Pier Paolo Pasolini:
nell’incavo dell’eclettismo stilistico
di Rossano Astremo
Pier Paolo Pasolini è un autore che, nella molteplicità di interessi (narrativa, poesia, saggistica, teatro e cinema), ha agito con continuità e pervicacia nell’assiduo impegno della ‘produzione’ di versi.
Il Pasolini poeta nasce a stretto contatto con il suo amore per il dialetto, come dimostrano le Poesie a Casarsa (1942) e La meglio gioventù (1954), dove una sorta di raffinatezza metrica, appartenente alla tradizione cortese, si unisce alla ricerca di una parlata originaria e vergine, priva di un’autentica tradizione letteraria.
L’Usignolo della Chiesa Cattolica è la prima raccolta in lingua, con l’abbandono quindi della pratica dialettale, mantenendo, però, delle poesie precedenti una marginalità lussureggiante e arcaica:
Non me lo dico, ma
è ben chiaro che presto
la mia vita finirà
se non è già finita.
Ed era sempre chiaro
che, per vivere, m’era
necessario non vivere
restare ingenuo, ignaro.
Poi è la volta di Le ceneri di Gramsci (1957), i cui poemetti furono scritti dal 1951 al 1956, in cui diviene preponderante l’interesse pasoliniano per le tematiche civili, senza comunque rinunciare ad una ricerca metrica aulica, come dimostra la terzina dantesca-pascoliana:
Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere
con te o contro te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere
del mio paterno stato traditore
– nel pensiero, in un’ombra d’azione –
mi so ad esso attaccato nel colore
degli istinti, dell’estetica passione.
Nella raccolta La religione del mio tempo, composta tra il 1955 e il 1960, pubblicata nel 1961, in continuazione con quanto scritto in Le ceneri di Gramsci, c’è una continua oscillazione tra i due poli del lirismo civile da un lato e della polemica in versi dall’altro:
Guai a chi non sa che è borghese
questa fede cristiana, nel segno
di ogni privilegio, di ogni resa,
di ogni servitù; che il peccato
altro non è che reato di lesa
certezza quotidiana, odiato
per paura e aridità; che la chiesa
è lo spietato cuore dello Stato.
Di fronte alla terzina, a questa forma chiusa, dettata dal rispetto di una inesorabile metrica, si nota la volontà pasoliniana di osare, come dimostra la raccolta Poesia in forma di rosa (1964), dove il motivo principale è la ricerca in versi del magma, l’accettazione del caos, la profezia di un’imminente preistoria civile:
E poi… chi può comprendere un uomo di quarant’anni,
che soffre fino a sentirsi slogare il cuore
dai precordi… solo perché vede un ragazzo…
due ragazzi… intorno alla fontanella…
che giocano, nel loro dopocena colpevole…
in fondo alla purezza della notte che copre
il loro quartiere, con la freschezza
che fu di popoli antichi.
L’evoluzione stilistica di Pasolini raggiunge esiti estremi nello spiazzante Trasumanar e organizzar (1971), caratterizzato da una scrittura quasi ‘informale’, da un verso prosastico, che ricorda la tradizione americana che va da Whitman a Ginsberg, molto lontana dalla perfetta terzina di Le ceneri di Gramsci:
Ch’io abbia pianto come un vecchio, che, dopo aver tanto posseduto
il mondo, lo ritrova come una cosa che non gli spetta più,
ma, libero dagli obblighi di questo possesso, finalmente lo vede, per la sua bellezza, soltanto per la sua riapparsa bellezza.
Considerando l’intera produzione del Pasolini poeta ciò che emerge chiaramente è la presenza contemporanea di strutture stilistiche contrapposte, dalla componente manierista, frutto del tentativo di non abbandonare la ‘secolare tradizione metrica italiana’, alla componente autenticista, che ci consegna il Pasolini più originale, dove la necessità d’espressione lo spinge ad abbandonare la maniera, tornando all’ambizione di una scrittura vasta, totalizzante e inspiegabile come la vita.