A Ostia, lunedì 29 maggio 2017, alle ore 16.30, alla biblioteca Elsa Morante, in via Adolfo Cozza, per la rassegna Leggere il paesaggio nel paesaggio. Letture itineranti, sarà proposto l’appuntamento L’Ostia dei poeti. Si preannuncia come un vero e proprio viaggio da Pier Paolo Pasolini ai poeti della Beat Generation, che hanno animato nel 1979 il Festival di Castelporziano, ideato da Simone Carella, il pioniere dell’avanguardia romana scomparso nel 2016, e uno tra i protagonisti più vivaci della ricerca teatrale degli anni Sessanta. Saranno presenti Titta Ceccano, Julia Borretti e Roberto Caetani con la sua musica dal vivo. Quindi due attori e un musicista racconteranno in maniera itinerante il paesaggio attraverso le parole degli scrittori che lo hanno vissuto e che a esso si sono ispirati.
Tutt’altra atmosfera, peraltro, dall’incandescente Festival internazionale dei poeti che nel 1979, per tre giorni, affollò la spiaggia di Castelporziano non lontano da Ostia dove quattro anni prima era morto Pasolini, in un reading passato alla leggenda nella storia della cultura contestatrice e underground degli anni Settanta. Nel 2016 ne rievocò le ragioni, il contesto e la temperie lo stesso Carella, in una conversazione con l’attrice Alessandra Vanzi, protagonista del teatro di ricerca della Capitale.
Castelporziano, quei tre giorni sulla spiaggia
di Alessandra Vanzi
https://ilmanifesto.it – 1 novembre 2014
Incontro Simone Carella che è un vecchio amico e che ha avuto grande parte nel mio percorso teatrale. Simone era il direttore artistico del Beat72, la cantina più d’avanguardia di Roma, quando venne a vedere le nostre prove della Rivolta degli oggetti (da Majakovski), mio primo spettacolo. Avevo 20 anni, non lo conoscevo e m’intimidiva l’idea del suo giudizio, poi cominciammo, e Simone, dopo un po’, si mise a spostare i pochi fari che c’erano nello studio di vicolo del Moro, seguendo con le luci i nostri corpi in movimento, dandoci stimoli e direzioni. Alla fine della «prova-improvvisazione», soddisfatto, ci invitò a debuttare al Beat72. Così è nata nel lontano 1976 la Gaia Scienza, oltre a me, composta da Marco Solari , Giorgio Barberio Corsetti, Domenico Bianchi e Gianni Dessì. Da allora, per parecchi anni, siamo stati coinvolti nelle iniziative di Simone; tra le tante, Castelporziano è indimenticabile per me, ventenne, che facevo il servizio d’ordine gomito a gomito con i miei miti e insieme a loro crollai quando il palco s’accasciò sulla sabbia.
Come ti è venuta l’idea di fare il festival dei poeti a Castelporziano?
Per parlare di questo dobbiamo vedere quello che succedeva in quegli anni, penso, quindi agli anni ‘77, ‘78, ‘79 , specialmente a Roma nel ’77 c’è stato un movimento contestatore di massa, rivoluzionario, che ha coinvolto migliaia di studenti; si sono aperte tante situazioni di socialità alternativa, i centri sociali nascono in quegli anni, naturalmente tutto questo convergeva e aveva la sua fonte nelle lotte degli studenti dell’università, ma, contemporaneamente, c’era un movimento culturale molto vivace, molto vivo, anche quello si può dire alternativo, emergente, che si legava alle tematiche dell’underground, vero e proprio underground culturale, musica, teatro, letteratura. In quegli anni era dominante nella situazione romana l’attività del Beat 72, che tra le cantine che si erano affermate era quella che aveva una maggiore versatilità e originalità di programmazione, perché, non a caso, la dirigevo io, poi, naturalmente mi sono sempre circondato di persone che ho coinvolto nel lavoro artistico e di programmazione per quel che riguardava il teatro, la musica e la poesia, persone che avevano la stessa idea, lo stesso concetto, verso motivi e temi dell’avanguardia, là dove un tema d’avanguardia non è soltanto un tema culturale ma anche un tema etico, nel senso che è un modo di vivere, di stare insieme agli altri, di discutere, di considerare, non lettera morta, ma sorpassato, passato tutto ciò che ci ha preceduto, anche noi stessi. In un certo senso eravamo «passati»; insomma in questo «ambientino molto vivace» s’inserisce, accanto ai temi del teatro e della musica che erano gli assi portanti dell’attività del Beat a partire dal 70-72, un altro filone che era quello della poesia, anche quello legato strettamente all’avanguardia del gruppo 63, perché, tra l’altro, quello che succedeva in teatro era successo in poesia molto prima, appunto nel ’63; quindi cominciammo ad affrontare il discorso sulla poesia, ma la poesia come? I poeti soprattutto. Io metto sempre l’accento sul fatto che nella poesia la cosa più importante sono i poeti, sono le persone, come nel teatro è il corpo dell’attore, l’oggetto-corpo, il soggetto-corpo. Anche nella poesia, io sempre cercato di estrarre da questo oggetto letterario, da questo genere letterario, il suo senso, che secondo me risiedeva nei poeti, i poeti sono i detentori della parola. S’è venuta sviluppando, in quegli anni lì, tutta la tematica intorno al corpo, nel teatro si cominciava a discutere di gesto, immagine e parola, e quindi chi poteva essere l’inventore, il nuovo autore della parola teatrale, della parola drammatica? Senz’altro poteva essere il poeta, ma inteso come figura di «manipolatore di parole». Uno dei sensi dell’avanguardia è quello di stare sempre al passo con i tempi, non solo di anticiparli, ma di avere le orecchie ben aperte per sentire quello che succede. In quegli anni è stato pubblicato Il pubblico della poesia, un’antologia di nuovi poeti, nati dopo la generazione del gruppo 63 curata da Franco Cordelli e Alfonso Berardinelli, c’erano i poeti emergenti di quegli anni (‘75), che così vennero «antologizzati»: Dario Bellezza, Cesare Viviani, Maurizio Cucchi, Valentino Zeichen, tutti tra i venti e i trent’anni.
Mi ricordo le serate di poesia del Beat72 a cui partecipammo anche noi della Gaia scienza
Sì, appunto, da quell’antologia ci venne l’idea, insieme a Cordelli, di presentare questi poeti. La presentazione consisteva nello spettacolarizzare, nel mettere in scena la poesia e il soggetto poeta, per cui abbiamo, nel ’77, programmato, una serie di serate di poesia, poi antologizzate come Il poeta postumo. Perché il pubblico della poesia sono i poeti stessi e il poeta, a sua volta, è postumo di se stesso, e quindi intrecciando questi due motivi, squisitamente critici, estetici, letterari, noi abbiamo invece affrontato il tema della spettacolarizzazione, della spettacolarità del corpo, della figura del poeta. Ne sono venuti fuori una serie di spettacoli provocatori, innovativi, effettivamente tu eri a contatto col poeta, questo non significa che non venivano lette o recitate le poesie. La prima serata fu un bel botto perché Dario Bellezza non arrivava, aveva provato il suo spettacolo con un amico «sedicente regista» che la sera stessa dello spettacolo convinse Dario che la serata non si sarebbe più fatta al Beat ma all’Ompos, che era un locale gay che stava a Testaccio. Dario ci crede e va all’Ompos, mentre noi stavamo lì ad aspettarlo, e tutti a dire: «Ecco il solito Dario..non viene», poi m’è venuto in mente che poteva essere stato dirottato lì, all’Ompos, sono andato a cercarlo e l’ho trovato solo, depresso, in quel locale, che era dark, sconsolato, pensava che nessuno fosse andato a vederlo. Allora gli detto che tutti lo stavano aspettando al Beat, ce l’ho portato e lì c’era quel disgraziato che l’aveva dirottato. E si sono azzuffati davanti al pubblico, però poi comunque la serata è andata avanti, è stata una bella Opening. Per Il poeta postumo la messinscena di Valentino Zeichen è stata illuminante, perché noi abbiamo creato, con Mario Romano, una scenografia, così all’improvviso, disegnando sopra dei fogli carta delle lapidi e su ogni lapide c’era scritta una poesia e quindi il poeta, Valentino, entrando con la sua musa, che era Franca Rovigatti (anche lei poetessa), la introduceva alla sue poesie, ma, essendo postumo di se stesso, le leggeva sulle lapidi. Oppure la serata di Giorgio Manacorda che era poeta ma anche assessore a Cosenza, quindi politico, lì abbiamo inscenato una specie di festa dell’Unità dove veramente si mangiavano le salsicce. Insomma queste serate hanno creato il presupposto per far emergere il tema e l’idea del poeta e della poesia in tutta la sua vitalità.
La spettacolarizzazione della poesia gli americani già la facevano.
Ma non solo gli americani, anche i russi. I grandi reading di lettura in Russia erano sì «sovietizzati», di regime, ma alle letture di poesie partecipavano 10.000 persone; in America invece i reading già si svolgevano per strada.
Alle manifestazioni di protesta.
Sì, e poi tutte le università avevano già un Poetry Department, non dimentichiamo che Howl (Urlo) di Allen Ginsberg è stato recitato per la prima volta nella libreria di Ferlinghetti già negli anni ’50. In Italia questo non era mai avvenuto, però, contemporaneamente in Italia si stavano sviluppando altri movimenti, c’era stato Parco Lambro, un momento di aggregazione , di spontaneità creativa, lì l’accento era più sulla musica e sulla socialità dello stare insieme, utilizzo degli spazi comuni, si potrebbe dire adesso, erano stati 3 giorni di ..
Divertimento, contestazione e casino, con l’esproprio proletario dei polli, tant’è vero che i musicisti si spaventarono e non suonarono, tutti tranne gli Area con Stratos.
Certo a Parco Lambro non c’era un soggetto coagulante e quindi erano tre giorni di festa e musica per stare insieme, c’era stato Woodstock. E poi non dimentichiamo, fondamentale, che nel ’75-’76 alle elezioni vince la sinistra, Argan diventa sindaco di Roma e arriva Nicolini. Insomma tante coincidenze, bisogna andare a cercarsele naturalmente, che fanno di Roma un centro propulsore di idee e tematiche, di cultura e politica, cultura e società, cultura e movimento ecc. ecc., naturalmente noi siamo attratti dalla personalità di Renato Nicolini che fa il primo Massenzio, grande esplosione. Si comincia a parlare di Estate Romana , contemporaneamente vengono annunciate altre iniziative, quindi anche noi, noi Beat72, io, insomma, dico dobbiamo fare un festival di poesia; all’inizio, così, in maniera molto generica, presentiamo un primo progetto con un elenco di poeti tra cui, vista la capacità provocatoria di Nicolini, c’era anche Karol Woytila, capirai, appena eletto Papa, di cui si diceva il Papa poeta, il Papa drammaturgo. Renato raccolse la proposta, ma non c’erano le condizioni. Infatti abbiamo dovuto aspettare; poi nel ’79 siamo tornati alla carica e intanto io avevo focalizzato l’idea di un festival internazionale dei poeti, invitando i grandi poeti contemporanei che però sarebbero dovuti venire non in una piazza, non in un teatro, ma in un luogo libero e aperto come la spiaggia, insomma una specie di visione, un sogno così bello, sulla spiaggia tutti i poeti che stanno lì tre giorni, mutuando tante idee, da Woodstock a Parco Lambro, puntando soprattutto sulla presenza dei grandi poeti internazionali, che, per fortuna all’epoca c’erano e lottavano con noi, erano vivi.
E sono venuti tutti.
Naturalmente raccogliendo all’inizio un po’ di scetticismo: «Ma ti pare che viene Ginsberg, che viene Corso, che viene Borroughs…» e invece sono venuti. Da questo punto di vista la scommessa era puntare molto alto, il fatto è che bisogna puntare sui propri desideri, io desideravo toccarli i poeti, c’è sempre quest’idea del corpo, io desideravo toccare Ginsberg, Borroughs, non solo leggere le loro poesie o ascoltare i loro scritti, ma vederli fisicamente come sono.
E gli avete trovato una sistemazione molto particolare, per cui erano molto a portata di mano.
Il problema era che c’erano pochi soldi e dovevamo ospitare 100 poeti, cioè di 104 poeti invitati a Castelporziano in quei giorni, 90 erano stranieri e, a parte pagargli i biglietti aerei, poi bisognava ospitarli a Roma per tre giorni con spese d’albergo assolutamente improponibili e, anche lì, Renato ha messo in moto l’immaginazione al potere. Ci disse che a Ostia c’era una struttura alberghiera che veniva usata solo parzialmente nelle cucine, come scuola alberghiera, il resto era vuoto, c’erano le brande, i materassi ma non c’erano le lenzuola; insomma, siamo andati a parlare con questi dell’Enalco Hotel, che è molto grande e bello, e loro ci hanno dato il permesso di usarlo nei tre giorni, e lì si è aperto un altro spazio, che è diventato uno spazio comune.
Mi ricordo che erano tutti lì, insieme.
Lì cominciò la sintonia con Nicolini, che era un artista prestato alla politica o un politico prestato all’arte, il più politico degli artisti, il più artista dei politici, lì si creò, spontaneamente, una comunità di poeti e di pubblico. Era giugno, sulla spiaggia si stava bene.
Erano arrivati a migliaia da tutta Italia.
Si era creato questo equivoco di Patti Smith, perché tra gli altri poeti io avevo invitato anche lei, come poeta. L’altro giorno ho ritrovato una sua lunghissima e bellissima lettera (indirizzata a me al femminile perché, firmandomi io Simone, aveva pensato che fossi una donna) in cui mi diceva «Dear Madame, mi dispiace ma non posso venire perché sono impegnata in un tour». Insomma alcuni protestarono perché volevano sentire lei, noi non volevamo prendere in giro nessuno. Comunque si era creata questa comunità attiva, che comunicava, che rompeva i coglioni, anche sul cibo protestavano, perché non c’era, e allora mi ricordo che dissi «Va bene, allora facciamo una colletta, andiamo al mercato e facciamo un minestrone, che era la cosa più semplice per dare da mangiare a tutti, andammo nelle cucine dell’albergo, che funzionavano benissimo, c’erano dei pentoloni enormi e il minestrone l’abbiamo cucinato lì; poi, loro, la sera hanno fatto casino ma anche quello andava bene perché: «il minestrone è poesia?» «Sì ,anche il minestrone è poesia, però ci sono anche i poeti che non sono cuochi». Ecco Castelporziano è nato così, ti ho risposto.
Ma non c’è stato solo Castelporziano, ce ne sono stati altri, il festival dei poeti è diventato una specie di istituzione, quanti ne hai fatti?
I festival dei poeti, quelli che considero miei, sono tre, Castelporziano, quello successivo a Piazza di Siena dove però il festival si è dilatato perché è durato nove giorni e ha compreso delle serate di teatro, musica, musica indiana, astronomia; per la prima volta noi abbiamo invitato Margherita Hack, Remo Ruffini, abbiamo invitato addirittura uno di quegli astronauti che andavano in missione sulla luna, e Philip Dick … tutti ci chiedevano ma come fate a organizzare una cosa così, in pochi come siete, e invece ce l’abbiamo fatta eravamo pochi ma buoni.
Chi c’era nel gruppo di lavoro dei festival?
Simone Carella, Ulisse Benedetti, Franco Cordelli, che era il nostro consulente esterno, e all’interno del Beat Paola Febbraro, Roberto De Angelis, Mario Romano per lo spazio, Cristina Delogu, Delfina Vezzoli e Giles Wrigt Stanhope che hanno curato tutte le traduzioni dall’inglese, Demetrio Giordani, tu e Marco Solari, poi per invitare i russi ci siamo dovuti rivolgere all’Unione degli scrittori perché erano ancora Urss, e ci hanno mandato Eugenij Evtuscenko e Bela Achmadulina e poi un poeta arzebagiano, Issaev, che aveva tradotto la Divina Commedia in arzebagiano dal russo.
Mi ricordo che la Achmadulina non salì sul palco a Castelporziano.
Sì perché Evtuscenko, con cui era fidanzata, non era d’accordo che si esibisse in un posto dove c’erano tutti uomini nudi (parte del pubblico della spiaggia praticava il nudismo). A piazza di Siena invece venne, per la prima volta in Italia, Josip Brodskij, che aspettò che finisse la contestazione che c’era stata anche lì, e partì dopo la mezzanotte con questa meravigliosa nenia suadente da cui si capiva come la poesia sia verso ma anche ritmo e musicalità, sonorità.
Mi ricordo anche John Giorno, Lee Roy Jones e i poeti portoricani.
Certo, poi l’ultima sera finì con la contestazione a Victor Cavallo. Era previsto con lui anche Paolo Villaggio, che venne ma si spaventò della folla e non salì sul palco, allora Cavallo rimase solo e, essendo più eversivo del pubblico, prima scatenò la contestazione mostrando al pubblico suo figlio piccolo Emiliano e proclamando che lui, bambino, era la vera avanguardia, poi li placò con una poesia scritta proprio quella mattina, Io non sono Macario, imponendosi con la sua arte, la sua grande capacità performativa.
Parlami del terzo festival.
In quell’occasione abbiamo affrontato l’istituzione, siamo andati alla Sapienza nell’aula magna dell’università dove abbiamo invitato tutto il movimento del ’68. Si era molto allargata la platea, Patrizia Vicinelli, Bifo e Radio Alice, abbiamo ristampato Zut e la provocazione quell’anno era mettere a confronto Roberto Benigni e i poeti in ottava rima che sono, diciamo, i poeti di strada, gli improvvisatori. Ne venne fuori una lunghissima serata. Era l’’81 e la tensione sociale era ancora molto alta, furono tre giorni senza soluzione di continuità, si cominciava la mattina e si finiva la sera, i poeti erano tutti italiani. Stringemmo anche un importante rapporto con la facoltà d’informatica e loro digitalizzarono tutte le poesie.
Poi ce ne sono stati altri.
Sì, a Parco dei Daini e dopo ancora a Piazzale Napoleone, ma io ho lasciato man mano la gestione del festival ai poeti.
E adesso?
Adesso abbiamo fatto «Poetitaly» che è diventata una realtà, e parte da un idea di format, siamo andati a Corviale, ma andrebbe bene farlo a Scampia, a Volterra nel carcere, non so Brooklyn, o lo Zen a Palermo. È un format che ha una sua natura nomade che si può adattare in tutte le situazioni di marginalità in cui la poesia entra in rapporto con il dato territoriale.
Quindi hai già dei progetti precisi?
A Roma sto cercando di portare «Poetitaly» nei teatri di cintura e quindi Torbellamonaca, Quarticciolo e Lido di Ostia.
Qual è il nuovo gruppo di lavoro?
Simone Carella, Lidia Riviello, Gilda Policastro e Andrea Cortellessa, che è professore associato a Romatre, a cui abbiamo proposto un nuovo progetto da fare al teatro Palladium che è di loro proprietà …