di Cristina Borsatti
www.ilpiccolo.it – 19 febbraio 2014
Si respira più del solito Pasolini per le strade di Roma, in questi giorni di fine inverno. Un set molto speciale sta mettendo in scena l’uomo, il poeta, l’artista. Un film ardentemente voluto da Abel Ferrara, regista controverso e geniale, autore di capolavori come Il cattivo tenente e Occhi di serpente, un’impronta visionaria e drammatica la sua, in questo affine a quella di Pier Paolo Pasolini. Si chiamerà semplicemente Pasolini, racconterà le ultime ore di uno dei nostri più grandi poeti, quella notte a cavallo tra l’1 e il 2 novembre del 1975, la notte in cui il regista di Comizi d’amore e di Teorema ci ha lasciati. Willem Dafoe sarà Pasolini, Riccardo Scamarcio sarà Ninetto Davoli, protagonista di ben nove film diretti da Pasolini e tra gli amici suoi il più caro.
Attore sensibile, eroe popolare dentro pellicole colme di poesia. Come dimenticarlo al fianco di Totò, mentre medita sulla vita osservando le nuvole? Semplicità contagiosa e una romanità che ha fatto scuola, Ninetto Davoli ci regalerà un cameo, sarà Eduardo De Filippo, mentre proprio in questi giorni sta lavorando al fianco di Ferrara sulla sceneggiatura, sui personaggi, garante di una verità vissuta in prima persona, di una storia che solo lui ci può davvero raccontare.
Ma quali ricordi, quali emozioni ha suscitato in Ninetto Davoli l’idea di un film su Pasolini? «Sulle prime sono rimasto sconcertato – spiega -, mi angosciava molto che il film fosse incentrato sugli ultimi giorni di Pier Paolo, mi rattristava. Poi ho capito che l’intenzione di Ferrara era un’altra. Il suo è un film sulla personalità di Pier Paolo, il perno è l’uomo».
Un piccolo cameo, ma soprattutto un grande lavoro di consulenza…
«Proprio in questi giorni, sto lavorando accanto a Willem Dafoe, che ha il compito difficilissimo di assumere su di sé Pier Paolo. Ferrara mi sta dando grandi responsabilità anche nella ricerca degli attori. E poi c’è Riccardo Scamarcio, a lui devo far capire come era Ninetto. Quanto alla mia partecipazione, sarò un Eduardo particolare, a modo mio, un Ninetto adulto, insomma, cresciuto, senza le esplosioni che aveva da ragazzo, ma pur sempre Ninetto».
Quanti film ha interpretato e come ha iniziato?
«Settanta, ottanta, ho perso il conto. Quel che è certo è che ho iniziato per caso, non era mia intenzione diventare attore, all’epoca facevo il falegname, mi piaceva lucidare i mobili antichi. L’incontro con Pier Paolo e con il cinema è stato un imprevisto. Con i miei amici incappammo sul set de La Ricotta, venni presentato a Pasolini, lui mi fece una “scafetta” in testa, così, una specie di scappellotto e l’incontro finì lì. Dopo un po’ di tempo però mi chiamò e mi chiese di partecipare al Vangelo secondo Matteo. Io ero molto timido e gli dissi: “l’importante è che io non debba parlare”. E così fu, mi sono molto divertito».
Ma nel film successivo dovette parlare, eccome, e per di più al fianco di Totò…
«Avrei voluto lasciar perdere, mi vergognavo. Pier Paolo voleva farmi fare Uccellacci e uccellini, e mi convinse la cifra impressionante che mi diedero, uno, due milioni, ora non ricordo. Mi sembrava assurdo che mi pagassero per lavorare con Totò, quello che andavo a vedere al cinema, come Chaplin e Stanlio & Ollio. Ma andò così, e fu davvero emozionante. Totò era una persona molto umile, semplice, anche lui veniva dai ghetti napoletani».
Quanto Pasolini, e il cinema, hanno contribuito a farle vincere la timidezza. Quanta è lì ancora?
«Sono ancora timido, ma la reazione è sempre stata esplosiva. Per vincere la timidezza esplodo, con la gioia, con le parole, con la risposta pronta. Sono sempre stato vorace, non ho mai lasciato niente, felice di essere nato. A Pier Paolo devo molto, mi ha aiutato ad esternare il mio io, me lo ha tirato fuori, il nostro è stato uno scambio culturale».
Cosa intende?
«Quello che sto facendo adesso con Abel, in fondo l’ho sempre fatto anche con Pier Paolo. Venivo dalla borgata romana e conoscevo bene quel mondo, davo il mio contributo, i miei suggerimenti, dicevo la mia su come avrebbero dovuto comportarsi i personaggi. Venivamo da due mondi così distanti io e Pier Paolo, talvolta non lo capivo e quando lo sentivo parlare durante le conferenze stampa mi faceva venire il mal di pancia. A lui questa cosa faceva ridere».
Ninetto è sempre Ninetto, non ha mai detto “sono un attore”.
«Proprio così. Non sono un attore, faccio questo mestiere e non mi costa fatica, porto in scena Ninetto, perché mi diverte raccontarmi, mi piace».
Ancora qualche settimana di riprese e Pasolini passerà alla fase di montaggio. Che atmosfera si respira sul set?
«Ferrara è un matto buono, è davvero simpatico, mi fa pensare con le sue fantasie ingegnose a Carmelo Bene. Sono felice di partecipare a questa pellicola. Prima della sua scomparsa, eravamo insieme io, Pier Paolo, mia moglie e i miei due figli. Spero davvero che il film di Abel possa intrappolare sulla pellicola la grandezza di Pasolini. Abel ci sta mettendo sincerità e sentimento in questo lavoro, e spero che questa sua follia consegni il ricordo di Pier Paolo anche alle nuove generazioni. Non basterà comunque un film a raccontarlo».
*Foto in copertina: Pasolini e Ninetto Davoli sul set del cortometraggio La sequenza del fiore di carta (1968).