“Il sogno di una cosa” in lettura

Il sogno di una cosa

Il romanzo Il sogno di una cosa di Pier Paolo Pasolini sarà il cuore della maratona di lettura no-stop in cui venerdì 29 giugno,  nel giardino interno di Casa Colussi, si cimenterà dalle ore 19 in poi una vera tribù di lettori, pronti ad accogliere l’invito del Centro Studi Pasolini che, con questa nuova e originale  iniziativa, prosegue la sua perlustrazione a tappe dentro la stagione friulana del cantore di Casarsa. Quel romanzo fu infatti concepito tra il 1948 e il 1949, a ridosso e ad eco di tanti fatti e di tante storie umane del dopoguerra nella Destra Tagliamento, cui lo stesso Pier Paolo ebbe modo di assistere e prendere parte.  Un periodo giovanile  che recuperò anche  in seguito, quando nel 1962 rivide e pubblicò quelle sue antiche pagine di romanzo, apponendovi il titolo definitivo e “fingendo” – come scrisse- di calarsi in quello che era stato in Friuli, in mezzo alla sua “meglio gioventù”. Quel recupero a tanti anni di distanza poteva valere come un nostalgico ritorno memoriale alle atmosfere perdute del Friuli arcaico, contadino e sacrale e a vicende, storiche ed esistenziali, di innocenza tradita. E molti interpretarono in questa chiave il romanzo, che era stato potenzialmente d’esordio come poi di  bilancio consuntivo. Invero, in quei primi anni Sessanta,  urgevano anche altri motivi in Pasolini, che già aveva alle spalle i romanzi romani sui “ragazzi di vita”, le riflessioni lirico-meditative delle “Ceneri di Gransci” e della “Religione del mio tempo” e che, tra passione e ideologia e ormai con un piede anche nel cinema, era avviato ad uno scontro sempre più sofferto con la modernità. Nel ritorno al “Sogno”, con un titolo ripreso da un Karl Marx del 1843 non ancora “marxista”, agiva sottotraccia anche la coscienza della fine dell’illusione, proiettata e controfigurata nel Friuli lontano, perduto e, anch’esso, ormai avviato allo stravolgimento. Come in un romanzo di formazione, ma alla rovescia, si disegna così una curva narrativa discendente, che procede  dalle immagini corali dell’inizio a tappe crescenti di solitudine, dalle  feste vitali di paese allo smarrimento individuale, dai suoni di campana al silenzio. E’ la stessa parabola che, a emblema delle comunità in cui sono inseriti, tra San Vito, Ligugnana, San Giovanni e Casarsa, segna il destino dei tre giovani amici protagonisti, Nini, Eligio e Milio, picari friulani di ingenua vitalità. Tutti approdano ad amari risvegli nel confronto con la realtà: dapprima, nell’emigrazione all’estero, affrontata come un’avventura ma poi risolta in esperienza di cupa delusione, sia in Svizzera, dove va Milio, sia soprattutto nella Jugoslavia titina, dove si recano invece Nini ed Eligio, comunisti per slancio istintivo da “fazzoletto rosso”; e poi, nelle lotte contadine del Friuli contro i possidenti per l’applicazione del Lodo De Gasperi, in una fiammata di rivolta sociale e politica ben presto soffocata. Il riscatto si scopre dunque una chimera irraggiungibile e la “cosa”, ormai staccata dal suo “sogno”, diventa alla fine dell’affresco narrativo solo il pensiero inesprimibile di Eligio che muore, quando pare che voglia dirla, quella “cosa”: “ma non parlava, non riusciva a dire che cosa fosse”. Quel congedo funereo, sul fondale lirico della natura che intanto continua nel suoi eterni cicli stagionali, sfuma di disincanto l’elegia del Friuli e della sua “meglio gioventù”, in un romanzo bellissimo e ricco di strati che nel reading del 29 giugno sarà suggestivo ascoltare dal vivo e alla luce del presente. E infatti hanno risposto in tantissimi all’appello a prestare la propria voce a turno per la lettura integrale del testo. Tra tutti, casarsesi e non, giovani e in età, attori e non, noti e meno noti (l’elenco completo sarà diffuso a breve), almeno uno va citato: quel Dino Peresson che si recò davvero nella “rossa” Jugoslavia, salvo scapparne deluso, e che con il racconto di quella sua esperienza, insieme a tanti altri spunti, dette il là all’ispirazione geniale del giovane Pasolini romanziere.

La trama del “Sogno”

Friuli 1948-1949. Nini, Eligio e Milio sono tre ragazzi di paese della Destra Tagliamento, che vivono tra San Vito, San Giovanni, Ligugnana e Casarsa. Si incontrano durante una sagra, a Pasquetta, e per due anni affronteranno insieme il mondo, le lotte e i sogni dei vent’anni. Ai primi echi della rivoluzione titina, Nini ed Eligio partono entusiasti verso la Jugoslavia, che sta oltre confine. E’ il sogno del comunismo, il desiderio di vivere in un mondo più giusto. Milio invece mette da parte gli ideali ed emigra in Svizzera, dove, a differenza dei due amici, trova almeno un lavoro, pur tra maltrattamenti e discriminazioni. Pochi mesi dopo, i tre amici sono di nuovo a casa, profondamente delusi. Sono i giorni del Lodo De Gasperi, delle occupazioni contadine delle case dei paròns, delle fughe dalla polizia, dell’euforia di fronte ad una rivoluzione agraria che per pochi giorni si crede possibile. Ma le promesse di cambiamento sono destinate ad infrangersi, e così ai tre amici  non resta che sperare di trovare lavoro, magari tramite una buona parola del prete, amaro calice da inghiottire, soprattutto per il Nini, convinto comunista. Scoppia la stagione degli amori: dopo il breve innamoramento per Cecilia, Nini sposa Pia, concludendo il suo percorso di formazione. Eligio invece si ammala gravemente e infine muore. Il suo funerale conclude il romanzo e sigilla l’elegia del mondo contadino che vi è contenuta. La “meglio gioventù” è ormai finita.

*Foto in copertina: Pier Paolo Pasolini nel suo studio, 1963 – Foto © Gideon Bachmann @ Archivio Cinemazero Images, Pordenone