune delle sue espressioni più significative, al crocevia tra lo scavo nella biografia e l’indagine sulla sua decantazione in scrittura.
I motivi della geografia rurale di rogge, pianure e gelsi, del viaggio che la percorre e la conosce, della lingua che vi si parla, del popolo antico che vi lavora secondo il ritmo circolare delle stagioni naturali, della gioventù che vi canta all’alba della vita, nell’intreccio di corrispondenze in cui, nella micro-area friulana, si fondono per Pasolini l’ambiente, la parola sonora e il corpo umano, costituiscono i tralicci della gran parte dei capitoli, inediti o rielaborati rispetto a una precedente uscita in altra sede.
L’architrave portante è però data dal paradigma  dell’utopia, parola e pensiero che sono venuti da sé e hanno suggerito anche il titolo, con tutto il rischio di un orizzonte concettuale che potrebbe ingenerare nel  lettore anche aspettative orientate allo stretto impegno speculativo. Di fatto, sulla pagina e nella sensibilità di Pasolini, il Friuli, indagato e amato nella sua concretezza, si sgrana e si sublima nel contempo anche in “visione”, desiderio dell’Altro, prospettiva valoriale, realtà parallela, luogo e non luogo immaginario di una ideale verità umana di cui, come in tutte le utopie, auspicare la piena realizzazione futura.
L’utopia o, meglio, l’altra sua faccia rovesciata di disperata distopia può dar conto così anche della acre tensione polemica dell’ultimo Pasolini, quando specie negli Settanta,  di fronte alla mercificazione capitalistica e alla devastazione antropologica del Paese, indotta anche dall’imbonimento televisivo, egli insistette a lanciare appelli allarmati sul trionfo della barbarie irrimediabile e sulla catastrofica derealizzazione del mondo. E, ancora, il tema dell’utopia può mettere all’angolo quella qualifica della profezia che spesso, nella vulgata degli stereotipi correnti, è sfruttata per incasellare la testimonianza di Pasolini, come se egli fosse un veggente oracolare, Pizia e Cassandra insieme.
Il libro ora si consegna al suo destino di carta e spetterà  al lettore il giudizio sulla produttività della prospettiva seguita e, soprattutto, sulla sua necessità.
[da Angela Felice, L’utopia di Pasolini, BEE, Udine, 2017, pp. 5-8]