Maurizio Crippa, sul foglio.it del 23 marzo 2018, segnala una poco nota opera fotografica dell’artista albanese Adrian Paci, nonostante essa risalga al 2011. Si tratta degli scatti delle quattordici stazioni presenti a Milano in mostra permanente nella Chiesa di San Bartolomeo. L’artista, arrivato in Italia nel 1992 sulle carrette del mare e formatosi appunto nel capoluogo lombardo, si ispirò per la sua opera al film Vangelo secondo Matteo di Pasolini, maestro di contaminazioni tra l’arte e la volontà di parlare al presente.
La Via Crucis di Adrian Paci
di Maurizio Crippa
www.ilfoglio.it – 23 marzo 2018
Entrare distrattamente in una chiesa, può capitare. Che gli occhi si facciano catturare dalle stazioni di una Via Crucis che scorrono attorno sui muri, capita molto meno. Un po’ perché nella maggior parte delle chiese i dipinti, i bassorilievi o persino le stampe che raccontano la Passione di Gesù non sono opere d’arte. Arredi sacri, perlopiù. E un po’ perché il richiamo di questa forma di devozione antichissima – guardare e seguire è un modo semplice e intenso di pregare – si è un po’ sbiadito nel tempo.
Però può capitare – ma se lo scegliete è meglio – di entrare nella Chiesa di San Bartolomeo in via della Moscova, a un passo dalla fermata Turati della Linea gialla, e uno dei pochi lampi di luce che illuminano l’ambiente piuttosto buio, neorinascimentale ma edificato dopo metà Ottocento, potrebbero rilanciare lampi di un bianco vivido, magnetico e quasi irreale. E’ il bianco della tunica di Gesù che spicca, in virtù di un trattamento speciale delle lastre stampate su alluminio, nelle quattordici fotografie che compongono la Via Crucis di Adrian Paci. Sono lì, nella loro sede permanente da alcuni anni, sconosciute ai più. Ma valgono una visita, e non soltanto perché viene Pasqua.
Adrian Paci è nato nel 1969 a Scutari, in Albania, oggi è un artista noto nel mondo per le sue video istallazioni e per le sue opere che mescolano o alternano generi e strumenti, dalla pittura alla fotografia alla scultura al video. Figlio di un artista albanese, arrivato in Italia nel 1992, al tempo degli sbarchi famosi sulle carrette del mare, Paci ha fatto molte cose da allora, tra cui ovviamente proseguire gli studi d’arte. A Milano ha avuto la sua formazione, il primo lavoro fu partecipare al cantiere per il restauro della chiesa di Sant’Eustorgio. Nel 2011 l’associazione no profit Artache, che aveva già al suo attivo la produzione di alcune importanti installazioni permanenti di arte nelle chiese milanesi, da Mark Wallinger in Duomo, a Bill Viola in San Marco e Emily Jacir a San Raffaele, gli commissionò una Via Crucis, quella fotografica che oggi è in San Bartolomeo.
Ha raccontato lui stesso com’è nata l’idea. Non pensava alla fotografia, no. Gli sembrava, per un’opera religiosa, un aggiornamento un po’ facile a una forma espressiva ormai moneta corrente da molto tempo nell’arte. Pasolini, sì. Pasolini lo aveva scoperto in Italia, nell’Albania dei sui primi studi non veniva insegnato. Di Pasolini lo avevano colpito la capacità di connettere l’arte antica, il Rinascimento, con l’urgenza di comunicare un fatto reale, il presente vivo. Pensò al video, uno strumento che Paci ha usato spesso. Alla fine venne la fotografia. Per un’opera che è personale, intima, ma a un tempo eminentemente pubblica . Aveva poco tempo, era dicembre e faceva freddo. Chiese ad alcuni dei suoi amici e collaboratori di “impersonare” la Via Crucis, di spogliarsi nel cortile del suo laboratorio di Milano. Tuniche essenziali, neri e grigi tra muri scrostati. Una trave di legno e un trabattello. Solo Gesù è vestito di bianco. La Via Crucis fotografica di Paci è un’opera con molte implicazioni personali e artistiche, non c’è nulla di naif o di forzosamente “provocatorio” nel rendere immediato, come è immediata la fotografia, il coinvolgimento di chi guarda. Certo c’è un tributo al Vangelo secondo Matteo. Ma rispetto al film di Pasolini, rispetto a molta della iconografia classica o ai riti devozionali, nelle stazioni di Paci è sparito il popolo. Ci sono Gesù, sua Madre, la Veronica, il Cireneo. Quasi sperduti in una solitudine vuota. Che è quella della Passione, e quella di una sensibilità umana e religiosa contemporanea dinanzi a quel dramma umano e sovrumano. Ma poi, man mano che lo sguardo sia abitua a quel bianco e nero, a quei grigi metallici, alla semioscurità della chiesa, ci si accorge che no, non sono personaggi perduti nel vuoto, sono figure incastonate in uno spazio fisico – il cortile, l’officina – e metafisico secondo geometrie rinascimentali. Alcuni scatti richiamano alla mente Piero della Francesca, Mantegna. Però tornati vicini a noi, in una riappropriazione del passato realmente contemporanea. E commovente.
La prossima volta che qualche furbone vi dirà che l’arte sacra è finita, inghiottita dalla modernità, rispondetegli di passare da San Bartolomeo.