La storia dell’arte è attraversata da temi ricorrenti che i pittori riprendono, rielaborano e personalizzano, in un dialogo creativo che corre lungo i secoli. E’ il caso del cibo appaiato alla sensualità, al piacere e alla gioia vitale. Anche del cibo più semplice e povero come la ricotta che ispira l’arte di Vincenzo Campi, pittore cremonese del tardo Cinquecento influenzato dall’arte fiamminga e orientato alla pittura di genere.
Per fili sotterranei il tema mette frutti anche nel cinema di Pasolini, allievo geniale di Roberto Longhi che definì la Cremona del Cinquecento, patria di Campi, una sorta di laboratorio italiano della pittura delle Fiandre.
Su questi incroci una sintetica panoramica firmata da Fabio Gusella per www.ultimavoce.it.
“I mangiatori di ricotta” di Vincenzo Campi
di Fabio Gusella
http://www.ultimavoce.it – 17 maggio 2016
«E Vincenzo anch’egli… avendo assai imparato da Giulio, come anco ha fatto Antonio, è giovane d’ottima aspettazione».
Così Giorgio Vasari parla di Vincenzo Campi, fratello di altri due celebri pittori: Giulio e Antonio Campi. Quest’ultimo sostiene il talento del fratello più piccolo, scrivendo: «Vi è Vincenzo mio fratello minore, il quale non manca col continuo operare, di procacciare fama a sé e alla patria, ove sono le sue opere non meno pregiate di quello che si siano in Milano e infiniti altri luoghi d’Italia, e anco in Spagna, dove molte ne sono state mandate».
Vincenzo vive nella «piccola Anversa» d’Italia (Longhi), la Cremona del Cinquecento. La città lombarda, infatti, sente in modo particolare l’influenza culturale delle Fiandre: entrambe le terre sono accomunate dal dominio austriaco e questo contribuisce a renderle “sorelle”. Molti pittori del Nord Europa, quindi, scendono nei territori farnesiani per riscoprire le radici della pittura italiana e per favorire scambi artistici: uno di questi “turisti” pittorici, Joachim Beuckelaer, nato nell’Anversa “del nord”, dipinge soggetti popolari e naturalistici che influenzeranno intensamente il Campi. Dall’arte fiamminga, difatti, Vincenzo apprenderà l’amore per il grottesco e la sensualità e comincerà a privilegiare la pittura di genere.
I mangiatori di Ricotta è un inno al piacere e alla vita che Vincenzo compone all’incirca nel 1580. Come I mangiatori di patate di Van Gogh, anche queste quattro persone di estrazione popolare sono attratte dal cibo a tal punto da venerarlo. Le loro espressioni, i loro sguardi, però, sono colmi di un desiderio che scavalca il cibo e diventa altro. Quei loro sguardi smaliziati, quelle bocche socchiuse, come in attesa, quei sorrisi ammiccanti ci parlano d’altro, non più della ricotta. E’ il piacere che li riunisce intorno a quel cibo così semplice, ed è ancora la sensualità a traboccare dalla donna sulla destra nell’atto di offrire i propri seni ai commensali, proprio come se fossero cibi. In questa maniera, ancora una volta dai tempi della mela di Eva, il cibo e il sesso si sfiorano e si confondono. Ma Vincenzo Campi non è sicuramente il primo ad accorgersene, né tantomeno l’ultimo.
Qualche decennio più tardi, infatti, sarà Caravaggio a dipingere la stessa bocca socchiusa sul cibo: stiamo parlando del suo Fanciullo con canestro di frutta. Un ragazzo regge fra le braccia un cesto che tracima di frutta: potrebbe essere il garzone di una locanda qualsiasi – come ha intuito giustamente Pasolini in Mamma Roma – ma c’è qualcos’altro. L’inclinazione della sua testa suona come un invito, la sua bocca è semiaperta sull’abbondanza del cesto e il suo sguardo è languido e sensuale come quello della Giuditta di Klimt.