Terzo e penultimo appuntamento del ciclo “Lusignis”, organizzato e promosso dal Comune di Casarsa della Delizia, si è svolta giovedì 23 agosto la serata di musica “L’acme del buon umore”, nel Borgo Runcis di San Giovanni di Casarsa. Il maestro Nicola Milan e i suoi musicisti hanno riproposto un repertorio di musiche e balli facendo rivivere al folto pubblico la suggestione degli anni in cui anche Pasolini calcò i breârs (in friulano, “le assi” della pista da ballo) della destra Tagliamento. Canzonette e i boogie-woogie compongono la colonna sonora delle pagine friulane di Pasolini, a cominciare da Il sogno di una cosa (1962), per proseguire con Amado mio (1982, postumo) e Romàns (1994, postumo); e proprio nell’immaginaria Romàns, Pasolini trasfigura Borgo Runcis, rappresentando attraverso l’esperienza tormentosa del protagonista don Paolo (doppio di Pasolini) l’ambiente popolare friulano agitato nel dopoguerra dalle tensioni sociali e dalle lotte per il riscatto dalla miseria: un mondo rustico e schietto che Pasolini osserva con acutezza e vive con partecipazione. Una partecipazione vitale che durante la serata è stata confermata da due testimoni d’eccezione: la signora Gilberta Antoniali, di Sesto al Reghena, che ha raccontato l’episodio di un ballo fatto con Pasolini durante una sagra quando lei aveva 7 anni, e una cugina di Pia Paron, che per un certo periodo fece “coppia fissa” con Pasolini nelle gare di ballo organizzate in occasione di sagre e festività. Una coppia evidentemente affiatata tanto da vincere una gara di samba organizzata a Ligugnana, ricevendo come premio un piatto in ceramica decorato, che la famiglia Paron ha deciso in quest’occasione di donare al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa, che ne avrà cura da ora per l’alto valore di testimonianza dell’immersione di Pasolini nella realtà friulana, della genuina adesione ad essa, della “febbre del ballo” che in quegli anni di rinascita del Paese contagiò anche il poeta che colse nel ballo un’espressione autentica dello spirito popolare friulano, quasi una “lingua primitiva” attraverso la quale entrare in contatto con gli altri.
Per completare questa testimonianza, proponiamo anche la lettura dell’intervista realizzata da Giuseppe Mariuz proprio alle sorelle Pia e Licia Paron e inserita nel libro La meglio gioventù di Pasolini (Campanotto editore, 1993). Pia Paron, “nei tratti e nel carattere”, fu il modello utilizzato da Pasolini per ricavarne il personaggio omonimo ne Il sogno di una cosa.
Quando ha conosciuto e come ha stretto amicizia con Pier Paolo Pasolini?
Pia. Abbiamo fatto amicizia dopo la guerra, andando a ballare, soprattutto a Ligugnana e a San Vito. Lui era il pilastro. Gli altri gli ruotavano intorno. Ci muovevamo sempre in gruppo, mai meno di quindici venti persone.
Licia. Anch’io, più giovane, facevo parte della compagnia.
Pia. Quando si andava a ballare era un divertimento per tutti. Altre volte, invece ci incontravamo con Pier Paolo alla trebbiatrice. Allora parlava di politica, diventava serio. Era un comunista veramente. Ci spiegava le ingiustizie, perché il povero aveva tanta miseria e perché il sior (ricco, in friulano) sfruttava il povero. Erano verità, non un’ideologia basata su fantasie. La trebbiatrice era una struttura fissa sotto un grande capannone aperto, nella strada di San Giovanni verso Versuta, dove poi hanno costruito l’asilo. Pier Paolo saliva sulla macchina a parlarci, noi sedevamo a terra ad ascoltare. Eravamo solitamente una ventina di ragazzi e ragazze, tavolta anche trenta e più: quelli di Versuta, i miei cugini Petovello, la Zita, qualche volta i Susanna, Lino Schincariol e Dino Peresson da Ligugnana, Carlo “fransèis” (francese, soprannome, in friulano) della Lisa Viriana, e altri.
P. e L. [intercalandosi] Pier Paolo come politica non ci insegnava cose grandi, ci faceva capire che eravamo “a mondi sfrutàs” (molto sfruttati, in friulano), che i poveri dovevano riscattarsi, riuscire a capire le ingiustizie. In paese c’era molta miseria. Per lui era molto importante che i giovani avessero capito la situazione, com’era stato il passato e come doveva essere l’avvenire.
Queste attività facevano parte di un’organizzazione giovanile comunista?
P. No, non ho mai frequentato il partito, ci incontravamo alla sera, così, un po’ si cantava, un po’ si parlava. Pier Paolo era sempre in mezzo ai giovani. Era bravo, si comportava bene, sempre rispettosissimo. Era un gust (piacere, in friulano) parlare con lui, perché lo si capiva, arrivava lui a noi, che non avevamo i suoi studi; si portava al nostro livello perché capissimo. Un vero maestro.
Quando andavate a ballare?
P. e L. [intercalandosi] Al sabato sera, alla domenica pomeriggio e anche il lunedì sera, se avanzava qualche lira. Perché le feste settimanali chiudevano il lunedì.
L. Alle safre ci andavamo alla domenica pomeriggio. Per esempio, una volta Pier Paolo ha portato Pia sul ferro della bicicletta fino a Cusano.
P. Sì, perché io non avevo la bicicletta. Si partiva presto, appena gustat (pranzato, in friulano), verso l’una, l’una e mezza. Si cominciava a ballare intorno alle quattro; in attesa, ci sedevamo su una sgivina (capezzagna, in friulano) e lui raccontava. Alla sagra “dai òus e dai spars” (delle uova e degli asparagi, in friulano) non avevamo neanche potuto sognare le uova e gli asparagi, perché mancavano i soldi. Io e Pier Paolo andavamo a ballare soprattutto a Ligugnana, nell’ex caserma che era un punto di incontro, o al “Gatto verde” di San Vito, una piattaforma sullo spiazzo presso le scuole. Questo piatto l’abbiamo vinto lì come premio alla gara di samba. Era, credo, il Quarantotto. Questo piatto l’ho conservato con molta cura e l’ho portato con me a Milano quando anch’io sono partita, nel 1957. È un caro ricordo.
G. Mariuz, La meglio gioventù di Pasolini, Campanotto editore, Pasian di Prato (Ud), prima ed. 1993, seconda ed. riveduta e aggiornata, 2015 (pp. 90 – 91).