Il Centro Studi–Archivio Pier Paolo Pasolini di Bologna conclude le attività della stagione 2016-2017 con la proiezione a ingresso gratuito in Piazza Maggiore, alle ore 21.45, di Accattone (1961), il folgorante film d’esordio di Pasolini, che per l’occasione sarà presentato da Roberto Chiesi, responsabile dello stesso Centro Studi-Archivio. Per il foltissimo pubblico di spettatori che frequenta ogni sera le proiezioni organizzate dalla Fondazione Cineteca di Bologna, sarà l’occasione di rivedere un capolavoro del cinema pasoliniano, proiettato su uno degli schermi più grandi d’Europa.
Segnaliamo questa notizia grazie all’informazione dello stesso Centro bolognese, che resterà aperto fino alla fine di luglio per la consultazione del suo ricchissimo materiale, bibliografico, audiovisivo e fotografico, di ambito pasoliniano.
“Accattone” (1961) di Pier Paolo Pasolini
Piazza Maggiore, Bologna
giovedì 6 luglio, ore 21.45
“Accattone” secondo Pasolini
Mi sono affacciato a guardare quello che succedeva dentro l’anima di un sottoproletario della periferia romana (insisto a dire che non si tratta di una eccezione ma di un caso tipico di almeno metà Italia) e vi ho riconosciuto tutti gli antichi mali (e tutto l’antico, innocente bene della pura vita). Non potevo che constatare: la sua miseria materiale e morale, la sua feroce e inutile ironia, la sua ansia sbandata e ossessa, la suapigrizia sprezzante, la sua sensualità senza ideali, e, insieme a tutto questo, il suo atavico, superstizioso cattolicesimo di pagano.
Perciò egli sogna di morire e di andare in paradiso. Perciò soltanto la morte può “fissare” un suo pallido e confuso atto di redenzione. Non c’è altra soluzione intorno a lui, come intorno a un enorme numero di persone simili a lui. È molto, ma molto più raro, un caso come quello di Tommasino [protagonista del romanzo Una vita violenta, ndr.] che un caso come quello di Accattone. Con Tommasino ho dato un dramma, con Accattone una tragedia: una tragedia senza speranza, perché mi auguro che pochi saranno gli spettatori che vedranno un significato di speranza nel segno della croce con cui il film si conclude.
[Pier Paolo Pasolini, estratto da Senso di un personaggio. Il Paradiso di “Accattone” (1961)]
“Accattone” secondo Carlo Levi
Il mondo di Accattone è un mondo precedente al linguaggio. Un sottoproletariato di uomini non ancora entrati nella esistenza e nella coscienza. È il mondo delle borgate, accampato attorno alla città, in attesa eterna di entrarvi, respinto nel suo limbo dalle cose, dalla loro violenza ed offesa, e da se stesso, dalla sua estrema debolezza, prima e fuori dei drammi della libertà. La parola espressiva, che è libertà e coscienza, non esiste ancora in questo mondo. Di qui la necessità, nei libri di Pasolini, di creare una lingua, che non è veramente un dialetto, ma, in forme, dialettali, un modo di pre-espressione, limitato, qualunque sia la sua apparenza verbale, al grido, alla interiezione, alla manifestazione della pura vitalità non ancora articolata e organizzata.
Questo mondo di «rumore e furore», (per usare la terminologia shakespeariana di Faulkner), o, se si vuole, di «rabbia» (per usare quella di Pasolini), non può possedere una lingua, ma solo le parole del rumore e del furore o della rabbia. Ma ha un aspetto, una apparenza, un discorso di gesti, di facce, di atteggiamenti, di stereotipie, di costumi, di magliette, di motociclette, di baracche e casupole, di fontanelle, di spiazzi, di polvere, di prati stenti, e il grigio del fango, della miseria, della malattia, e insieme una sua energia vitale, anarchica e desolata, non mai spenta nella destituzione, nell’uso strumentale del corpo; irrazionale e pura, a volte esplosiva.
Questi aspetti sono evidenti all’occhio di chi guarda, sono l’espressione completa e diretta di quelle cose nel loro vivere e essere reali, nel pericolante crepuscolo, assai più delle parole, delle imprecazioni, del ragionamento, del dialogo. In questo senso si potrebbe forse sostenere che Pasolini abbia trovato nel film Accattone, ancor meglio che nei suoi libri, la forma propria di quel mondo, che è più di cose e atti che di immagini verbali.
[Carlo Levi, estratto da Le parole della rabbia, «La Stampa», 31 agosto 1961]