“Tuttolibri”, lo storico supplemento culturale del quotidiano “La Stampa”, oggi diretto da Bruno Bentavoli, ha compiuto 40 anni nel novembre 2015. Nato da un’idea dell’allora direttore del giornale, Arrigo Levi, vide la luce infatti il 1° novembre 1975 come settimanale autonomo del sabato, che fu affidato agli inizi a un terzetto di giovani firme del giornalismo italiano: Vittorio Messori, Mario Varca e Alberto Sinigaglia.
Ed è quest’ultimo, con l’occasione dell’anniversario, a rievocare le origini e la storia di questo glorioso periodico, che aiuta tuttora lettori e librai a orientarsi nel vasto mondo di carta della scrittura, letteraria e saggistica. Lo fa con un articolo uscito il 21 agosto 2016, in cui è immancabile il richiamo a Pasolini, dato che, proprio sul numero 2 di “Tuttolibri” dell’8 novembre 1975, uscì l’a sua ultima, inquietante intervista,realizzata il pomeriggio del 1° novembre da Furio Colombo.
Il quale riflette su quella conversazione in un ricordo che, apparso di recente sempre su “La Stampa” (31 ottobre 2015), riproduciamo di seguito.
Nasce “Tuttolibri”, una bussola per lettori, scrittori e librai
di Alberto Sinigaglia
www.lastampa.it – 21 agosto 2016
La mattina di sabato 1° novembre 1975, giorno in cui nacque “Tuttolibri”, Pier Paolo Pasolini telefonò alla redazione. Gli era piaciuta la formula del primo settimanale italiano interamente dedicato a narratori, poeti, saggisti, editori. E confermava che quel pomeriggio avrebbe incontrato Furio Colombo per l’intervista in programma sul terzo numero [poi l’intervista uscì sul numero 2, ndr.]. Sarebbe stata la sua ultima intervista, forse la più bella, certo la più famosa, perché quella notte Pasolini fu assassinato. Il dialogo uscì il sabato successivo con la foto dello scrittore e regista in copertina e con il titolo profetico suggerito da lui: Siamo tutti in pericolo. In poche ore di
“Tuttolibri” n. 2 furono vendute 177 mila copie. Del primo numero si erano superate le 130 mila.
“Tuttolibri” era stato subito apprezzato dai quindicimila librai e cartolibrai italiani, per i quali era diventato uno strumento indispensabile. Forniva infatti l’elenco di ogni libro uscito la settimana precedente, con qualche riga di descrizione. Ad attirare autori e lettori erano invece le recensioni, più numerose di quelle fornite dalle pagine dei libri de “La Stampa” o del “Corriere della Sera” o di “Paese Sera”, allora molto curate, o del “Giornale nuovo”» di Montanelli, nato l’anno prima (“la Repubblica” sarebbe arrivata nel 1976). E pagine di “schede” tre volte più lunghe delle recensioni-bonsai sopravvissute negli attuali periodici.
L’idea di un settimanale non genericamente culturale, ma specificamente libraio, venne al direttore de “La Stampa” Arrigo Levi, fortemente sostenuta da Giovanni Giovannini, inviato e vicedirettore del quotidiano, posto da Gianni Agnelli al vertice dell’Editrice. Figlio del grande giornale, avallato dalla sua autorevolezza, ma autonomo in edicola, “Tuttolibri”, oltre a essere specchio completo e limpido del mercato editoriale italiano, molto bene informato sulle novità di quello straniero, dava voce agli autori, ai redattori editoriali, agli agenti letterari e ai traduttori, fino a quel momento trascurati.
A realizzare il progetto, avviato da Mario Bonini, colto regista delle “Enciclopedie” Garzanti, riuscirono tre giovani giornalisti: Vittorio Messori, che di lì a poco avrebbe conosciuto fama internazionale con Ipotesi su Gesù, Mario Varca, che sarebbe stato a lungo capo della redazione esteri de “La Stampa”, ed io, cui toccò di impugnare il timone per una precedente esperienza editoriale. Il successo consentì di arruolare il critico teatrale Osvaldo Guerrieri. A infondere saggezza ai quattro moschettieri c’era Carlo Casalegno, il vicedirettore politico e culturale de “La Stampa”. Furio Colombo, inviato a New York, era il loro radar internazionale. Il poeta Giovanni Raboni guidava la schiera dei critici.
Primo Levi, Massimo Mila e tanti altri grandi collaboratori de “La Stampa” passavano per suggerire un’idea, un consiglio, una proposta. Il più assiduo e fecondo era Giovanni Arpino, che era un inviato della redazione sportiva. Venivano in visita Giulio Einaudi, Valentino Bompiani e Giorgio Fattori, capo del gruppo Fabbri-Bompiani-Sonzogno-Etas Libri, scortato da Oreste del Buono. Fattori sarebbe succeduto a Levi quale direttore de “La Stampa” e avrebbe trasformato “Tuttolibri” in supplemento del quotidiano, il padre dei supplementi culturali oggi più in voga. Del Buono, sarebbe di lì a poco diventato una delle nostre firme più popolari.
“Quell’intervista con Pasolini era gravida di morte”
di Furio Colombo
www.lastampa.it – 31 ottobre 2015
Non ero mai stato a casa di Pasolini, all’Eur. Ma lui era stato a casa nostra (Alice, Daria molto piccola e io ) molte volte, una casa di affitto sulle dune di Sabaudia, da cui si vedeva «la casa di Moravia» (come dicevamo tutti del quadrato di cemento, tre camere e cucina ) che era da poco la nuova casa di Dacia e Alberto, dopo che avevano lasciato (loro e anche noi) la casa di Fregene. Se non avevano voglia di cucinare, tutti e tre venivano da noi. E poteva accadere che arrivassero Enzo Siciliano, che era già lo “storico” di Pasolini, e Flaminia, colta e attivissima. Ma a volte non c’era nessuno, nella casa cubo, e Pier Paolo veniva da solo.
Due argomenti, mentre si cucinava nella stessa stanza: letteratura (ricordo un suo discorso affettuoso e limpido su un libro di Ottiero Ottieri, non noto, ma importante scrittore e comune amico ) e vita italiana. Era già iniziata la grande discesa, a cui si arriverà passando dalla sua morte. Ma non era una conversazione di lamenti e sospiri. Eravamo nella storia, punto e basta. Chi ha detto che la storia debba essere divertente o «andare nella direzione giusta»?
Quello di Pasolini era un discorrere di fatti, intuizioni, un allargare all’improvviso lo spazio su cose non ancora viste o capite dagli altri, ma ovvie, secondo lui. E mai raccontate come una scoperta, solo constatazioni. Ah, e c’era un terzo argomento, l’America, ma entrava negli altri due, la letteratura o la vita italiana che cambia. Gli interessava il parere di Alice, fresca di università americane ricche di docenti-scrittori, e coinvolta nei diritti civili e nella pace in Vietnam. Il discorrere di Pasolini con le donne (le donne che gli interessavano ) era forse il solo veramente alla pari, in quegli anni. Del resto avevo conosciuto Pasolini, ritornando da un mio primo periodo in America, quando Silvana Ottieri (grande intellettuale rimasta deliberatamente in ombra accanto al marito), leggendo una mia recensione, aveva esclamato: «Ma come, non conosci Pasolini?».
Pasolini è entrato nella mia vita già nelle dimensioni che, insieme a tanti nel mondo, gli conosco e gli riconosco adesso. Sapevo prima, e sapevo durante gli anni della nostra amicizia, la traccia profonda del suo lavoro, scrivere, filmare, parlare. S’intende che la scorta di Moravia e di Dacia Maraini, in questo percorso, ha contato moltissimo. Ma quando Arrigo Levi, direttore di questo giornale (del quale sono stato parte per vent’anni), mi ha chiesto di iniziare il nuovo “Tuttolibri” con una intervista a Pasolini (un’idea di Alberto Sinigaglia), mi è sembrato un compito facile e naturale. Il testo dimostra di no. Siamo stati ore insieme, con lunghe pause e una asciutta severità da parte sua, che sembrava isolarlo, come se fossimo parte di una sequenza pubblica, e qualcuno filmasse. Tutto girava intorno alla frase: «Noi non sappiamo chi, in questo momento, sta pensando di ucciderci». E la lunga conversazione, che non era con me ma con tanti che lo tenevano d’occhio, con intensa ammirazione o con odio, è rimasta aperta.