Il 22 settembre 2016 si è spento nella sua casa romana Gian Luigi Rondi, il veterano della critica cinematografica italiana, colto, autorevole, temuto e discusso, capace di smorzare con ironia anche gli attacchi più feroci, come quello, fortissimo, di aver condiviso il pensiero di Andreotti contro il neorealismo e “sui panni sporchi” che quel cinema diffondeva. Tra gli esempi più clamorosi resta il rifiuto di Pier Paolo Pasolini, che a Rondi dedicò un velenoso epigramma, edito nella raccolta La religione del mio tempo (1961). «Sei così ipocrita, -questa la stilettata del poeta infuriato- che come l’ipocrisia ti avrà ucciso, / sarai all’inferno, e ti crederai in paradiso».
Va dato atto tuttavia dell’onestà intellettuale di Rondi nel riconoscere con il passare del tempo gli errori di giudizio e nel modificare il proprio pensiero con la lucidità che lo ha accompagnato fino alla fine della vita. Una dote che traspare anche dai suoi diari, usciti all’inizio del 2016, Le mie vite allo specchio. Diari 1947-1997, introdotto con un breve scritto da Giorgio Napolitano (ed. Sabinae): 1316 pagine che raccontano i progetti, le amarezze, i piccoli e grandi rancori, anche le scomode verità. Su Rondi, tra i tanti ricordi usciti in occasione della morte, pubblichiamo qui un ritratto firmato per “Il Piccolo” di Trieste da Pietro Serio. (af)
Addio a Gian Luigi Rondi, il critico cattolico che fece infuriare Pier Paolo Pasolini
di Pietro Serio
http://ilpiccolo.gelocal.it – 23 settembre 2016
Aveva 95 anni, ma per lui non era un problema. Gian Luigi Rondi, il decano della critica italiana, il presidente dell’Accademia dei David di Donatello, avrebbe festeggiato il suo compleanno il 10 dicembre con l’uscita in libreria delle sue Lettere [Il primo volume Tutto il cinema in 100 (e più) lettere. Gli italiani, prefato daWalter Veltroni, è uscito per le edizioni Sabinae nel 2015, ndr.] dedicate ai maestri stranieri del cinema.
Invece Rondi se ne è andato l’altra notte, nella sua casa romana del quartiere Parioli. Figlio di carabiniere, nato per caso a Tirano in Valtellina il 10 dicembre 1921, cresciuto prima a Genova e poi a Roma, il giovane Rondi si innamora presto del cinema come il fratello minore, Brunello, che sarà sceneggiatore di Federico Fellini. Laureato in Legge alla Sapienza nel 1945, congedato dal servizio militare per un vizio cardiaco, firma i suoi primi articoli sull’organo dei Cattolici Comunisti “Voce operaia” e milita nelle formazioni partigiane nella Roma occupata.
Rondi diventerà presto una voce ascoltata, riverita, spesso temuta. Il suo magistero critico si identifica presto nella politica culturale della Dc di stampo andreottiano, l’uomo a cui avrebbe fatto sempre riferimento, così come ai suoi direttori al “Tempo”: prima il liberale Renato Angiolillo e poi il democristiano Gianni Letta. Attento interprete degli orientamenti cattolici, si scontrò spesso con la sinistra: celebre rimarrà l’invettiva che gli dedicò Pier Paolo Pasolini.
Giurato in alcuni dei maggiori festival mondiali, la storia di Rondi si incrocia spesso con quella della Mostra di Venezia di cui è stato commissario, direttore, presidente in epoche diverse. Toccò a lui fronteggiare nel 1971 la contestazione dei registi italiani che gli organizzano un contro-festival veneziano in Campo Santa Margherita; tocca a lui dimettersi due anni dopo proprio in omaggio alle richieste di rinnovamento dell’Anac; tocca ancora lui nel 1983 riprendere il testimone di Carlo Lizzani alla guida della Mostra, organizzando una spettacolare parata di Leoni d’oro alla carriera in cui seppe mettere vicino Kurosawa e Fellini, Bergman e Chaplin. E poi, da presidente della Biennale, affiancherà Gillo Pontecorvo (direttore) in una nuova fase di rilancio internazionale del festival.
Amava il bianco e il nero, sullo schermo come nella vita. «Vestii a lutto nei primi anni ’70 per onorare la morte di mio padre – amava ricordare – e da allora è diventata per me una sorta di uniforme. Poi ho pensato di metterci su una sciarpa bianca che mi rimandava al cinema più amato».