Questa sezione della nuova mostra del Centro Studi ci consente di scoprire da vicino il laboratorio linguistico di Pasolini e la dialettica, non unidirezionale, fra italiano e friulano. Esemplare il caso di «Dedica» nel libretto «Poesie a Casarsa», i cui versi di apertura nascono in lingua italiana – «Fontana d’acqua del mio paese» – per essere poi pubblicati nel 1942 in un friulano “che non è quello genuino, ma quello dolcemente intriso di veneto che si parla nella sponda destra del Tagliamento” – «Fontàne d’aghe dal me paîs».
Processo simile lo si può osservare anche nelle preziose stesure autografe dei versi de «Il nini muàrt» in cui l’incipit, «Sere imbarlumide…», si assesta anch’esso nel definitivo «Sera imbarlumida…» de «La meglio gioventù». Ulteriore esempio di questa osmosi è rintracciabile, inoltre, nel “volumetto prezioso e postumo” che contiene i versi de «L’Usignolo della Chiesa Cattolica», edito da Longanesi in italiano nel 1958, a grande distanza dalla loro prima ideazione in friulano degli anni Quaranta. In mostra troviamo i dattiloscritti e i fogli di quaderno autografi de «Le albe», de «La parafrasi della Messa» e «Dialogo tra un vecchio e l’alba».
Gli effetti della variazione linguistica si colgono ancor meglio nella seconda parte dell’avventura friulana, soprattutto in «Dov’è la mia patria» (libretto del 1949), nel quale Pasolini esplora il parlato dei diversi paesi della Destra Tagliamento. In questa sezione della mostra, infine, si può vedere anche il ritrovato e curioso quadernetto di «Las hosas de las lenguas romanas» dove Pasolini – firmandosi El Juanero – esercita il suo estro sperimentale traducendo in spagnolo alcuni suoi versi italiani.
– Non perdetevi la pillola n°5, che parlerà dell’interesse di Pasolini per il teatro!
*Immagine di copertina: «Dov’è la mia patria», nella varietà veneta di Caorle, Pier Paolo Pasolini, 1949. Illustrazione di Giuseppe Zigaina.