Il critico letterario, saggista e scrittore Marco Belpoliti inaugura la sua collaborazione alla testata “Repubblica” con un interessante articolo sui rapporti che intercorsero tra Marco Pannella, leader radicale da poco scomparso, e Pasolini, a partire dalla metà degli anni Settanta. La reciproca attenzione tra questi due protagonisti della storia italiana del secondo Novecento avrebbe potuto conoscere degli sviluppi, se la traumatica morte dello scrittore non avesse fatalmente troncato il dialogo tra i due, campioni irriducibili del pensiero critico, accomunati dall’eresia e dall’opposizione al Potere, ma anche in fertile contraddittorio sul tema dei diritti civili e sulla liberalizzazione sessuale e dei costumi. Due “opposti paralleli” su cui Belpoliti si sofferma con acume.
Pannella e Pasolini, gli “opposti paralleli” contro le due Chiese
di Marco Belpoliti
www.repubblica.it – 21 maggio 2016
Una delle prime volte che Pasolini cita Marco Pannella è in un’intervista su “Il Mondo”, luglio 1974. Gli riserva un ritratto innamorato: «Parlando con meravigliosa vivacità e allegria, malgrado una cinquantina di giorni di digiuno». Sarà solo il primo di una serie d’interventi, lettere pubbliche, riferimenti, fino al discorso mai pronunciato al Congresso dei radicali nel novembre del 1975: è morto due giorni prima. Il regista, che scrive sulle prime pagine dei quotidiani borghesi, vede in Pannella un eretico, uno come lui: un uomo che si oppone al nuovo “Regime”, espressione che ha fatto subito sua.
Siamo nel centro della polemica contro la società dei consumi, il Nuovo Fascismo del Potere, ben più terribile e devastante del Fascismo storico. Gli pare che Pannella sia uno dei pochi alleati in questa lotta, che lo vede isolato e attaccato da tutti. Dissentono i vecchi amici come Sciascia e Calvino; i comunisti, cui si è sempre dichiarato vicino, l’attaccano apertamente. Come potrebbe essere diversamente? Pasolini spiega dalle colonne del “Corriere della Sera” che non vi è alcuna differenza tra fascisti e antifascisti, che i giovani di sinistra non si distinguono più da quelli di destra.
Neppure i capelli lunghi sono un segno attendibile; anzi, comincia la polemica contro il Nuovo Potere nel gennaio del 1973 scagliandosi contro i capelloni. In questa contesa, che lo porterà a schierarsi persino contro l’aborto, Pannella gli appare come l’unico che ha il coraggio di rompere con i vecchi schemi politici e culturali dell’antifascismo post-resistenziale. Lo cita nella recensione al libro di Andrea Valcarenghi, Underground: a pugno chiuso (1973); le pagine di prefazione di Pannella, scrive, sono «un avvenimento nella cultura italiana di questi anni». Perché? Perché Pannella dà dei fascisti agli antifascisti, perché l’antifascismo è poco più che un alibi, perché indica in Moro, Tanassi, Fanfani, Rumor, Gronchi, Segni, i fascisti che stanno al potere. E sono loro che hanno realizzato quella che Pasolini chiama “la rivoluzione antropologica” avvenuta in Italia nel dopoguerra che ha trasformato in modo profondo, non solo la vita, ma anche l’anima degli italiani. Arriva a dichiarare: «Che paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo del fascismo e subito dopo!». Sono la lotta non violenta, i digiuni, i paradossi, il continuo sparigliare le carte del leader radicale, la sua opposizione al sistema dei partiti cementato intorno alla DC e il Pci, ad attrarlo.
D’altro lato Pannella non è omofobo, come gran parte della cultura democristiana e comunista; non è cattolico, è laico; ai suoi occhi persino “luterano”. L’identifica con quello che quello a un certo punto chiamerà «il cuore», ovvero le ragioni che mettono in discussione l’illuminismo e il razionalismo incarnato dai vecchi compagni di strada, i comunisti, gli scrittori della sua generazione. Pannella è l’eroe della lotta contro il Potere che corrompe tutto e di cui fornirà il terribile ritratto in Salò-Sade. D’altro lato, il capo radicale, da animale politico qual è, trova in Pasolini un alleato nella polemica quotidiana. Non è forse il più famoso intellettuale italiano? In realtà, si trattava di un equivoco. Pasolini non si era accorto, o fingeva di non accorgersi, che la rivoluzione dei diritti civili, la liberazione sessuale sostenuta da Pannella, era parte del nuovo consumismo, l’avanguardia del liberismo e del narcisismo di massa dei decenni successivi. E da parte sua Pannella, paladino del divorzio, dell’aborto, fingeva di non accorgersi che Pasolini scriveva contro la liberazione sessuale che nevrotizzava i giovani, contro il coito eterosessuale e l’aborto.
Come spiegare questo equivoco, che oggi ci appare in tutta la sua evidenza? Con la «meravigliosa vivacità e allegria». Pannella era davvero diverso dalle «lugubri» facce dei democristiani e da quelle compassate dei funzionari del Partito Comunista. Un feeling fondato su un’attrazione anche fisica, per Pasolini premessa d’ogni simpatia, una sintonia che riguarda il cuore e non le idee. Pannella è il suo doppio. Entrambi hanno «gettato il corpo nella lotta». Non c’è stato il tempo di mettere alla prova questa convergenza nei decenni seguenti, di verificare il vitalismo che li univa, quando la rivoluzione antropologica è giunta al suo culmine con l’avvento delle televisioni commerciali, il consumismo di massa, l’affermazione del liberismo del godimento che Pasolini aveva preconizzato e temuto, e che il leader radicale ha contribuito a suo modo a realizzare.
Pannella è sopravvissuto a se stesso, mito vivente, prolungando il proprio vitalismo autocelebrativo, mentre Pasolini è diventato un’icona, vittima del vitalismo autodistruttivo che l’abitava. Destini paralleli e opposti.
*Foto in copertina: © Marisa Rastellini, 1962