Quel  “Pasticciaccio”, tra Gadda, Germi e Pasolini

In un interessante articolo Lorenzo Catania rispolvera il capitolo poco noto nella storia del cinema italiano legato alla trasposizione del romanzo di Carlo Emilio Gadda Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957) realizzata dal regista Pietro Germi con il film Un maledetto imbroglio (1959).  Anche per il carattere magmatico e sperimentale della narrazione gaddiana, l’operazione era impervia, inevitabilmente infedele,  e infatti non convinse l’autore del romanzo, che non mancò di esprimere le sue riserve. Il contrario avvenne invece per Pasolini, recensore di cinema, che superò  la diffidenza per Germi, regista non apprezzato per l’eccesso di sentimentalismo,  e in questo caso parlò perfino di «frammenti di capolavoro».

Quel “Pasticciaccio” tra Gadda e Germi
di Lorenzo Catania

www.avantionline.it – 4 settembre 2017

Lo scrittore Carlo Emilio Gadda e il regista Pietro Germi erano entrambi timidi e l’uno aveva soggezione dell’altro, come traspare da alcune foto che li ritraggono insieme. Inoltre condividevano non poche abitudini e ossessioni: frequentavano le trattorie, bevendo volentieri senza esagerare, si nascondevano alla gente che li cercava, utilizzavano poco il telefono, che odiavano, non avevano in simpatia i comunisti, erano maniaci dell’ordine e della giustizia, che sentivano minacciati dal caos contemporaneo. Gadda dovrebbe collaborare alla sceneggiatura del film intitolato Un maledetto imbroglio (1959) tratto dal suo romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957), ma poi si limita a dare un’occhiata al copione realizzato da altri. Timidissimo, ogni tanto lo scrittore fa capolino sul set per esprimere riserve sulla decenza di qualche battuta o per suggerire all’aiuto regista di modificare i nomi di alcuni personaggi. Approfittando del fatto che il Pasticciaccio è privo di una conclusione e racconta un fatto di cronaca nera romana non in linea retta ma come per accumulo di digressioni e di personaggi, Germi e i suoi collaboratori si divertono a manipolarlo, apportando numerose modifiche: danno un nome al misterioso assassino di una signora della borghesia romana e spostano la vicenda del romanzo dagli anni del fascismo agli anni Cinquanta. In particolare Germi, calandosi anche nei panni del commissario Ingravallo, posa il suo sguardo, desideroso di capire, su una realtà popolata da una borghesia ricca e viziosa e da un sottoproletariato non rassegnato a restare ai margini della società («Vi ha detto Diomede dove stavamo? Lui sta quasi sempre a Roma. Gli hanno promesso un posto»).

Pietro Germi e Carlo Emilio Gadda
Pietro Germi e Carlo Emilio Gadda

Con straordinaria abilità, il regista costruisce un credibile quanto infedele equivalente cinematografico del testo letterario. In pratica, opera il passaggio dalla storia sghemba del Pasticciaccio alla storia apparentemente lineare di Un maledetto imbroglio, che del romanzo di Gadda aggira la questione del plurilinguismo, ma coglie le intenzioni profonde: raccontare a larghi strati sociali, suscitando interesse e passione con il pretesto del “giallo” e della narrazione intricata, l’incorreggibile corruzione del mondo impazzito, dove i valori e i contatti umani autentici si sono come volatilizzati e non esistono più certezze. I significati e il valore del film sfuggirono allo scrittore lombardo. In pubblico Gadda mostrò di gradire la trasposizione cinematografica del Pasticciaccio; in privato invece, in data 7 dicembre 1959, scriveva alla nipote Anita: «Il film di Germi non mi sembra un capolavoro, però gli sono ugualmente grato di averlo fatto, anche se ha dato una soluzione diversa a tutto l’imbroglio, inserendo nella matassa particolari da lui escogitati. Comunque ho dato ufficialmente segno del mio gradimento, e ti prego di dire che ne sono contento, se mai capitassero a Stresa (tutto è possibile) parenti o conoscenti di Germi o lui stesso». Le riserve di Gadda esprimono bene la diffidenza del ceto intellettuale tradizionale verso la regia cinematografica, a cui non si riconosce ancora piena dignità; forse anche il disprezzo per il cinema che attinge alla letteratura e, come spesso è inevitabile, la tradisce.
Diverso è invece il giudizio di Pier Paolo Pasolini su Un maledetto imbroglio. L’autore di Ragazzi di vita e di Una vita violenta non amava il cinema di Germi, ma recensendo Un maledetto imbroglio per la rivista “Reporter” scriveva: «Io sono entrato nella sala cinematografica all’inizio del secondo tempo: e devo dire, che – dopo qualche centinaio di metri di pellicola[…] – ho avuto l’impressione, in certi momenti, di trovarmi di fronte a dei frammenti di capolavoro. Anche stavolta il film è bello quando entrano in scena le escluse: le donne. Una Gajoni che compare, dolce e fulminea, in due o tre inquadrature formidabili e buttate via con lo sprezzo della vera ispirazione; e soprattutto una Cardinale di cui io mi ricorderò per un pezzo. Quegli occhi che guardano solo con gli angoli accanto al naso, quei capelli neri spettinati (unica vera prorompente citazione gaddiana), quel viso di umile, di gatta, e così selvaggiamente perduta nella tragedia: sono dati che danno ragione all’impeto irrazionale di Germi […]. Basta la figura di Assunta e la scena finale dell’arresto a Marino, per fare di Un maledetto imbroglio, un film memorabile» [l’articolo intero di Pasolini, Lo stile di Germi, è in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, “Meridiani”, Mondadori, Milano, 1999, vol. II, pp. 2234-2237, ndr.].