Restano indimenticabili le sequenze di Nanni Moretti a cavallo della Vespa lungo le vie di una deserta Roma ferragostana, set quasi metafisico del terzo capitolo che chiude il film Caro Diario (1993). Quel viaggio solitario su due ruote si chiudeva, quasi per caso, con la visita struggente allo spiazzo polveroso e desolato dell’Idroscalo di Ostia in cui Pasolini incontrò i suoi assassini nel 1975. La morte del poeta segnò una cesura traumatica per la storia italiana del secondo Novecento, così come anche Caro Diario incide uno spartiacque nella filmografia di Moretti, motivata fin lì dall’ironica tensione civile e da allora virata alla disillusione e al ripiegamento. A conferire a quelle immagini il respiro di una commozione non dicibile con le parole furono anche le note del Concerto di Colonia di Keith Jarrett, in un esempio mirabile di sintonia tra la musica, il cinema e, qui, il sentimento del disincanto e di pietas che lo anima. Sottolinea questo perfetta fusione il critico cinematografico Tonino De Pace, autore di una bella analisi altrettanto in sintonia con il film rievocato. (angela felice)
Sentieri Selvaggi Playlist #7 – Concerto di Colonia
di Tonino De Pace
www.sentieriselvaggi.it – 10 agosto 2017
Come si dice sempre, correva l’anno 1993 quando, dopo il premio a Cannes, Palma d’oro per la migliore regia, Nanni Moretti, con la sua Sacher, oggi non più attiva, proponeva al pubblico Caro diario. Il film seguiva, ma di quattro anni, Palombella rossa.
E Caro diario segnava una cesura, aveva l’aria di volere sanare una frattura. Si comprendeva, tutti lo avevamo capito, che l’impegno politico era finito. C’era aria di smobilitazione e nel 1993 non rimanevano che i residui di quello che era stato il vento del cambiamento. Il terrorismo aveva compiuto il suo velenoso compito, quello di desertificare, rendendolo impraticabile, il terreno sul quale il confronto avveniva sempre duramente, ma con lealtà.
Caro diario coglieva quest’aria e Moretti, ben lungi dal rifuggire da quel senso di condivisione sociale che pur nell’aplomb solitario e personalissimo del suo cinema resta mascherato, rivolgeva lo sguardo al presente e al passato con una sorta di tenerezza più esplicita rispetto alla sua precedente produzione, con una benevolenza spiazzante che metteva in discussione se stesso che intanto era diventato, all’epoca, quel magnifico quarantenne, espressione che resta incisa, come leit motiv di una vita sociale che sembra dovere cominciare proprio a quell’età, segno di una giovinezza che si è allungata, anche quando si inizia declinare in “anta”.
Con questi sentimenti molto familiari, andavo al cinema all’uscita di un film di Moretti e, all’epoca avvicinandosi i quaranta, sentivo vicino quel film del ripiegamento su stessi, pronto ad imboccare nuove strade. Non tutto e non sempre mi sentivo di condividere con Moretti, ma restavano condivise le fondamenta di quelle cocenti delusioni.
Al minuto 22 di Caro diario, puntuale come un orologio, alla chiusura del primo dei tre capitoli che lo formano, attaccano le note di Concerto di Colonia di Keith Jarrett. E così Nanni Moretti sulla sua Vespa curiosa dei quartieri romani fa virare anche il registro del suo cinema. La falsa solitudine delle vie di Roma nelle ferie d’agosto del set costruito che occupa i primi venti minuti dell’episodio, lascia spazio nel finale alla verità assoluta dello sguardo. Una verità che esclude anche il filtro degli sguardi delle persone incontrate lungo il tragitto che, incuriosite guardano in macchina. Il lungo piano sequenza che lo porterà al monumento eretto sul luogo in cui avvenne l’omicidio di Pasolini, si unisce alle note e alle verità sonore di Jarrett. Quella musica accompagna il tema di un’altra sconfitta morettiana. Jarrett e il suo Concerto di Colonia sembrano avvolgere i luoghi e doverne fare parte per sempre.
Avevo già ascoltato all’epoca del film il pezzo che è del 1975, nato da una improvvisazione, ma non lo avevo mai immaginato associato a quelle immagini e a quelle di Moretti in particolare. Spesso le musiche e le immagini dei film sono talmente in simbiosi da assomigliare alla perfezione, in questo caso non si tratta di perfezione, ma di una assoluta comunanza di intenti. Moretti e Jarrett sembrano tirare fuori la verità, l’attimo fugace di quel raggio verde rohmeriano. Il piano sequenza di Moretti che dura esattamente 5 minuti, è straordinario nel condensare i sentimenti dello stesso regista e che sarebbero stati i nostri nel visitare anni dopo il luogo della morte del poeta. Attraverso le note dolenti del moderato crescendo del brano si giunge a quella fusione non fredda tra la musica che scompare e l’immagine nella zoomata che chiude l’episodio. D’altra parte questa evidenza di verità che scaturisce dalle note del pianoforte di Jarrett, si manifesta anche negli attimi in cui si sentono i suoni della voce del musicista che accompagnano l’esecuzione. Sin dal primo ascolto trovai che questa interferenza umana sembrava farsi beffa di ogni pulizia d’ascolto, di ogni hi-fi e ricercatezza elettronica e quella voce che irrompeva tra le note fosse insostituibile elemento volto ad arricchire il cromatismo di un brano già così ricco di voci musicali e così denso di percorsi che sembrano aprirsi di volta in volta. Moretti sembra avere colto alla perfezione tutta l’umana verità sottesa al brano riuscendo a trasfonderlo interamente in un film composto esclusivamente della stessa materia e sempre costruito sul desiderio di una insostituibile tensione umana.
Caro diario, Nanni Moretti, Pier Paolo Pasolini e Keith Jarrett un indissolubile quartetto che di tanto in tanto si fa strada nella mente, nelle lunghe e afose giornate estive, la dove la musica e il cinema sembrano ritornare per restituire piccoli piaceri perduti che galleggiano nella memoria.