Perché riaprire il “caso” Pasolini. Da Bologna parla l’avv. Andrea Speranzoni

Andrea Speranzoni, presidente del Comitato bolognese per la verità sull’omicidio di Pasolini , ha esposto di recente le motivazioni per cui la ricerca della verità sul delitto del poeta-regista debba essere riaperto, anche a 41 anni di distanza. Ciò alla luce di nuovi dati probatori che inducono al riesame del caso da parte della auspicata Commissione parlamentare di inchiesta. Sono queste le affermazioni che Speranzoni ha rilasciato nell’aprile 2016 alla giornalista Cristina Degli Esposti  per “Il Resto del Carlino” in un articolo che qui riprendiamo.

Caso Pasolini, da Bologna a Roma. “Ecco perché riaprirlo”
di Cristina Degli Esposti

www.ilrestodelcarlino.it – 16 aprile 2016

Bologna, 16 aprile 2016 – Testimoni rimasti inascoltati. Nomi della loggia massonica P2 che entrano nel processo a Pino Pelosi. E poi quelle pizze del film Salò rubate; un’opera letteraria in lavorazione – Petrolio – basata in larga parte su un libro pubblicato e subito ritirato dal commercio, riapparso in libreria da poco. La strategia della tensione e il caso Mattei su cui il regista indagava, scrivendo in carcere a uno dei sospettati della strage di piazza Fontana.
C’è questo e molto altro alla base dell’azione del Comitato bolognese per la verità sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini, che supporta la richiesta di una commissione camerale d’inchiesta presentata da un gruppo di parlamentari, primo firmatario Paolo Bolognesi (Pd). Il comitato nato a marzo conta già oltre 500 adesioni e, due giorni fa, anche il sindaco Virginio Merola si è schierato a favore dell’inchiesta parlamentare. I tempi, però, stringono: la commissione che, da norma, deve chiudere i suoi lavori in 18 mesi, deve incardinarsi entro giugno. Altrimenti non ci saranno i tempi, con la legislatura in scadenza nel 2018.
Su cosa, però, dovrebbero concentrarsi i parlamentari che tre inchieste della magistratura non abbiano già fatto? L’ultima richiesta di archiviazione, infatti, è di maggio, senza aver potuto individuare altre persone coinvolte nel delitto. «Ma proprio quest’ultima inchiesta ha raccolto importanti elementi che, se non sufficienti a promuovere l’azione penale, uniti ad altri fatti restituiscono un quadro ancora tutto da approfondire», racconta l’avvocato Andrea Speranzoni, presidente del comitato e legale, tra l’altro, dei parenti delle vittime dell’eccidio di Marzabotto. Il primo dato da cui partire è quello della presenza di due testimoni oculari, Anna e Domenico Salvitti (fratelli tra loro), che, sentiti dalla procura di Roma, hanno riferito della presenza di più auto e più persone, quella sera all’Idroscalo e del fatto che fosse in corso una lite. Poi, sempre l’inchiesta contiene il racconto di un carrozzaio romano, Marcello Sperati, che si era rifiutato di riparare un’Alfa Gt identica a quella di Pasolini, ammaccata e coperta di fango e sangue. Fin qui l’inchiesta che, pur senza arrivare a individuare nomi e cognomi, demolisce la verità giudiziaria secondo cui Pelosi aveva ucciso da solo.

Pino Pelosi durante la trasmissione di Franca Leosini (7 maggio 2005)
Pino Pelosi durante la trasmissione di Franca Leosini (7 maggio 2005)

Già, Pelosi, un ragazzo di strada, minorenne e noto alle forze dell’ordine, che però si ritrova un collegio difensivo pieno di nomi di peso. Come quelli dei due periti, Aldo Semerari e Franco Ferracuti che, si scoprirà anni dopo a processo chiuso, erano membri della P2. “Che c’entra la P2 con quel ragazzo?”, si chiede l’avvocato Speranzoni che da anni studia le carte del caso Pasolini. Al momento della morte il regista aveva appena finito di girare Salò di cui, «nel ‘75, il produttore Aurelio Grimaldi denunciò il furto di diverse pizze», ricorda Speranzoni e per le quali, si è sospettato, fosse in corso un’estorsione a Pasolini per la loro restituzione.
Magari un’estorsione da cinque milioni di lire, soldi che Pelosi, nel 2005, sostenne di aver visto la sera del delitto sotto il tappetino dell’Alfa dell’intellettuale, poi spariti. Infine  «ci sono le carte del libro di Simona Zecchi (Pasolini, massacro di un poeta) pubblicato nel 2015 e che contengono le lettere integrali che il regista scriveva a Giovanni Ventura, all’epoca in carcere per la strage di piazza Fontana, dove chiedeva informazioni sui temi della strategia della tensione e sulla successione all’Eni», spiega Speranzoni. Un tema che ritorna nel suo Petrolio, opera a cui lavorava prima di morire e dove aveva ricopiato ampli stralci di Questo è Cefis, libro del ‘72 subito ritirato dal commercio e da tutte le biblioteche. «Ad accorgersi della somiglianza – racconta Speranzoni – fu Vincenzo Calia, il magistrato pavese che nel ‘94 stava svolgendo nuove indagini sulla morte di Enrico Mattei. E Cefis, la storia ci dirà poi, è considerato il predecessore di Licio Gelli nella P2».